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#iorestoacasa per mille e una notte in Uzbekistan. Da Tamerlano a Leopardi. Di Stanislao de Marsanic

#iorestoacasa per mille e una notte in Uzbekistan. Da Tamerlano a Leopardi. Di Stanislao de Marsanic

#iorestoacasa e m'incammino lungo la Via della Seta tra spezie, minareti e hammam. Uzbekistan da mille e una notte,da Tamerlano a Giacomo Leopardi. Di Stanislao de Marsanich per www.lagenziadiviaggi.it

16 Aprile 2020

Appunti di viaggio lungo la Via della Seta tra spezie, minareti e hammam
 Uzbekistan da mille e una notte
da Tamerlano a Giacomo Leopardi

di Stanislao de Marsanich per www.lagenziadiviaggi.it

Nello Zibaldone Leopardi scrive quanto sia stato colpito dalla cronaca del viaggio a Bukhara del 1820 del barone Meyendorff che annotava sul diario come i nomadi “appaiano inclini alla riflessione …e passano la metà della notte seduti su una pietra a guardare la luna e a musicare parole melanconiche …” (Voyage d'Orenbourg à Boukhara, fait in 1820, à travers les Steppes …, Paris MDCCCXXI)

Esattamente 200 anni dopo ho avuto la fortuna di assistere al bacio sensuale tra Giove e Venere in una notte d' estate nel pieno del deserto di Kyzylkum che la luna piena aveva trasformato in un idillio. Una o due vodka con quattro amici intorno al fuoco e il canto di un pastore Kazako hanno materializzato ai nostri occhi commossi, l'immaginario di Leopardi e il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” .  

Dieci giorni organizzati dall’Ambasciata dell’Uzbekistan con Uzbekistan Airways e Gs Air per  rivivere “le gesta eroiche degli avi…” lungo uno dei tratti più importanti della Via della Seta. Con sei comode ore di volo  da Roma e Milano si raggiunge Tashkent, la capitale di un Paese che spazia dalle imprese di Tamerlano all’avanguardia russa degli anni ’20; dalle scoperte astronomiche del principe Ulugh Beg, alle steppe sconfinate che dalla lontana Siberia arrivano alle oasi all’ombra dei ghiacciai del Pamir che suggeriscono le rotte per l’India. 

Pur avendo superato i 2200 anni di età e centro del “Grande Gioco” che nel XIX° secolo oppose Impero Britannico e la Russia zarista, Tashkent è una città moderna e ben collegata alle tappe del viaggio che ha toccato le regioni di Nukus, Khiva, Samarcanda e Bukhara.

Musica turcomanna e una serena accoglienza introducono al delizioso ristorante “Dervish” tra i vicoli della capitale. Ottimo il Beshbarmak (cinque dita), il piatto tradizionale delle popolazioni nomadi di origine turca. Con una mano si mangia la carne bollita (manzo o cavallo), condita con salsa di cipolle e servita a dadini su grandi tagliatelle. 

 Un’ora di volo separa Tashkent da Nukus, capoluogo del Karakalpakstan al confine con il Turkmenistan. Città sovietica e porta d’accesso al recente deserto che fino a pochi anni fa era l’immenso Lago di Aral, torrida d’estate e gelida d’inverno, Nukus ospita una delle più incredibili collezioni del Pianeta, il Savitsky Art Museum. Il “Louvre delle Steppe” è stato definito dal giornale inglese The Guardian uno dei musei più spettacolari del mondo. La passione dell’archeologo Igor Savitsky permise la raccolta in questo angolo dell’URSS di un numero incredibile di opere degli anni ‘20 e ’30. Dalla fine degli anni ’60 Savitsky sfidò la polizia sovietica per salvare i lavori di artisti perseguitati e internati nei gulag siberiani. Futurismo, espressionismo, razionalismo, realismo, impressionismo sono rappresentati qui in quello che è oggi il secondo museo dell’avanguardia russa dopo l’Hermitage. 

Le tre ore di automobile tra Nukus e Khiva lungo la nuova “Grande Via della Seta” che avvicina la Cina a Uzbekistan, Kazakistan e Kirghizistan, sono interrotte da una deviazione. Suscita curiosità la strana forma conica di una collina isolata che svetta alta tra la sabbia rossa del deserto. Si tratta in realtà di Chilpyk Kala, una fortezza di fango costruita più di 2200 anni fa sulle rive dell’Amu Daria e che lentamente si sta sciogliendo. Qui gli Zoroastriani lasciavano i defunti sulla torre per farli mangiare dai rapaci. Una purificazione naturale che impediva di contaminare il terreno con gli organi deteriorati. Solo dopo, le ossa sono venivano raccolte in vasi di terracotta e seppellite.

Arrivare a Khiva al tramonto di una calda giornata di fine giugno è una esperienza indimenticabile. L’antica città fondata da Sem, figlio maggiore di Noè, è racchiusa nella sua cinta muraria di fango. La luce rossa del sole infuoca le pareti di fango delle case; i minareti adornati con maioliche verdi, blu e azzurre cambiano tonalità ogni minuto. Lentamente le persone escono in strada per beneficiare della brezza serale. Il turismo in questo periodo si concede una breve pausa per il caldo, ma il consiglio è venire lo stesso per godere di una popolazione rilassata che ti coinvolge negli aspetti più semplici della vita quotidiana.

Nel cortile del Kuna Ark, il palazzo dei Khan di Khiva, uno spettacolo riunisce famiglie e giovani attori che recitano antiche leggende con una spensieratezza che allieva la fatica del viaggio. Tra madrase secolari e moschee imponenti, bambini e ragazzi organizzano partite di pallone. Le ragazze guardano divertite sedute su lettoni di legno coperti di cuscini presenti in ogni angolo della città. Nelle botteghe gli artigiani del legno mostrano i loro lavori e si occupano dei giovani apprendisti dell’arte dell’intaglio.

Dai vicoli spuntano la raffinata madrasa di Mohamed Amin Khan, il minareto Kalta Minor, il palazzo Tosh-Hovli con le sue 150 stanze e il meraviglioso harem da mille e una notte chiuso solo negli anni ’20 del '900 dai bolscevichi. Del X secolo è la Moschea Juma la cui eleganza lascia senza fiato. Una foresta di 250 colonne in legno intarsiato circondano la fontana invitando immediatamente alla meditazione e al raccoglimento. Prima di uscire dalla città attraverso la Polvon-Darvozache, porta d’accesso delle carovane di schiavi, e nei pressi della statua del matematico del IX secolo al-Khuwarizmi (dal cui nome deriva il termine algoritmo) e autore dello studio sulle equazioni lineari “al-Kitāb al-mukhtaṣar fī ḥisāb al-jabr wa al-muqābala” (da cui algebra), merita fermarsi a gustare un magnifico plov al Silk Road Restaurant. Conosciuto già ai tempi della conquista di Alessandro Magno, il plov è il piatto tradizionale a base di riso cotto lentamente nello zirvak, un ricco sughetto a base di carne e verdure che viene assorbito piano piano.

 Una breve sosta notturna a Tashkent raggiunta con  un’oretta di volo permette di ripartire per la mitica Samarcanda a bordo di un moderno treno ad alta velocità “Afrosiab”: due ore e otto minuti di comodo viaggio lungo le antiche rotte carovaniere tra deserto e oasi, alle porte di Tagikistan e Afghanistan. In lontananza scorrono le prime vette della catena del Pamir

 La fama, la grandiosità, la vivacità delle persone rendono Samarcanda uno dei posti più affascinanti del pianeta. Fermarsi la sera di fronte al maestoso complesso Registan lascia senza fiato specie se è in preparazione l’atteso festival biennale delle musiche orientali. Non lontano dalla grande Moschea di Tamerlano e vicino al colorato mercato delle spezie, il complesso riunisce tre madrase con le rispettive cupole e minareti volute dal favoloso Ulub Beg, nipote di Tamerlano, re e astronomo, che non lontano da qui fece costruire il suo grande osservatorio in parte ancora visibile. Senza paragoni al mondo è il complesso monumentale di Shah-i-Zinda. Una serie di piccoli mausolei fatti costruire nei secoli dalle famiglie più importanti della città; gioielli architettonici raffinatissimi arricchiti da preziose maioliche con tutte le tonalità di blu e verde ed incorniciate con infinita eleganza da poesie commoventi. 

 Buchara, ultima tappa del viaggio, impressiona per lo splendido stato di conservazione dei suoi monumenti e delle sue tradizioni. E’ forse oggi la città più emblematica di questa parte della Via della Seta che con Khiva e Samarcanda controllava lo snodo delle rotte da Est e Sud verso il Nord delle colonie genovesi del Mar Nero, e l’Ovest, attraverso Palmira e Damasco, per le rotte veneziane del Mediterraneo.

All’ombra della imponente fortezza dell’Ark, ultima resistenza dell’emiro ai soldati bolscevichi, si passeggia tra i vicoli con i profumi delle cucine e i bellissimi toks, i bazar coperti dei cambiavalute, dei gioiellieri, dei cappellai; si passa davanti ad uno dei tanti Hammam fino a sbucare nella piazza Lyabi-Hauz. Costruita nel ‘600 di fronte alla Madrasa Nadir Divenbagi, la piazza è il punto di ritrovo della gioventù di Bukhara che ai bordi della grande vasca prende il fresco sorseggiando tè sotto gelsi ultrasecolari. 

Interessante è la visita al piccolo e tranquillo quartiere ebraico da cui si raggiunge in breve la Moschea Kalon con il suo minareto di 48 metri: un faro che per secoli è stato un punto di riferimento importante per le carovane. La moschea è bellissima e tuttora può ospitare nella sua corte più di 10000 persone. Una sensazione di pace al riparo dai rumori delle strade accompagna la preparazione della preghiera della sera per cui vengono lentamente stesi all’aperto i tappeti per i fedeli che piano piano accedono dalla porta principale.

 A Bukhara la tradizione nomade della tessitura della lana è un’arte quasi ineguagliata e menzionata già da Marco Polo ne Il Milione. I magazzini dei toks sono pieni di tappeti nuovi e antichi ed è divertente contrattare i prezzi con commercianti che conoscono bene il loro mestiere pur mantenendo un ammirevole rispetto per il cliente (ndr) di turno che stordito dal caldo comincia a domandarsi come farli alzare in volo. Più di una volta mi è capitato di essere aiutato da queste persone fantastiche che mi hanno raccolto mezzo svenuto per strada per reidratarmi con tè caldo al fresco dei caravanserragli per poi imbastire una partita di calcetto "Bukhara vs Roma" al tramonto.

Una visita a un laboratorio di tappeti è imperativa ma è assolutamente da visitare un laboratorio di suzani, un tipo di tessuto decorativo in cotone o seta. Fiori, uccelli, motivi agresti sono gli elementi decorativi di queste stoffe che incantano per la loro bellezza. L’ospitalità della giovane Nassiba e della sua famiglia e un’ottima cena nel laboratorio Toshev Rakhmon ci accompagnano alla scoperta di un’arte che è più che una tradizione ammirata già agli inizi del XV° secolo da Ruy Gonzales de Clavijo, ambasciatore di Castiglia alla corte di Tamerlano. 

 Stanislao de Marsanich, appunti di viaggio in Uzbekistan

Articolo originale pubblicato su www.lagenziadiviaggi.it del 15 luglio 2015

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