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Sacri fluvii ostia e Sardopatoris fanum (Tolomeo) nel Parco Dessì

Sacri fluvii ostia e Sardopatoris fanum (Tolomeo) nel Parco Dessì

Il territorio del Parco Giuseppe Dessì è un'area della Sardegna che in antichità rivestì un particolare ruolo per la presenza di due siti sacri di rilevo : il Sardopatoris fanum, tempio del Sardus Pater ed il Sacri fluvii ostia, fiume sacro

06 Novembre 2020
Parco Letterario Giuseppe Dessì
Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna

 Sacri fluvii ostia e Sardopatoris fanum (Tolomeo)

 di Tarcisio Agus*

Il territorio del Parco Letterario Giuseppe Dessì è un'area della Sardegna che in antichità rivestì un particolare ruolo, non fosse altro, per la presenza di due siti di carattere sacro di importante rilevo storiografico: il Sardopatoris fanum, tempio del Sardus Pater e il  Sacri fluvii ostia, fiume sacro.

Il Sardus, generato da Ercole, venne citato per la prima volta da Sallustio, in Historiae nel I sec. a.C. Divinità proveniente dalla Libye, figlio del Dio Makeris, l'Herakles della Libia. Sarebbe sbarcato nell'isola di Sardegna, con un gruppo di coloni che si integrarono pienamente con i suoi  abitanti, tanto da cambiarne il nome, da Argyròphleps nesos (isola dalle vene d'argento) e Ichnussa in Sardò - Sardinia.

Nel II sec. d.C, ne parlò Pausania nell'opera Periegesi della Grecia, che confermava i dati di Sallustio, affermando che l'Eroe divenne il "padre" delle genti sarde, al quale venne dedicato un tempio, il Sardo patoros ieròn. Narra inoltre che nel tempio di Apollo a Delfi, si conservava una statua  bronzea del Sardus Pater, portata in dono dai sardi.

Ancora, nel II sec.d.C, ne parla anche Tolomeo, nella sua Introduzione alla geografia. Nel narrare della Sardegna, cita e localizza, sulle basi delle sue conoscenze, pare recuperate da terzi, perché Tolomeo, si dice, non mise mai piede nell'isola di Sardegna, due rilevanti presenze nel territorio del Parco Letterario Giuseppe Dessì, oltre la città di Neapolis, il Sardopatoris fanum e il  Sacri fluvii ostia.

Mentre nel III sec. d.C, a parlarne è Gaio Giulio Solino, nella Raccolta delle cose memorabili, ove conferma che Sardus era nato da Ercole.

Per tanto tempo i nostri più illustri storici ed archeologi hanno cercato la localizzazione dei due importanti siti, in particolare il tempio del Sardus Pater, dio dei sardi nuragici. Dato ora sulla foce del fiume sacro, ora sul promontorio di Capo frasca. Tra la città di Neapolis ed  Othoca, oppure sulla sommità del monte Arcuentu. Altri lo pongono nella stessa Neapolis o in sua prossimità, in località Sa Tribuna, ove sono importanti resti di  un edifico romano di carattere pubblico.

I territori ove insistono le ipotesi del tempio del Sardus Pater e del Sacri fluvii ostia sono tutte nelle parti nord dei territori di Arbus e Guspini. Il culto della divinità del Sardus Pater, dal periodo nuragico, si protrae nel tempo, attraversando il periodo fenicio punico, sino al romano.

La certezza dell'esistenza del tempio dedicata al dio guerriero sardo, ci è stata data con la scoperta del Tempio di Antas, che in parte ha posto un punto fermo sulla sua  localizzazione, anche se alcuni studiosi tendono a sottolineare che potrebbero esserci altri templi. Certo è che Antas, ci ha restituito l'importante dedica cartaginese al Sid Addir Baby (Sid, divinità, Addir Baby, potente padre) e successivamente, in fase romana, al Sardus Pater Babai (Sardus, divinità, Pater Babai, grande padre). Il termine Babai, ancora in uso nel territorio del Parco Dessì, era ed è ancora l'espressione di grande rispetto e venerazione, usata dai figli nel rivolgersi con il voi al proprio padre, considerato persona particolarmente autorevole. Il termine sta scomparendo perché i figli oggi tendono a dare del tu al padre, chiamandolo semplicemente Babbu, padre.

Se per il tempio oggi, con la scoperta di Antas, si placa la smania della sua localizzazione, sembra ancora aperta quella del fiume sacro,  anche se ultimamente,  per questo altrettanto importante sito che interagisce con il tempio del Sardus Pater, interviene lo studioso e scrittore Bartolomeo Porcheddu che punta l'attenzione sul Sacri fluvii ostia di Tolomeo e che lui associa al Flumini Mannu (il grande fiume), un tempo chiamato Eridanu o Erriudanu (rio danu) che scorreva da sud verso il nord nel territorio dei Danu, toponimo questo che lo scrittore riconosce ancora presente nel territorio del Parco Dessì, in CampidanuCampi-danu, campo del popolo dei Danus e in Arcidano, nel comune San Nicolò d'Arcidano, lambito dal Flumini Mannu che va a versarsi presso lo stagno di San Giovanni a Marcedì, alla foce del quale si localizza l'importante città di Neapolis, anch'essa citata nella geografia Tolemaica. Realtà che il Porcheddu ritrova: Nella mitologia, alla foce del fiume Eridanu era situata la città o stella di Canopo. Nell'enciclopedia TreccaniCanopoMitico pilota della nave di Menelao; morì quando Menelao di ritorno da Troia andò in Egitto e fu sepolto nel luogo del delta del Nilo dove poi sorge la città omonima.

Il Porcheddu con questa sua analisi sfida la maggior parte degli scrittori antichi che identificavano il fiume Eridanu con alcuni fiumi reali, come il Po, mentre il drammaturgo greco Eschilio lo identificava con il fiume Rodano, altri lo localizzano nel nord Europa.

Certo è che il nostro corso d'acqua che nasce alle falde del Monte Linas, si riversa a nord presso lo stagno di San Giovanni a Marcedì, di rimpetto alla città di Neapolis e nella fase finale del suo percorso, presso San Nicolò d'Arcidano, prende il nome di Flumini Mannu, sino alla foce.

Lungo il percorso, da sud a nord, il "fiume sacro" attraversa due importanti regioni che suscitano curiosità e meriterebbero ulteriori indagini. Nella parte alta viene chiamato Rio Terramaistus (il fiume  che attraversa le terre dei maestri) e scorre nel territorio di Guspini alle falde del Monti Mannu, letteralmente il grande monte,  che si eleva oltre l'abitato di Guspini per circa 300 metri, per cui possiamo dire che non è affatto un grande monte. A qualche chilometro di distanza si erge la seconda cima della Sardegna, il Monte Linas, che rappresenta meglio il grande monte o forse Monti Mannu ha altro significato. Per cui da sempre mi sono posto il dubbio che Monti Mannu, così chiamato in antico, ma ancora oggi la comunità di Guspini lo riconosce, non fosse altro che la montagna che ospita la divinità, perché sul fronte nord è presente un grande monolite, che osservato in direzione nord - sud, richiama un grande teschio umano. Questa scultura naturale è stata senza ombra di dubbio elemento di venerazione da parte delle prime comunità guspinesi e che gli antichi chiamavano Babbu Mannu (grande padre) da cui Monti Mannu. Oggi sono ancora leggibili tre elementi cultuali legati alla divinità in posizione dominante: la fonte lustrale, nella parte bassa preso l'abitato; il luogo dei riti, a metà costa e la divinità, nella posizione più elevata verso il cielo. Questi tre elementi li riconosciamo ancora nella fonte,  oggi intitolata a Santa Margherita;  nella roccia o meglio lastrone, posizionato quasi fosse un Dolmen, dove avvenivano  le cerimonie rituali, da sempre nota,  Sa rocca a bi baddanta is antigusu, la roccia dove ballavano gli antichi e il cranio granitico, la divinità, Sardus Pater?.

Verosimilmente il Monti Mannu, in ossequio alla lettera del papa Gregorio Magno, che invitava  Ospitone, Dux Barbacinorum, nel maggio 594, alla conversione dei sardi che ancora  vivono come animali insensati, non conoscono il vero Dio, adorano legni e pietre, mutava in Monte Santa Margherita, come ancora oggi.

Credo infatti possa essere ascritta ai monaci bizantini l'attuazione della lettera papale, nel territorio guspinese, per il superamento delle venerazioni nuragiche legate al culto della Dea Madre e del Sardus Pater.

La presenza bizantina a Guspini è attestata dalla edificazione dalla chiesa dedicata all'Assunta dormiente, allora fuori dall'antico abitato ed ai piedi del Monte Mannu, ove ebbe inizio l'opera di evangelizzazione, proseguita poi,  intorno al 1250, quando la chiesa viene affidata ai monaci benedettini Gerosomilitani, facenti parte dell'ordine dell'Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, divenuti poi dell'ordine dei Cavalieri di Malta, tanto che la chiesa ristrutturata e con annesso monastero veniva intitolata a Santa Maria di Malta, così come oggi.

Fatto sta che la montagna viene dedicata a Santa Margherita, così pure la fonte ed a rafforzare il   mutamento religioso in atto, viene  edificata sul costone della montagna, una chiesa a lei dedicata, al di sotto del monolita cranico, che oggi chiamiamo semplicemente Sa Rocca Inquaddigada (la roccia a cavalcioni o a cavallo, il Dio guerriero?), con l’evidente scopo di mutare definitivamente una profonda ed importante venerazione, presso il grande monte.

Santa Margherita, patrona delle partorienti, la si ricorda ancora oggi per la presentazione dei neonati, il 2 febbraio, al tempio del Signore, nel giorno della sua venerazione.  Il rito ancora in uso, da noi chiamato Incresiai, (portare al cospetto di Dio il nuovo nato), ricorda i riti pagani dell' iniziazione, al cospetto della divinità.

Nella ricorrenza del 2 Febbraio, verosimilmente, i benedettini di buon mattino aprivano il rito dell'ascensione, con le madri ed i neonati dell'abitato, verso il santuario montano, così come anticamente si portava al cospetto della divinità il nascituro, come atto di sottomissione e di protezione.

L'antico rituale venne abbandonato presumibilmente quando il Vescovo di Ales Mons. Giuseppe Maria Pilo, intorno al 1770, nell'incoraggiare il miglioramento delle chiese e la costruzione di nuove, invitava all'abbandono delle chiese campestri, dando ordine di scoperchiarle, perché rifugio dei banditi, spostando le tradizioni ed i rituali nelle parrocchiali, ancora oggi praticati.

Questo processo ci viene eloquentemente ricordato anche nel vangelo di Luca, ove si legge: Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore. Gesù venne accolto dal vecchio e saggio Simone che presiedette il rito della presentazione.

Altro elemento che fa pensare e che domina, a levante, la pianura del Campidano ed il Flumini Mannu, sino alla sua foce, è il profilo del Monte Arcuentu, dove alcuni studiosi ipotizzarono la sede templare  del Sardus Pater.

Un guspinese, amante di archeologia, amico del più noto archeologo Antonio Taramelli, Francesco Lampis, in una sua relazione sull'Arcuentu, datata 11 Luglio 1932, scriveva: L'Herculentu è di grande importanza strategica come punto di osservazione, domina la linea marittima Tolone - Biserta, tutto il vasto specchio di mare fra la Sardegna, il Golfo di Lione, le Baleari e la costa sarda da Carloforte ad Alghero e oltre, posto per giunta a cavaliere della grande antica strada forse più punica che romana, passante alle due falde: a nord per Neapolis, Tharros, Tibula ed a sud per Sulci, Tegula, Nora, Kalaris.  ...

Un problema non meno importante è quello della etimologia della voce Arcuentu o meglio, Herculentu. Il Lamarmora, come già s'è detto, apprese che si crede derivi da "Arco del vento" cioè in dialetto sardo, "Arcu de su bentu”. 

L' Arcuentu, osservato da diversi punti, presenta sulla cima la conformazione approssimata di una faccia umana, che vuolsi, abbia una certa rassomiglianza con Napoleone morto o dormiente: ora, se vi sono quelli che nell'epoca moderna possono assomigliarlo a Napoleone, perché gli antichi romani non possono averlo assomigliato ad Ercole e chiamare quindi il monte “MONS HERCULIS" o semplicemente Hercules od Herculem?

Sulla cima, sono ancora i ruderi di un  castello medioevale detto di Arcuentu, che nel 1164 era in piena attività, tanto che divenne oggetto di garanzia per il riscatto che il Giudice d'Arborea, Barisone, avrebbe dovuto estinguere con Genova.

Certo è che  l'eroe dormiente dell'Arcuentu fu oggetto di importante e lunga  venerazione, compresa tra il III sec. a.C. e il IV sec. d.C. A testimoniarlo è il sacello che ha restituito 163 bronzi, con monete puniche di Zecca di Sicilia (fine IV - III a.C) e Zecca di Sardegna (231 -238 a.C), ma anche due differenti bronzi di Zecca Sarda, detti del Sardus Pater, del 38 a.C. Testa di Marco Azio Balbo, propretore in Sardegna, sul dritto e sul rovescio, testa del Sardus Pater con corona piumata, rivolta a destra e scritta SARD(US). Mentre il secondo bronzo ha sul dritto l'effige di Marco Azio Balbo e sul retro testa del Sardus Pater con corona piumata, rivolta a destra, ma senza scritta e con lancia a sinistra.

Professore Tarcisio Agus, 31 ottobre 2020

*Presidente del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna

Vedi anche :
www.parcogeominerario.eu
www.fondazionedessi.it

Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari


In foto:
Moneta del Sardus Pater proveniente dal Monte Arcuentu
Il monte Arcuentu
Il monolita dal cranio umano che sovrasta l'abitato di Guspini

Il monte Arcuentu ( SardegnaTurismo)

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