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In Cina tra Pechino e Dunhuang lungo la Via della Seta. Di Stanislao de Marsanich

In Cina tra Pechino e Dunhuang lungo la Via della Seta. Di Stanislao de Marsanich

In viaggio da Pechino a Dunhuang tra oasi, caravanserragli, steppe, praterie, deserti e città avvenieristiche lungo la Via della Seta. Di Stanislao de Marsanich per www.lagenziadiviaggi.it

29 Aprile 2020
Appunti di viaggio in Cina e viaggio da Pechino Dunhuang 
Oasi, caravanserragli, steppe, praterie, deserti e città avvenieristiche lungo la
Via della Seta
Di Stanislao de Marsanich per www.lagenziadiviaggi.it

La Via della Seta è un nome evocativo che da millenni occupa un suo posto nell’immaginario collettivo di viaggiatori, lettori e sognatori. Da Venezia a Xi’an – passando per Bisanzio, Palmira, Damasco, Bagdad e Samarcanda – è stata, tra oasi, caravanserragli, deserti, steppe e praterie, la principale via di comunicazione tra Europa e Asia, e anima di un commercio ricchissimo. Un commercio che ha portato pace, guerra, ricchezza, povertà ma soprattutto contaminazioni che hanno fatto evolvere le tradizioni culturali di un’area incredibilmente vasta. Se già nella Roma imperiale e poi a Genova e Venezia arrivavano le sete più ricche, per le capitali delle tante dinastie che hanno governato il Celeste Impero, la Via – qui chiamata della Giada– è stata la strada attraverso cui la Cina ha assimilato il Buddismo e l’Islam. 

L’itinerario proposto dall’Ufficio Nazionale del Turismo Cinese in occasione della inaugurazione della Festa del Turismo della Via della Seta (16 giugno 2015) a Jiayuguan nella provincia del Gansu, rinnova un viaggio che è sempre stato, e continuerà ad essere, avveniristico. Dopo Marco Polo e soprattutto Matteo Ricci – nomi ancora vivi nell'Universo intellettuale cinese - ancora oggi l’Italia mantiene un ruolo di mediazione culturale di primo piano, a poco più di 10 ore di volo da Pechino. 

La "Capitale del Nord" continua a evolversi tra antichi e moderni fasti. Il complesso taoista Tempio del Cielo delle dinastie Ming e Qing (Unesco) catapulta il visitatore nei bellissimi edifici circondati da un parco con 3.500 alberi ultrasecolari. A ogni angolo gruppi di giovani e meno giovani sembrano danzare seguendo l’antica arte del Tai Chi Chuan. Ventitrè milioni di abitanti e sei milioni di automobili convivono in una città ordinata e pulitissima. Tra i tanti mari – così i Mongoli chiamavano i numerosi laghi di Pechino – grattacieli, parchi, templi e gli antichi quartieri “hutong” si contendono gli spazi contenuti negli anelli stradali che circondano la Capitale. Il secondo anello di 40 chilometri ripercorre le antiche mura; il settimo anello raggiunge i 1000 chilometri. 

Al centro l’enorme piazza su cui affaccia il mausoleo di Mao Zedong introduce alla Porta TienanmenPorta della Pace Celeste e accesso alla immensa Città Proibita (Unesco). Per 500 anni il maestoso complesso ha ospitato le dinastie Ming Qing fino a Pu Yi, l’ultimo imperatore che abbandonò solo nel 1924 i 720.000 mq che ospitano i 980 edifici imperiali. Imperiali sono anche i sapori del ristorante Fangshan nel parco Beihai fondato dagli ultimi cuochi della dinastia Qing. E a proposito di ristoranti, da non perdere la meravigliosa anatra laccata del Dong Roast Duck,considerato tra i migliori e più alla moda a Pechino.

Non lontano dalla Città Proibita la tradizionale ospitalità cinese permette di visitare la casa di una professoressa di fisica in pensione che vive nel Qianjing Hutong. Il cortile della signora Feng introduce ad una quotidianità che sembra impossibile in una megalopoli come Pechino. Nella calma assoluta, si affacciano sul patio le camere da letto. Piante ben curate dividono la zona abitata dallo studio del genero che padroneggia l’arte della pittura tradizionale con cui incanta l’ospite.
Una sorpresa inaspettata è il Distretto 798, il Dashanzi Art District, un’ex area industriale degli anni ‘50 diventata una città dell’arte animata da giovani artisti di avanguardia, gallerie e luoghi di ritrovo da fare invidia a qualsiasi città occidentale.

Nata a difesa dai Mongoli del nord, la Grande Muraglia (Unesco) unisce Pechino dal ricco centro di Jiayuguan, la città alle porte del deserto raggiungibile con tre ore di volo con comodi voli Air China o China Eastern. Fuori città una grandiosa fortezza Ming costituisce l’estremità occidentale della Grande Muraglia ed è il più imponente e meglio preservato dei valichi tra il deserto del Gobi, la Mongolia e i vicini ghiacciai della catena tibetana dello Qilian, la “Montagna Celeste” degli Unni antenati di Attila. Il passo ha una posizione strategica: 1600 km di Via della Seta nella provincia di Gansu, percorsi nei secoli da soldati e commercianti da e per l’Asia Centrale. 

Trecentocinquanta chilometri di autostrada separano Jiayuguan dall’Oasi di Dunhuang. L’autostrada è modernissima e il deserto non è deserto per niente. Foreste infinite di tralicci elettrici e pale eoliche sono interrotte da oasi coltivate, evolute città di nuova fondazione e scintillanti centrali elettriche che dimostrano che qui le cattedrali nel deserto sono modernissime. La movimentata monotonia del paesaggio è interrotta regolarmente da bianchi treni ad alta velocità. Solo ogni tanto si fa spazio qua e là tra le rocce aride la vecchia pista di asfalto consumato.

Il Passo della Porta di Giada di Dunhuang è la vera e imponente porta di partenza e arrivo della Via della Seta. Qui arrivavano le carovane dall’Asia Centrale e da qui furono introdotti in Cina frutti, spezie e piante come il cotone, il melograno e la camelia. Bellissimi gli avventurosi racconti di Zhang Qian, inviato imperiale del II secolo a.C.: le sue missioni aprirono di fatto la Cina ai territori e ai prodotti di un mondo ancora sconosciuto. Alcuni suoi viaggi, descritti nelle cronache Han, lo Shiji, scritto da Sima Qian nel I secolo a.C. sono affrescati nelle Grotte di Mogao (Unesco), pochi chilometri a sud di Duhuang. Le Grotte sono un sorprendente libro che racconta mille anni di storia del buddismo cinese a partire dal 366 dC. e i cui paragrafi sono i 492 templi scavati in una roccia lunga 1600 metri con 24mila statue, tra cui il terzo Budda esistente più grande del mondo (esclusi quelli distrutti in Afghanistan). Storie del Budda, dei discepoli, delle famiglie donatrici (da contadini a imperatori), di mappe, racconti di viaggio e vita quotidiana, si susseguono dipinti in una sorta di immensa cappella sistina di 45mila mq di superficie.

Uno smisurato deserto di sabbia domina la verde Duhuang. Chilometri di dune alte decine di metri sono interrotte all’improvviso dall’Oasi della Luna Crescente formata da un vortice di sabbia perenne che permette la sopravvivenza di un lago e di una duna di quasi 300 metri che abbracciano un delizioso monastero. Centosessanta km a nord, la prima impressione che si ha arrivando al Yadan National Geological Parkè di trovarsi di fronte a una gigantesca flotta di navi pietrificate pronte a salpare per conquistare il Deserto di Gobi. Settecentomila anni di erosione hanno creato questo posto stupefacente che emerge da un lago prosciugato di oltre 400 kmq. Avventurarsi tra le rocce di Yardang significa scoprire immense sculture naturali e incontrare – con una fantasia non troppo forzata – enormi templi ellenistici e animali esotici scolpiti dai capricci del vento. Ed è qui che al tramonto si ha la percezione di avere finalmente scoperto l’altro (estremo) lato del Deserto dei Tartari che sotto Gengis Khan fondarono lo smisurato impero mongolo. 

Stanislao de Marsanich, Appunti di viaggio in Cina

Articolo originale pubblicato su www.lagenziadiviaggi.it , 8 luglio 2015
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