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Il Carattere di questa terra. Tomba dei giganti. Di Tarcisio Agus*

Il Carattere di questa terra. Tomba dei giganti. Di Tarcisio Agus*

Solo le tombe dei giganti rispondono al vero carattere di questa terra e attestano una civiltà autoctona spentasi senza lasciare altre tracce. (Giuseppe Dessì - Paese d’ombre)

18 Agosto 2020
Parco Letterario Giuseppe Dessì
 Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna
Il Carattere di questa terra.
Tomba dei giganti. 

di Tarcisio Agus*

Solo le tombe dei giganti rispondono al vero carattere di questa terra e attestano una civiltà autoctona spentasi senza lasciare altre tracce. (Giuseppe Dessì - Paese d’ombre)
Nell'inconscio collettivo la tomba dei giganti da sempre anima le nostre menti, portandoci su scenari fantastici e misteriosi. La sua suggestiva forma e monumentalità, è parte integrante di quella civiltà autoctona spentasi, così come ci ricorda il Dessì, senza lasciare altre tracce. 
La civiltà nuragica, a cui fa riferimento il Dessì, conosceva bene questo particolare monumento, che osservato dall'alto richiama il volto del toro, nella mitica rappresentazione del Dio Toro, tanto caro   ai nuragici e nella giovane fantasia dei ragazzi, viene da sempre considerato il luogo di sepoltura dei  giganti.

Il territorio del Parco Letterario, di questi monumenti ne annovera una cinquantina, sparsi nei luoghi più diversi, all'interno della vasta area di ampia frequentazione  nuragica.
Periodo di particolare importanza per l'isola di Sardegna che a partire dal 1800 a.C, perdura per circa 1500 anni, sviluppando una cultura unica nel mediterraneo che non ha eguali al mondo.
Le tombe di giganti fanno parte di quella architettura megalitica che fa uso di grossi massi nell'edificare imponenti opere, quelle più rappresentative  sono date dai  Nuraghi.
Il monumento funebre e religioso, che oggi scopriamo o riscopriamo, risulta essere molto importante nel contesto nuragico per la sua funzione, ma anche per la sua rappresentazione culturale ed architettonica.

Gli studiosi dell'800 proposero di riconoscere in queste strutture, le tombe degli eroi guaritori.
Costituite da un corpo rettangolare che ospita la camera delle sepolture multiple e da un corpo ellittico sul frontone, chiamato esedra,  spazio a forma lunata o a corna di bue, che il prof. Giovanni Lilliu definiva adatto al rito dell'incubazione. Pratica magico  religiosa, già nota in epoca sumerica, che consisteva nel dormire presso l'area sacra dell'esedra, nella ricerca di rivelazioni, oppure nella speranza di ricevere cure e benedizioni per il futuro, per il tramite degli antenati defunti.

Per la prima volta del rito dell'incubazione in Sardegna ne parla Aristotele, commentando l'abitudine dei sardi di dormire presso gli eroi
Nel territorio del nostro parco letterario è presente uno dei monumenti funerari più importante della Sardegna, venne eretto nel territorio del comune di Gonnosfanadiga, ai confini  dei comuni di Arbus e Guspini, in loc. San Cosimo.
Località quest'ultima ampiamente frequentata nel periodo nuragico, tanto che insistono nell'area diversi nuraghi e  tombe dei giganti.
Il nostro sepolcro, chiamato genericamente tomba di San Cosimo, per la vicinanza alla chiesetta campestre sorta  in fase medioevale, ha una sua più puntuale denominazione, da sempre nota come; Sa Grutta de Santu Giuanni, la grotta di San Giovanni.
Il termine grotta fa certamente riferimento al profondo corridoio funebre, fra i più lunghi sino ad oggi censiti. Corridoio di forma trapezoidale, che raggiunge la lunghezza di metri 20,60, ricoperto da lastroni a piattabanda, mentre la corda dell'esedra raggiunge i 17,70 metri. L'altezza media della camera è di m.1,90, la larghezza inferiore di m. 1,50 e nella parte superiore, va restringendosi sino a m.0,85.

L'intitolazione del monumento a San Giovanni, può essere avvenuto già in fase romana. Nel V secolo Sant'Agostino dava notizie dei festeggiamenti della natività di San Giovanni Battista, il 24 giugno, coincidente con il sodalizio d'estate. Nell'antica Roma il solstizio d'estate corrispondeva alle feste della Dea Fortuna. Il templi alla Dea dedicati, nell'importante ciclo solare, erano meta degli umili ed indigenti, per offrire sacrifici, trascorrendo il resto della giornata in banchetti presso il tempio, con canti e balli che si protraevano, attorno al fuoco, nella notte della vigilia, con funzioni purificatrici e propiziatrici. Le stesse funzioni, al sole nascente, venivano riconosciute all'acqua unita a fiori ed essenze naturali.
L'esposizione ad est dell'esedra, ove si svolgevano i riti magico religiosi dell'incubazione, sono poi confluiti nei riti cristiani, al sole nascente del 24 giugno, celebrazione di San Giovanni Battista. Ancora oggi nelle nostre comunità si mantiene il rito della purificazione con l'uso del fuoco e  dell'acqua, con le erbe  e fiori naturali. Nel nostro territorio, ma non solo, alla vigilia del 24 giugno, perdura l'usanza nei vari rioni, ove le donne ancora preparano un catino d'acqua, con una misceliana di erbe aromatiche e fiori, che lasciano riposare per tutta la notte.  Al sorgere del sole, le persone che si lavano il viso con l'acqua lustrale, rafforzano la propria amicizia e la cementano per la vita, diventando comari o compari dei fiori, Gòmmâi o Gòppâi de fròris.

Un sito, il nostro di San Cosimo, di antica frequentazione che è andato, come molti monumenti antichi, abbandonato e divenuto poi meta dei tombaroli, alla ricerca de Su scussorgiu, il tesoro.
Il monumento, nel tempo a noi prossimo, ebbe un importante intervento di ricerca  nel 1981 e già si conoscevano interessanti manufatti provenienti da scavi clandestini, infatti il deposito della camera, al momento degli scavi del 1981 era sconvolto ad eccezione di una parte retrostante l'ingresso. Dei manufatti, oggi custoditi nei musei archeologici di Sardara e Cagliari, si sono recuperati delle olle biansate dall'orlo ripiegato a tesa interna e ornate con nervature a bozze mammillari in rilievo, così pure vasi con triangoli a grosso punteggio. Decorazioni ornamentali conosciute e rinvenute anche in altri contesti tombali dell'isola e non solo, che hanno permesso di datare il complesso funerario tra il XV e il XIV sec.a.C., meglio noto con l'appellativo di: Età del Bronzo Medio.

Gli scavi, oltre che metter in piena luce l'importante monumento funerario, evidenziarono entro l'esedra dei circoli, probabili tombe di epoca successiva ed  una piccola tomba di giganti.
Ma l'ulteriore elemento, rinvenuto in quella parte scampata ai saccheggi, ha restituito un'importante testimonianza che avvalorerebbe i contatti commerciali e forse anche culturali di questo periodo e del territorio con  il mondo miceneo.  La civiltà micenea fiorita in Grecia tra il 1600 e 1100 a.C., prese il nome dalla sua capitale Micene. Considerato dalle fonti popolo guerriero, come quello nuragico, i micenei seppellivano i loro morti in tombe dette a thòlos, costruzioni circolari  come i nostri nuraghi, ma in sotterraneo. Siamo nella piena sfera del megalitismo, che a Micene viene rappresentato nell' acropoli cinta da mura ciclopiche e dalle tombe a thòlos, mentre in Sardegna assistiamo ad un megalitismo diffuso su più monumenti, come l'esplosione di thòlos aeree dei nuraghi, prima semplici poi complessi, mentre le  thòlos interrate le ritroviamo nei nostri pozzi sacri, come le tombe micenee, ma con funzioni non di sepoltura, ma specificamente religiose. Così pure appartengono al suddetto megalitismo le nostre tombe di giganti e le fortificazioni nuragiche, come quella vicina di Saurecci, nel comune di Guspini.

L'importante scavo, a cui ho avuto modo di partecipare con il caro amico, Prof. Giovanni Ugas, ha restituito una ciottola a calotta sferica e altri frammenti di olle e tazze carenate, ma gli elementi che ci accostano al mondo miceneo ci sono dati dal ritrovamento di 67 grani di monili, in buona parte integri. Presumibilmente elementi di collane che adornavano il collo dei defunti, sono costituiti da grani in pastiglia, di cui sette a dischetto di color verde acqua alcuni e quasi turchese gli altri. Due verde chiaro, due crema e tre perline segmentate a cilindretto color verde acqua. Una rotellina dentata verde acqua e una perlina sferico schiacciata, sempre verde chiara. Mentre i grani di vetro sono quasi tutti di forma sferico schiacciata o sferico appiattita, di cui cinque color blu, cinque azzurri, due nocciola, uno nero con riga bianca e uno variegato bianco blu. Un probabile pendaglio in vetro verde quasi turchese, con forma cruciforme con  foro cilindrico e quattro globuletti, legati al corpo centrale quadrangolare con pasta giallina.

Preziosi elementi che concorrono alla datazione del monumento, in quanto un importante conoscitore di contesti similari nel mediterraneo, il Prof. Bernabò Brea  ritiene che dette collane siano state importate dalla regione elladica e databili al 1400 -1300 a.C.
Questo nostro ritrovamento ed altri similari in Sardegna fanno presupporre strette relazioni tra il mondo miceneo ed il mondo nuragico,  fin dal XV secolo. Storia che merita approfondimenti ed ulteriori ricerche sul campo, perché la similitudine del popolo nuragico, spentosi senza lasciare altre traccie, ci accomuna fortemente al popolo miceneo, spentosi senza lasciare altre traccie.

 Professore Tarcisio Agus, 16 agosto 2020

*Presidente del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna

Vedi anche :
www.parcogeominerario.eu
www.fondazionedessi.it
Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari

In foto: la Tomba Sa Grutta de Santu Giuanni;  La camera corridoio; ipotesi ricostruzione collana micenea; Olla a tesa interna custodita nel museo archeologico di Cagliari.

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