Ogni paesaggio è unico ed irrepetibile, ed ha una sua forma. Ogni paesaggio nasce dall’incontro armonioso di Storia e Natura. E' una immagine spaziale del tempo, che racchiude in sé la memoria del passato e l’anticipazione del futuro.
Voglio
essere un giardino e che alla mia fontana
colgano i tanti sogni nuovi fiori,
gli uni in disparte e pensierosi,
gli altri riuniti in muti conversari.
E quando vanno, voglio su di loro
far stormire parole come alberi,
e se riposano, agli immemori sonni
col mio silenzio origliare.
Rainer Maria Rilke [1]
Nello
stesso palazzetto accanto alla Chiesa di Santa Lucia, nel centro storico di
Caltanissetta, in cui nasce nel 1887 Pier Maria Rosso di San Secondo, nasce,
nel 1915, il filosofo Rosario Assunto.
Siamo
nel cuore della città, vicino allo storico mercato detto “Strata ‘a foglia” e
di fronte alla Biblioteca “Luciano Scarabelli”.
Sono
gli anni dell’intensa attività mineraria nei giacimenti di zolfo presenti nel
circondario: economia in crescita – nel 1862 nasce in città il primo Istituto
Minerario in Italia - ma il tempo è scandito anche dalle sciagure nelle solfare
e dalla povertà di quelle famiglie che sono costrette a vendere i loro figli
ancora bambini perché facciano i “carusi” nel sottosuolo. C’è a Caltanissetta anche
un nutrito gruppo di intellettuali – Luca Pignato, Luigi Monaco, Salvatore
Sciascia, Leonardo Sciascia, per citarne alcuni - che si incontra, discute,
elabora un pensiero critico, che forma ed affascina i due giovani.
Le
loro vite condivideranno, pur in due momenti storici diversi, non solo la casa
di nascita, ma anche una serie di esperienze: gli studi al Liceo Classico
“Ruggero Settimo” e poi, lasciata la Sicilia, l’Università, il lavoro, i viaggi,
la passione per la cultura tedesca, il successo all’estero piuttosto che in
Italia, una donna come compagna di vita, la piccola città natale sempre
nell’animo.
Rosario
Assunto si trasferisce a Roma con la famiglia tra il 1938 e il 1939, e dopo la
laurea in Giurisprudenza si dedica alla Filosofia. Studioso appassionato, docente
universitario, spazia dalla filosofia tedesca agli studi storici sul Medioevo,
intrecciando in modo personalissimo storia, arte, letteratura, filosofia.
Negli
anni del dopoguerra, in cui il tema prioritario è la gestione del territorio
come risorsa per la crescita economica e la produttività, Rosario Assunto, in
assoluta controtendenza, comincia a studiare il processo di disorientamento e
di impoverimento che si accompagna a tale crescita: la perdita della Bellezza
dei luoghi, una cultura che guarda solo all’utile e vede nella Natura soltanto
un giacimento di risorse da sfruttare[2] [foto 1].
L’eliminazione della diversità, la ripetizione dell’identico in ogni luogo, la
perdita delle peculiarità e delle identità delle città – la globalizzazione – condizionano
il benessere della vita e abituano l’uomo ad un pensiero amorfo, prevedibile.
La “distruzione della Bellezza” colpisce sia la campagna sia la città, ed è più
vistosa proprio in Italia, dove “il paesaggio della memoria e della
fantasia è stato ridotto a puro e semplice spazio della geometria”[3]. La
sostituzione di giardini, piazze, edifici storici con rotatorie, aiuole,
edifici “funzionali” ed anonimi, causa la scomparsa della “ciascunità” dei luoghi:
“una via, una piazza, è quella che è, e non un’altra, perché qualificata
dall’aspetto degli edifici che la fiancheggiano o la delimitano, oltre che dal
percorso o dalla configurazione geometrica”[4].
Il
saggio di Marc Augè “Non luoghi. Introduzione ad una antropologia della
surmodernità” sarà pubblicato nel 1992.
“Il
paesaggio e l’estetica” di Rosario Assunto, opera quasi visionaria, viene
pubblicata nel 1973.
Sono
gli anni in cui la parola “paesaggio” è quasi sempre sostituita dalla parola
“ambiente”, conseguenza del nascente interesse verso l’ecologia, l’inquinamento:
e invece Rosario Assunto parla di paesaggio.
Ma
che cos’è, per il filosofo, il paesaggio? È un’opera d’arte, uno spazio aperto,
sia urbano sia naturale, limitato ma non finito, aperto all’infinito,
caratterizzato da una “unità di stile” che gli dà forma. Ma non esiste, per
Rosario Assunto, un canone estetico unico che possa definire il paesaggio: si
tratta di individuare, per ogni singolo caso, quegli elementi che qualificano e
connotano lo spazio rendendolo “metaspazio”. Ogni paesaggio è unico ed
irrepetibile, ed ha una sua forma. Ogni paesaggio nasce dall’incontro armonioso
di Storia e Natura[5].
È unico il paesaggio delle Marche che genera in Leopardi il senso
dell’infinito, sono uniche le strade di Torino che per Nietzsche sembrano
condurre direttamente alle Alpi. Nell’incontro tra la città e il paesaggio
nasce un “metaspazio”, in quanto i due elementi comunicano e si arricchiscono a
vicenda. [foto 2]
“Il paesaggio è l’infinito della città,
il completarsi della città in una realtà dalla quale la città riceve un
senso che la oltrepassa, che la colloca al centro di un orizzonte più vasto,
potenzialmente illimitato. Ma anche la città è l’infinito del paesaggio al
quale conferisce valore, perché anche la presenza della città concorre a fare
dello spazio un paesaggio. Sarebbe altrettanto bello il golfo di Napoli
senza Napoli? O la costa delle Cinque terre senza i paesi che vi compaiono?”[6].
[foto 3]
Ma
quale deve essere, allora, il comportamento dell’uomo? Come può restituire
Bellezza ai luoghi e riappropriarsene? Rosario Assunto ritiene che l’uomo,
dotato di capacità di critica e capacità di scoperta, abbia il dovere di
studiare filosoficamente la Natura così come studia filosoficamente l’Arte, e
abbia anche il dovere di tutelare e conservare il patrimonio artistico e
paesaggistico che proviene dal passato, in una visione olistica che consideri i
luoghi non soltanto come spazi da riempire, ma come opere d’arte in cui ogni
luogo è una forma in cui trova espressione estetica la Storia.
Un
mondo che è nello stesso tempo città e paesaggio, un mondo nel quale c’è dialogo
e integrazione tra spazio urbano ed extra-urbano “la città nel paesaggio (la
città che è nel paesaggio, in quanto spazio extracittadino, ma non si oppone ad
esso, non lo nega) attesta, allora, e quasi sancisce, l’infinito del paesaggio:
il quale a sua volta è l’infinito della città, nella quale esso non finisce. Il
paesaggio extracittadino, infatti, può avvolgere la città, come nelle città
murate, ovvero variamente compenetrarsene” [7]. [foto
4]
L’uomo
dunque non deve dimenticare la Natura, ma vivere in essa cercando una
dimensione di armonia e di equilibrio. E soprattutto l’uomo deve creare
giardini: “Non altra salvezza vi può essere per la città moderna ed i suoi
abitanti, cioè per noi tutti, uomini che viviamo in questa età dimentica della
natura e della bellezza, se non quella che potrebbe venire da un ribaltamento
dell’urbanistica in giardinaggio su vastissima scala. Un’urbanistica che
esplicitamente si proponga di sostituire al modello della città
tecnologico-industriale quello di un giardino popolato di abitazioni, luoghi di
lavoro e servizi: un giardino la cui estensione dovrebbe coprire tutta l’area
al presente invasa dalle costruzioni intensive”[8].[foto 5]
Per Rosario
Assunto, dunque, il giardino – così come il paesaggio - è lo spazio
privilegiato di dialogo tra l’uomo e la Natura, perché per contemplare il
paesaggio bisogna viverlo. L’uomo, nell’atto della contemplazione, dissolve la
finitezza della propria vita con l’infinitezza della Natura, e recupera la dimensione
del tempo della vita, elevando la propria mente ad una contemplazione che gli
regala la felicità esistenziale di sentirsi oltre il tempo finito della
Storia.
Chi dovesse
scrivere la storia del paesaggio si troverebbe subito senza soccorso, in balia
di una cosa che a lui è incomprensibile, estranea, lontana. Ché noi siamo
abituati alle forme umane, e il paesaggio non ne ha una; noi siamo abituati a
pensare dietro ogni gesto un atto di volontà, e il paesaggio non vuole, anche
se si muove. Le acque scorrono, e in esse ondeggiano e tremano le immagini
delle cose e nel vento che anima le fronde dei vecchi alberi crescono a poco a
poco i giovani boschi: crescono verso un futuro che noi non vivremo mai. Con
gli uomini siamo abituati a intuire molto dalle loro mani, moltissimo poi dal
viso nel quale come su un quadrante sono visibili le ore che reggono e pesano
nel tempo della loro anima. Il paesaggio invece non ha mani, non ha faccia –
oppure è solo faccia, e appunto per questa sua grandiosità, per la incommensurabilità
delle linee del suo volto, impressiona e avvilisce l’uomo quasi come quella
“apparizione di spiriti” [Geistererscheinung] che si vede in un noto disegno
del pittore giapponese Hokusai[9].
Rainer Maria Rilke
Fotografie di Donatella Frangiamone: Docente e Presidente dell’Associazione fotografica “Fotonauti” di Caltanissetta. Ha all’attivo alcune mostre fotografiche personali e collettive e la partecipazione a rassegne e concorsi nazionali (www.fotonauti.it/)
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[1] Rainer Maria Rilke, Poesie, Giulio
Einaudi Editore, a cura di Giuliano Baioni
[2] Rosario
Assunto, La natura, le arti, la storia. Esercizi di estetica, Guerini e Associati, Milano 1990, p. 23
[3] Rosario Assunto, Il paesaggio e l’estetica, 2 voll., Giannini
Editore, Napoli 1973, vol. I, p. 7. Ristampato nel 2006, ed. Novecento.
[4] Rosario
Assunto, Il paesaggio e l’estetica (1973), cit., vol. I, p. 31.
[5] Cfr.
Rosario Assunto, Iniziazione a un’altra Sicilia, saggio introduttivo a
Mario Giorgianni, La pietra vissuta, fotografie di Giuseppe Leone,
Sellerio Editore 1978
[6]
Paola
Giacomoni, 5 giugno 2015, in
[7] Rosario
Assunto, Il paesaggio e l’estetica (1973), cit., vol. I, p. 44
[8] Rosario
Assunto, Il paesaggio e l’estetica (1973), cit., vol. I, p. 285.
[9] Rainer
Maria Rilke, Del Paesaggio e altri scritti, Piccola Biblioteca Adelphi,
202
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