Il 21 marzo, in occasione della giornata dalla Poesia e delle Foreste, il pensiero corre al vasto patrimonio ambientale del Parco Letterario Giuseppe Dessì, ferito nel passato ma oggi ricco di percorsi da esplorare durante tutto il corso dell'anno
Il 21 marzo, in occasione della
giornata dalla Poesia e delle Foreste, il mio pensiero corre al vasto
patrimonio ambientale del Parco Letterario Giuseppe Dessì, ferito nel
passato e aggredito in tempi recenti per
via degli incendi. Le valli della seconda cima più alta della Sardegna, il Monte
Linas, che capeggia al centro del territorio del parco, sino alla
sottostante pianura del lembo del campidano, annoverava ingenti boschi di
lecci, querce e corbezzoli di grande fascino.
Questi ultimi, pur essendo
essenze che oggi troviamo esclusivamente nelle nostre montagne, un tempo si
estendevano sin nella pianura, come ci ricorda il funzionario regio, Carlo
Corbetta che nel 1887, inviato dal re a visitare le miniere di Montevecchio, nel tratto San Gavino - Guspini, in piena
pianura, narra dello spettacolo offertogli dagli alti corbezzoli che
fiancheggiavano la carrareccia quasi ricoprendola.
Con esso nella piana si
estendevano anche le querce da sughero, di cui ancora resta traccia.
Il vasto polmone verde del Parco
Letterario, si è ritirato nel tempo per l'ampio sfruttamento terriero della
pianura, da sempre considerato il grande granaio, mentre si conserva ancora
nelle valli del complesso granitico del Monte Linas. Abbiamo già avuto
modo di conoscerla questa nostra montagna, per la sua natura geologica e gli
splendidi scorci offerti delle diverse cascate che lo animano, a
cominciare da quella più accessibile e
nota di Sa Spendula, presso Villacidro.
Le foreste che ricoprivano le
nostre montagne sono da sempre importanti risorse economiche per le comunità
che l'abitavano, dalla semplice raccolta delle ghiande, all'utilizzo del legno
per tutti gli usi domestici, dalle travi
e solai della casa, alle attrezzature per uso domestico e lavoro.
Agli albori dell'era industriale,
ed esattamente nel 1743, le foreste del parco divennero fonte indispensabile di energia per alimentare la
nascente fonderia Mandel, presso il rio Leni a Villacidro. La chiusura
della fonderia nel 1810, bloccò i devastanti tagli del pregiato legname, ma la
quiete durò l'arco di un sessantennio,
perché l'esplosione dell'era industriale, con le grandi miniere abbisognava di
trasporti sicuri e veloci per raggiungere i porti d'imbarco dei minerali. Così
anche la Sardegna veniva dotata di una sua rete ferroviaria che contribui alla
ripresa del depauperamento del patrimonio forestale anche del nostro
territorio. La rete ferroviaria regia, abbisognosa di milioni di traversine
dove fissare i binari e gli alberi da sacrificare erano a portata di mano, le Querce
da sughero, il cui legno era perfetto per quelle traversine che avrebbero
sopportato intemperie, vibrazioni e attacchi parassitari nel tempo.
Giuseppe Dessì, nel suo romanzo Paese
d’ombre scrive: La
salvaguardia delle foreste sarde non interessava ai governi piemontesi, la
Sardegna continuava ad essere tenuta nel conto di una colonia da sfruttare,
specialmente dopo l’unificazione del regno.
Con l'800 si perse una grande parte delle foreste, ciò che
si salvò ritornò ad essere risorsa pregiata per le nostre comunità e l'avvento
dei metalli e del petrolio ridusse il fabbisogno del legname per usi
industriali, riconducendo lo sfruttamento esclusivamente all'uso civico che
ancora nei nostri centri si pratica. Nei terreni comunali, una volta demaniali,
dove ancora persistono importanti tratti di bosco salvati dallo sfruttamento
industriale e dagli incendi, si praticano le attività silvicole della
pulizia e dell'asportazione dei vecchi alberi malati, viene così
suddiviso in lotti ed assegnato alle famiglie che ne fanno richiesta, oggi
esclusivamente per il proprio riscaldamento domestico o per il rito
dell'arrosto, a terra, nel cammino o nel barbecue.
L'albero più apprezzato in ogni tempo, è senza dubbio il
Leccio (Quercus ilex), da noi in lingua sarda Ibixi o Ilixi, perché di lui le nostre comunità
utilizzavano tutto, il suo legno pesante, duro e compatto, anche se di
difficile lavorazione, era il prediletto perché nonostante tutto si rendeva
duttile alla produzione degli strumenti domestici, ma non solo, i nostri bravi
artigiani, con questo nostro pregiato prodotto vegetale producevano i carri da
lavoro ed i calessi per le nobili famiglie. Il carbone era dato sostanzialmente
dai rami, mentre dal tronco si ricavavano la struttura degli aratri e gli ingranaggi dei mulini per le macine,
nonché le travi portanti delle case, per la sua lunga durata, mentre i frutti,
le ghiande (landiri), erano ed è tuttora alimento prelibato
per i maiali.Tutto ciò grazie anche alla sua maestosità che può raggiungere i
25 - 30 metri di altezza, con un tronco di due metri di diametro. Con la sua
chioma sempre verde c le sue foglie ovali o ovali - lanciolate, di colore verde
- scuro, nella fase romana della colonizzazione della Sardegna, 238 a.C - 456
d.C, alcuni dei nostri boschi erano considerati sacri, come quello di
Fluminimaggiore, nella regione di Antas, ove venne eretto il tempio romano al
Sardus Pater.
Altro albero a noi caro
ed alle regie ferrovie, che si estendeva dalle dolci colline sino alla
pianura era la Quercia (Quercus suber), dal sardo, Suerjiu o Ciuerjiu. Più comunemente detta Quercia da sughero, per la sua importante corteccia, usata da sempre per la
produzione domestica di tappi, di ciotole e di vassoi, in particolare
per servire gli arrosti, perché non si impregna
ed è perfettamente lavabile.
Rispetto alla foresta del leccio che in certi casi è
impenetrabile persino dalla luce solare, per la sua compattezza, la foresta di
querce è più aperta e convive con molte specie, in particolare il Corbezzolo,
da noi chiamato Oiôi e l'Erica, Uvara. Ma non solo, sono ancora diverse le piante arbustive che
compongono il nostro sottobosco, come il Lillatro (Phillyrea angustifolia) da noi Arridebi
- Arrideli o il
Lentischio (Pistacia lenticus) da noi Moddizzi.
La maestosità della
quercia può raggiungere i 10 - 15 metri di altezza ed il suo tronco 1,5 metri
di diametro, con foglie persistenti e coriacee, simili anche di forma a quelle
del leccio, ma con dentature esterne pungenti.
Sembrerebbe un albero severo, ma come accennato, convive nel
nostro territorio con diverse specie e
accoglie, in un sistema di forte resistenza anche nelle avversità più dure,
come l'incendi, i due alberi più significativi del suo sottobosco, capaci di
rigenerarsi. La Quercia con il suo manto di sughero, fortemente isolante, si
protegge dal fuoco e così lo sono le profonde radici del Corbezzolo e
dell'Erica. La Quercia alle prime piogge autunnali riprende la germinazione già
sulla pianta, mentre il Corbezzolo e l'Erica dalle forti radici. Un eloquente
esempio lo ritroviamo nei boschi di Ingurtosu e Montevecchio attraversato dal
un vasto incendio nel 1983 che rase al suolo l'antico bosco, oggi sta
rinascendo in un caleidoscopio di essenze, profumi e colori.
Il Corbezzolo (Arbutus
unedo) è un arbusto
sempre verde molto ramificato, ma in
certe situazioni ambientali assume il portamento arboreo e raggiungere anche i
10 -12 metri di altezza. Con la sua fioritura autunnale di color bianco a
grappolo pendulo, ci prepara alla estiva raccolta dei suoi frutti commestibili
e noti sin dall'antichità, con le colorazioni che vanno dal verde, non ancora
maturo, al giallo in fase intermedia e rosso pronto al consumo. I suoi fiori sono fonte mielifera e ci danno
il famoso e ricercato miele amaro, molto pregiato e noto fin dall'antichità per
le sue proprietà curative ed in
particolare per le affezioni bronchiali.
L'Erica ( Erica arborea), è un arbusto che raggiunge massimo i 6
metri, con piccole foglie di 3 -5 mm, verde scuso, ha fiori bianchi o rosati
con infiorescenza a pannocchia. Il suo legno viene utilizzato per piccoli
lavori al tornio, ma la parte più pregiata è la radice, da sempre utilizzata
per la produzione delle pipe e ridotta in sottili fogli per impiallacciare
mobili. Le sommità fiorite sono utilizzate a caldo come infusi diuretici o
disinfettante, sedativo ed antireumatico.
Se guardiamo la foresta verso l'alto sono innumerevoli i
colori e le forme, ma in stretta simbiosi le importanti chiome fanno da
ombrello e protezione a specie più delicate del sottobosco, come in questo
periodo, i tappetti dei ciclamini e le varietà di funghi che si colorano in una
miriade di sfumature: sanguini, ocra, rossi, mattone, grigi e bianchi, molti
dei quali sono commestibili ed oggetto di raccolta.
Non è semplice narrare la poesia delle nostre foreste,
bisogna esserci, immergersi nei suoi profumi e colori ed ascoltare il fruscio
dei suoi rami, per scoprire ancora, che
il calpestio involontario di alcune essenze sprigiona ulteriori intensi profumi,
inaspettati ed inebrianti. Così come non è improbabile imbattersi nei cinghiali che vivono tutte le nostre
foreste, il muflone sul Monte Linas o il Cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus) nelle aree ex minerarie di Ingurtosu e
Montevecchio, ove persiste la sua presenza autoctona, nonostante la caccia,
oggi proibita o il vasto incendio che distrusse la grande foresta e nonostante
tutto ancora regno incontrastato dell'areale.
Per queste ragioni vi propongo alcuni percorsi o visite, da svolgersi durante tutto il corso dell'anno perché ogni periodo ci riversa sensazioni, colori e profumi irripetibili.
Prof. Tarcisio Agus
Presidente del Parco Geominerario, Storico, Ambientale della Sardegna
Vedi anche :
www.parcogeominerario.eu
www.fondazionedessi.it
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In foto (Parco Geominerario): Quercia da sughero. Leccio e Corbezzolo.