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Giornata della Poesia e delle Foreste nel Parco Letterario Giuseppe Dessì

Giornata della Poesia e delle Foreste nel Parco Letterario Giuseppe Dessì

Il 21 marzo, in occasione della giornata dalla Poesia e delle Foreste, il pensiero corre al vasto patrimonio ambientale del Parco Letterario Giuseppe Dessì, ferito nel passato ma oggi ricco di percorsi da esplorare durante tutto il corso dell'anno

18 Marzo 2021

Il 21 marzo, in occasione della giornata dalla Poesia e delle Foreste, il mio pensiero corre al vasto patrimonio ambientale del Parco Letterario Giuseppe Dessì, ferito nel passato  e aggredito in tempi recenti per via degli incendi. Le valli della seconda cima più alta della Sardegna, il Monte Linas, che capeggia al centro del territorio del parco, sino alla sottostante pianura del lembo del campidano, annoverava ingenti boschi di lecci, querce e  corbezzoli di grande fascino.
Questi ultimi, pur essendo essenze che oggi troviamo esclusivamente nelle nostre montagne, un tempo si estendevano sin nella pianura, come ci ricorda il funzionario regio, Carlo Corbetta che nel 1887, inviato dal re a visitare le miniere di Montevecchio,  nel tratto San Gavino - Guspini, in piena pianura, narra dello spettacolo offertogli dagli alti corbezzoli che fiancheggiavano la carrareccia quasi ricoprendola.
Con esso nella piana si estendevano anche le querce da sughero, di cui ancora resta traccia.

Il vasto polmone verde del Parco Letterario, si è ritirato nel tempo per l'ampio sfruttamento terriero della pianura, da sempre considerato il grande granaio, mentre si conserva ancora nelle valli del complesso granitico del Monte Linas. Abbiamo già avuto modo di conoscerla questa nostra montagna, per la sua natura geologica e gli splendidi scorci offerti delle diverse cascate che lo animano, a cominciare  da quella più accessibile e nota di Sa Spendula, presso Villacidro.
Le foreste che ricoprivano le nostre montagne sono da sempre importanti risorse economiche per le comunità che l'abitavano, dalla semplice raccolta delle ghiande, all'utilizzo del legno per tutti gli usi domestici, dalle travi  e solai della casa, alle attrezzature per uso domestico e lavoro.
Agli albori dell'era industriale, ed esattamente nel 1743, le foreste del parco divennero fonte  indispensabile di energia per alimentare la nascente fonderia Mandel, presso il rio Leni a Villacidro. La chiusura della fonderia nel 1810, bloccò i devastanti tagli del pregiato legname, ma la quiete  durò l'arco di un sessantennio, perché l'esplosione dell'era industriale, con le grandi miniere abbisognava di trasporti sicuri e veloci per raggiungere i porti d'imbarco dei minerali. Così anche la Sardegna veniva dotata di una sua rete ferroviaria che contribui alla ripresa del depauperamento del patrimonio forestale anche del nostro territorio. La rete ferroviaria regia, abbisognosa di milioni di traversine dove fissare i binari e gli alberi da sacrificare erano a portata di mano, le Querce da sughero, il cui legno era perfetto per quelle traversine che avrebbero sopportato intemperie, vibrazioni e attacchi parassitari nel tempo.

Giuseppe Dessì, nel suo romanzo Paese d’ombre scrive: La salvaguardia delle foreste sarde non interessava ai governi piemontesi, la Sardegna continuava ad essere tenuta nel conto di una colonia da sfruttare, specialmente dopo l’unificazione del regno.

Con l'800 si perse una grande parte delle foreste, ciò che si salvò ritornò ad essere risorsa pregiata per le nostre comunità e l'avvento dei metalli e del petrolio ridusse il fabbisogno del legname per usi industriali, riconducendo lo sfruttamento esclusivamente all'uso civico che ancora nei nostri centri si pratica. Nei terreni comunali, una volta demaniali, dove ancora persistono importanti tratti di bosco salvati dallo sfruttamento industriale e dagli incendi, si praticano le attività silvicole  della  pulizia e dell'asportazione dei vecchi alberi malati, viene così suddiviso in lotti ed assegnato alle famiglie che ne fanno richiesta, oggi esclusivamente per il proprio riscaldamento domestico o per il rito dell'arrosto, a terra, nel cammino o nel barbecue.

L'albero più apprezzato in ogni tempo, è senza dubbio il Leccio (Quercus ilex), da noi in lingua sarda Ibixi o Ilixi, perché di lui le nostre comunità utilizzavano tutto, il suo legno pesante, duro e compatto, anche se di difficile lavorazione, era il prediletto perché nonostante tutto si rendeva duttile alla produzione degli strumenti domestici, ma non solo, i nostri bravi artigiani, con questo nostro pregiato prodotto vegetale producevano i carri da lavoro ed i calessi per le nobili famiglie. Il carbone era dato sostanzialmente dai rami, mentre dal tronco si ricavavano la struttura degli aratri  e gli ingranaggi dei mulini per le macine, nonché le travi portanti delle case, per la sua lunga durata, mentre i frutti, le ghiande (landiri), erano ed è tuttora alimento prelibato per i maiali.Tutto ciò grazie anche alla sua maestosità che può raggiungere i 25 - 30 metri di altezza, con un tronco di due metri di diametro. Con la sua chioma sempre verde c le sue foglie ovali o ovali - lanciolate, di colore verde - scuro, nella fase romana della colonizzazione della Sardegna, 238 a.C - 456 d.C, alcuni dei nostri boschi erano considerati sacri, come quello di Fluminimaggiore, nella regione di Antas, ove venne eretto il tempio romano al Sardus Pater.

Altro albero a noi caro  ed alle regie ferrovie, che si estendeva dalle dolci colline sino alla pianura era la Quercia (Quercus suber), dal sardo, Suerjiu o Ciuerjiu. Più comunemente detta Quercia da sughero, per la sua importante corteccia, usata da sempre per la produzione domestica  di  tappi, di ciotole e di vassoi, in particolare per servire gli arrosti, perché non si impregna  ed è perfettamente lavabile.
Rispetto alla foresta del leccio che in certi casi è impenetrabile persino dalla luce solare, per la sua compattezza, la foresta di querce è più aperta e convive con molte specie, in particolare il Corbezzolo, da noi chiamato Oiôi e l'Erica, Uvara. Ma non solo,  sono ancora diverse le piante arbustive che compongono il nostro sottobosco, come il Lillatro (Phillyrea angustifolia) da noi Arridebi - Arrideli o il Lentischio (Pistacia lenticus) da noi Moddizzi.
La  maestosità della quercia può raggiungere i 10 - 15 metri di altezza ed il suo tronco 1,5 metri di diametro, con foglie persistenti e coriacee, simili anche di forma a quelle del leccio, ma con dentature esterne pungenti.
Sembrerebbe un albero severo, ma come accennato, convive nel nostro territorio con diverse specie  e accoglie, in un sistema di forte resistenza anche nelle avversità più dure, come l'incendi, i due alberi più significativi del suo sottobosco, capaci di rigenerarsi. La Quercia con il suo manto di sughero, fortemente isolante, si protegge dal fuoco e così lo sono le profonde radici del Corbezzolo e dell'Erica. La Quercia alle prime piogge autunnali riprende la germinazione già sulla pianta, mentre il Corbezzolo e l'Erica dalle forti radici. Un eloquente esempio lo ritroviamo nei boschi di Ingurtosu e Montevecchio attraversato dal un vasto incendio nel 1983 che rase al suolo l'antico bosco, oggi sta rinascendo in un caleidoscopio di essenze, profumi e colori.

Il Corbezzolo (Arbutus unedo) è un arbusto sempre verde  molto ramificato, ma in certe situazioni ambientali assume il portamento arboreo e raggiungere anche i 10 -12 metri di altezza. Con la sua fioritura autunnale di color bianco a grappolo pendulo, ci prepara alla estiva raccolta dei suoi frutti commestibili e noti sin dall'antichità, con le colorazioni che vanno dal verde, non ancora maturo, al giallo in fase intermedia e rosso pronto al consumo.  I suoi fiori sono fonte mielifera e ci danno il famoso e ricercato miele amaro, molto pregiato e noto fin dall'antichità per le sue proprietà curative  ed in particolare per le affezioni bronchiali.

L'Erica ( Erica arborea), è un arbusto che raggiunge massimo i 6 metri, con piccole foglie di 3 -5 mm, verde scuso, ha fiori bianchi o rosati con infiorescenza a pannocchia. Il suo legno viene utilizzato per piccoli lavori al tornio, ma la parte più pregiata è la radice, da sempre utilizzata per la produzione delle pipe e ridotta in sottili fogli per impiallacciare mobili. Le sommità fiorite sono utilizzate a caldo come infusi diuretici o disinfettante, sedativo ed antireumatico.

Se guardiamo la foresta verso l'alto sono innumerevoli i colori e le forme, ma in stretta simbiosi le importanti chiome fanno da ombrello e protezione a specie più delicate del sottobosco, come in questo periodo, i tappetti dei ciclamini e le varietà di funghi che si colorano in una miriade di sfumature: sanguini, ocra, rossi, mattone, grigi e bianchi, molti dei quali sono commestibili ed oggetto di raccolta.

Non è semplice narrare la poesia delle nostre foreste, bisogna esserci, immergersi nei suoi profumi e colori ed ascoltare il fruscio dei suoi rami, per  scoprire ancora, che il calpestio involontario di alcune essenze sprigiona ulteriori intensi profumi, inaspettati ed inebrianti. Così come non è improbabile imbattersi  nei cinghiali che vivono tutte le nostre foreste, il muflone sul Monte Linas o il Cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus) nelle aree ex minerarie di Ingurtosu e Montevecchio, ove persiste la sua presenza autoctona, nonostante la caccia, oggi proibita o il vasto incendio che distrusse la grande foresta e nonostante tutto ancora regno incontrastato dell'areale.

Per queste ragioni vi propongo alcuni percorsi o visite, da svolgersi durante tutto il corso dell'anno perché ogni periodo ci riversa sensazioni, colori e profumi irripetibili.

Prof. Tarcisio Agus

Presidente del Parco Geominerario, Storico, Ambientale della Sardegna


Vedi anche :
www.parcogeominerario.eu
www.fondazionedessi.it

Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari


In foto (Parco Geominerario): Quercia da sughero. Leccio e Corbezzolo.

https://www.parchiletterari.com/itinerari-scheda.php?ID=04859
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