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Il Panno Casentino. Da Le novelle della nonna a Colazione da Tiffany

Il Panno Casentino. Da Le novelle della nonna a Colazione da Tiffany

La valle dei racconti è nota anche quale valle dei tessuti di cui il più iconico rimane il Panno Casentino, prodotto capace di raccontare il territorio e simbolo della comunità della prima valle dell’Arno.

22 Febbraio 2023

Maso, il capofamiglia dei Marcucci, era molto preoccupato perché il cattivo tempo stava compromettendo il raccolto. “Il tempo era brutto ma brutto e invece di maturare il grano, le piogge e i venti lo facevano piegare a terra. S’era alla fine di maggio, e Maso e i suoi fratelli si grattavan la testa, vedendo i campi così rovinati dalle intemperie. Anche le viti che avevano già fiorito, pativano, e i contadini si struggevano a veder andar tutto in perdizione per quel tempaccio da lupi. … Regina leggeva nel cuore de’ suoi figlioli come in un libro aperto, e capiva le loro angustie; così quando la domenica sera si vide dintorno i figliuoli, le nuore e i nipoti, invece di aspettare che la invitassero a raccontar la novella , ne richiamò alla mente una piuttosto allegra … “. 

La novella di Regina Marcucci, protagonista delle Novelle della nonna,  è “Il gatto del vicario”. Alla fine del racconto Maso conclude : “Vi ringrazio mamma, di avermi fatto passare le paturnie col raccontare codeste fandonie. Almeno per un paio d’ore, non ho pensato al grano che patisce e alle viti che gelano. Ma non sentite come vien giù l’acqua e come fischia il vento? Si prepara un’annata ben triste per noi e ci vorrà coraggio e pazienza. – L’avremo – rispose Vezzosa – e siccome Iddio aiuta tutti quelli che si aiutano, noi cercheremo di aiutarci. Ci son tante fabbriche a Soci dove impiegano anche le donne, e noi andremo a lavorare là. Non è vergogna d’ingegnarsi. – No davvero! – risposero le cognate. – E tu Vezzosa, con queste parole ci indichi quello che dovremo fare, caso mai le brutte previsioni di Maso si avverassero.” 
Emma Perodi, Le novelle della nonna, Il gatto del vicario

Le fabbriche cui fa riferimento Vezzosa erano quelle che producevano il pannolana che prende nome dalla valle in cui è stato da sempre prodotto; la preparazione del filato (lavaggio delle lane grezze, cardatura e filatura a mano) e di tessitura era esercitata dalle donne. Il Panno Casentino è caratterizzato da una straordinaria resistenza ottenuta attraverso la follatura che consiste in un processo di fissaggio che rende il tessuto impermeabile e dalla rifinitura a ricciolo ottenuta in origine grazie alla sfregatura della lana con pietre e poi tramite la rattinatura meccanica (speciale spazzolatura) effettuata con la rattinatrice, macchinario forse di origine francese. Operazioni che impartiscono al tessuto spessore e impermeabilità, oltreché elevata sofficità e traspirabilità. La purezza delle acque della vallata è un elemento da cui non si può prescindere al fine della qualità del prodotto che è solo di questa terra di dantesca e francescana memoria che Emma Perodi scelse come ambientazione delle sue originali narrazioni raccolte nel capolavoro “Le novelle della nonna. Fiabe fantastiche”.

La valle dei racconti è nota dunque anche quale valle dei tessuti di cui il più iconico rimane il Panno Casentino, prodotto capace di raccontare il territorio e simbolo della comunità della prima valle dell’Arno. 

I motivi che nel tempo hanno portato al miglioramento qualitativo del pannolana, in origine panno grosso, sono dovuti sia all’incrocio delle lane locali con altre più pregiate, sia ad un intervento legislativo di Francesco III di Lorena che nel 1738 permise la liberalizzazione del commercio e della produzione laniera nel Granducato, fino a quel momento ostacolata soprattutto dai magistrati dell’Arte della Lana di Firenze. Il panno grosso, ricavato dalla tosatura delle pecore della valle, era di qualità scadente pertanto con lo scorrere del tempo le lane furono mischiate con quelle più pregiate provenienti dagli allevamenti maremmani poi, dopo il 1840, dalla sperimentazione di incroci tra le pecore locali con la specie merina dai quali si ottennero lane di migliore qualità anche in loco.

Il tessuto, richiesto per cucire tabarri, mantelli, cappe, ma anche ad uso dei barrocciai per coprire e proteggere i loro cavalli e animali da traino, dalla fine dell’Ottocento venne utilizzato anche per confezionare giacconi e cappotti maschili adatti per attività all’aperto come andare a caccia o montare a cavallo. Non abbiamo documenti dai quali evincere da quando il Panno Casentino sia stato prodotto con le caratteristiche che lo contraddistinguono: il colore arancio e il ricciolo. Infatti per quanto riguarda il colore si dice che sia stato un errore di tintura (uso improprio della rubia, colorante vegetale) che portò ad ottenere la tonalità aranciata piuttosto che il rosso vivo sperato; errore che in realtà si è dimostrato essere la fortuna del panno lana casentinese; del modo di ottenere il ricciolo abbiamo detto sopra. Accostando all’arancione, che evoca il trionfo coloristico autunnale dei boschi misti della vallata, il verde che rimanda alle millenarie abetine coltivate dagli eremiti camaldolesi, i capi di abbigliamento prodotti con il Panno Casentino, risultano essere il simbolo più appropriato della valle, caratterizzata da questa varietà di manti boschivi protetti e valorizzati dal Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, istituito nel 1993.

Il caratteristico tessuto venne apprezzato anche da personaggi illustri come il barone Bettino Ricasoli, Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini e, ultimamente, Carlo III re d'Inghilterra. Sembra che anche d’Annunzio, che in più occasioni soggiornò in Casentino, abbia commentato il tessuto ragguagliando l’abbinamento dei due colori originari, arancio/verde al “fuoco del tramonto e il verde dei boschi della valle aretina”. Reso famoso dall’attrice Audrey Hepburn che indossa un cappotto di tessuto casentinese nel film “Colazione da Tiffany, è stato ricordato di recente dalla scrittrice Margaret  Mazzantini nel suo best seller Non ti muovere (Premio Strega 2002), scrive: “Tua madre indossava un cappotto di Casentino, arancione e violento come il sole che avremmo trovato d’estate”, a riprova che l’iconico tessuto, per il suo sfavillante colore, riesce ad affascinare ancor oggi così come deve aver ispirato pittori di epoche lontane: basti osservare la tavola dell’Annunciazione di Bicci di Lorenzo, datata 1414, conservata nella pieve di Stia, opera che presenta il letto della Vergine coperto di un panno di smagliante colore arancione, testimonianza del fascino esercitato dall’inconfondibile caldo colore. Attualmente è possibile trovare il tessuto in un’infinita varietà cromatica che meglio risponde alle esigenze della moda.

Il paese di Soci, per rafforzare la visibilità dell’artigianato tessile locale, organizza ad intervalli regolari la manifestazione “La Valle dei Tessuti”, originale vetrina, apprezzata dai giovani stilisti italiani, che propone sfilate e mostre. La tradizione del panno del Casentino è molto antica anche se non è stato possibile determinare il periodo in cui il tessuto si arricchisce del caratteristico ricciolo. Gli abitanti del castello di Palagio Fiorentino (Stia) pagavano già nel Trecento le tasse ai fiorentini con panni di lana. Alla fine del secolo XVI i Conservatori dell’Arte della Lana di Firenze, per tutelare la loro attività laniera, imposero ai produttori casentinesi, l’uso di un marchio che permettesse di distinguere i loro tessuti da quelli fiorentini. Nel 1738 il reggente Francesco di Lorena emanò un provvedimento con il quale liberalizzò la fabbricazione della pannina all’interno del Granducato per rendere il paese autonomo dalla produzione straniera; provvedimento di cui si avvantaggiarono i produttori casentinesi e l’opificio di Soci. Da un documento datato 1709 si evince che l’attività laniera di Soci era condotta dalla famiglia Grifagni. Agli inizi del secolo XIX, Pietro Ricci che già deteneva il lanificio di Stia, si trasferì a Soci per gestire una nuova fabbrica laniera che dal 1820 fu guidata anche dal genero Angiolo Bocci. Nel decennio 1865/75 lo stabilimento aumentò la produzione passando dai telai a mano a quelli meccanici, introducendo macchinari innovativi per la filatura, acquistando caldaie a vapore che andarono a sostituire le ruote a pale, rendendo necessaria la costruzione di ciminiere.

Il salto di qualità che vide avviarsi la produzione a ciclo completo, si deve a Sisto Bocci, il quale dopo avere viaggiato nei paesi del centro Europa ed essersi perfezionato in Belgio nella tecnica di produzione tessile, con uno sguardo attento verso i paesi europei riuscì a partecipare all’esposizione parigina del 1889 come si evince da alcune pagine del suo diario. Il giorno antecedente la sua partenza per Parigi: 14 settembre 1889 - Sisto si trova nel reparto tessitura della fabbrica e vede sul pavimento un cannello, lo raccoglie, lo getta nella cesta posta accanto al telaio di Masoria (soprannome dato all’operaio Angelo Cerini) dicendo: "voi operai non guardate agli sprechi. Questo cannello, ripieno di filato, non deve finire nella spazzatura. Voi operai vi lamentate sempre perché vi tocca lavorare dodici ore al giorno ma non badate a risparmiare. Vedi questo cannello costa mezzo soldo ma costa! … Eppoi anch’io lavoro. Voi mi vedete sempre in giro per la fabbrica, mattina, pomeriggio e anche la notte. E se non sono in giro per i reparti sono in giro per l’Italia e anche fuori, all’estero …. E’ vero signor padrone anche lei lavora come noi e anche più di noi! - rispose Masoria – Vedi Masoria domani parto per Parigi dove c’è un’esposizione dei nostri tessuti. Poi andrò a Brusselle (Bruxelles) per vedere una mostra di macchine tessili. Insomma anche per noi non c’è pace … voi operai, come i ragazzi per la Befana credete che i soldi cadano spulati dal camino a crosci. E invece non basta lavorare … Ah Masoria tu sapessi quante notti passo a occhi aperti e mi rigiro nel letto! … Ah voi operai, beati voi che credete che gli agi e la ricchezza portino la felicità! - Figuriamoci la miseria, signor padrone! – rispose Masoria. ( L' Esposizione Universale del 1889, si tenne a Parigi dal 6 maggio al 31 ottobre. La sede era il Campo di Marte, vicino alla Senna. L'evento è ricordato in particolare per la costruzione della Torre Eiffel, posizionata all'entrata della zona espositiva)

Alberta Piroci Branciaroli

Visita il Museo dell' Arte della Lana  situato nel complesso del Lanificio di Stia, in Casentino. Un cammino nella storia dell'arte della lana dai primordi della civiltà umana fino alla rivoluzione industriale e all'età d'oro del Lanificio di Stia: www.museodellalana.it

Immagini: 
Audrey Hepburn e George Peppard,  Colazione da Tiffany (Breakfast at Tiffany's), 1961, Paramount  Pictures
Annunciazione di Bicci di Lorenzo (1414), Pieve di Santa Maria Assunta, Stia:  https://it.wikipedia.org/wiki/File:Annunciazione_di_Bicci_di_Lorenzo_1414.jpg
Museo dell'arte della lana di Stia
Parco Nazionale Foreste Casentinesi, lo storico lanificio di Stia

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