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#iorestoacasa sul Monte Linas con Gabriele d'Annunzio e Giuseppe Dessì. Di Tarcisio Agus

#iorestoacasa sul Monte Linas con Gabriele d'Annunzio e Giuseppe Dessì. Di Tarcisio Agus

#iorestoacasa sul Monte Linas. Da Gabriele d'Annunzio a Giuseppe Dessì: un viaggio meraviglioso tra borghi, miniere e sentieri del Parco Letterario Giuseppe Dessì nel Parco Geominerario, storico, ambienale della Sardegna. Di Tarcisio Agus

03 Maggio 2020
Sul Monte Linas. Da Gabriele d'Annunzio a Giuseppe Dessì: un viaggio meraviglioso tra borghi, miniere e sentieri del Parco Letterario Giuseppe Dessì nel Parco Geominerario, storico, ambienale della Sardegna
Monte Linas 

Di Tarcisio Agus

 Giuseppe Dessì dalla sua casa di Villacidro, non poteva ammirare la cima della seconda montagna sarda, il Monte Linas, ma nei suoi romanzi, compreso Paese d’Ombre, ne narra. L’importante vetta sarda, sovrasta tutta l’area del Parco, ove lo scrittore villacidrese ha calato le sue opere. Questo armonico e maestoso edificio geologico, presso la sua Villacidro, sulla dorsale orientale, ci ha reso un’opera di suggestivo fascino, la cascata Sa Spendula. Semplicemente la cascata, decantata da Gabrielle d’Annunzio, con il sonetto scritto il 17 maggio 1882, in occasione di una sua visita a Villacidro:

La Spendula

Dense di celidonie e di spineti
le rocce mi si drizzano davanti
come uno strano popolo d’atleti
pietrificato per virtù d’incanti.

Sotto fremono al vento ampi i mirteti
selvaggi e li oleandri fluttuanti
verde plebe di nani; giù pei greti
van l’acque della Spendula croscianti.

Sopra, il ciel grigio, eguale. A l’umidore
della pioggia un’acredine d’effluvi
aspra esalano i timi e le mortelle.

Ne la conca verdissima il pastore,
come fauno di bronzo, erto sul càlcare
guarda immobile, avvolto in una pelle.

Così il Dessì, nel suo romanzo Un pezzo di Luna, riferendosi alla cascata diceva: 
 …Se tocco l’acqua della Spendula, so di che cosa è fatta quell’acqua, se prendo in mano un sasso ho del sasso una conoscenza che arriva fino alla molecola, all’atomo. 

Certamente il Dessì conosceva bene quella pietra, scavata nei millenni dall’acqua, e che fa parte dell’ossatura geologica principale della Sardegna. Il massiccio costituito prevalentemente da scisti e graniti del Paleozoico, detta anche Era Primaria, si è formato tra il 542 e i 252 milioni di anni fa. Il granito de Sa Spendula pare formatosi intorno ai 290 milioni di anni fa e geologicamente riconducibile al periodo Permiano Inferiore.

Il monumento naturale, alimentato dal rio Coxinas che nasce da una punta del Linas, meglio nota come Punte di Santu Miali, si materializza presso l’abitato di Villacidro ed è composto da tre salti che raggiungono l’altezza di 60 metri, anche se l’ultimo salto è quello più rappresentativo, con i suoi 25 metri.

IL massiccio del Linas consta di ben sette cime. La cima più alta, che raggiunge i 1.236 metri, viene chiamata punta Perda Sa Mesa. A seguire sono, punta Cammedda, 1214 metri; punta Sa Cabixetta, 1202 metri; punta Acqua Zinnigas, 1136 metri; monte Lisone, 1082 metri; punta Santu Miali, 1062 metri e punta Magusu, 1023. La morfologia è differente fra la presenza granitica, con forme aspre e profonde scavate dalle acque che scorrono lungo i canali ai fianchi della montagna, verso valle, e quella più morbida, costituita dagli scisti che troviamo sulla parte più elevata, come il toponimo della cima ci ricorda: punta Perda Sa Mesa, punta pietra del tavolo, con riferimento agli scisti di superficie liscia e piana. Tra le forme aspre che le acque hanno scavato troviamo altre tre cascate: Riu Linas, Muru Mannu e Piscina Irgas, sul versante villacidrese.

In questo lungo cammino formativo, che ha contribuito con i suoi dilavamenti a colmare la sottostante valle della pianura del Campidano, non sono mancate le aree di formazione mineraria che si sono irradiate nel nostro Parco ed in particolare nei territori dei comuni di Villacidro, Gonnosfanadiga, Guspini, Arbus, Fluminimaggiore e Buggerru.
Il mio primo ricordo del Monte Linas è dato da un soggiorno montano, proprio presso una di queste miniere, in regione Sibiri, sul versante occidentale, quando da ragazzo partecipai ad uno spartano campeggio organizzato da un giovane e dinamico sacerdote, don Michele, che a Guspini, nel 1957, fondò il primo oratorio maschile dell'isola. L'amena località porta al complesso minerario, già da allora abbandonato, e noto come miniera di Fenugu Subiri.

Concessione del 1876, data ad un ingegnere francese Emile Jacob ed al sig. Vittorio Baron. Il suo sfruttamento, per il piombo, l'argento e lo zinco, non ebbe grande successo per gli scarsi investimenti, tanto nel 1935, l'ultimo concessionario, la società francese Malfidano, che già deteneva le miniere di Buggerru, rinunciò allo sfruttamento. Ci furono altri tentativi di sfruttamento, ma non andarono a buon fine. Il campeggio era costituito da tende e da un vecchio rudere che ospitava la zona notte, con letti a castello in telaio in ferro e telo di sacco per rete. Nello splendido scenario di boschi e ripide cascatelle del rio Fenugu Sibiri che fiancheggiava il nostro insediamento, venne eretta, non saprei se da minatori, che da li passavano, una piccola edicola che custodiva la statua della Madonna, luogo di preghiera e di raccoglimento.

La seconda volta che ebbi a che fare con l'imponente montagna del Linas, fu negli anni del mio insegnamento nella scuola media di Gonnosfanadiga, comune nel quale ricade buona parte della montagna, quando con il mio collega e amico Vincenzo, eravamo soliti condurre la nostra 3° C, sulla cima. Per diversi anni mantenemmo il rito, con grande apprensione ogni volta, ma con piena fiducia dei genitori, che mutavano, come gli alunni e alunne ogni anno. Furono giornate indimenticabili, con i nostri mezzi e con l'altro collega e amico Salvatore, portavamo, gli alunni, come prima tappa, in un pianoro denominato Togoro, a quota 800 metri, anch'esso luogo di ricerche minerarie che però non ebbero successo.
Lasciato l'abitato di Gonnosfanadiga, dopo alcuni chilometri, la strada era asfaltata, ci si immetteva in uno sterrato che man mano saliva sino a raggiungere una serie di ripidi tornanti, noti come Is Pesadas de Cesa, ultimo tratto che ci immetteva nel pianoro di Togoro, ma poneva ogni volta a dura prova la frizione e le gomme delle auto, spesso tagliuzzate dagli abbondanti frammenti di scisto che ne costituivano la sede stradale. Lasciate le auto, con la sapiente guida di Vincenzo, in fila indiana lungo il sentiero che ci portava intorno a quota 1000 metri, dove si stabiliva il campo base. In posizione dominante si poteva, già da quell'alta postazione, osservare la piana del Campidano sino ai monti del Gennargentu.

Protetti da un residuo bosco, costituito da vecchie querce, sopravvivenze di un querceto molto più vasto, chi non si sentiva di raggiungere la cima, stava con l'insegnate di turno a preparare il pranzo, il resto saliva attraverso un nudo, soleggiato ed arduo sentiero, sino in cima. L'ambito traguardo montano, era da tutti salutato con grande gioia ed immenso stupore per il vasto paesaggio che si apriva al nostro cospetto. Nelle limpide giornate era possibile scorgere il promontorio di Capo Caccia ad Alghero, la montagna del Gennargentu, la Giara di Gesturi e la vasta piana del Campidano, verso il nord. Ad est, Cagliari e la sua inconfondibile Sella del Diavolo, mentre sud, sud - Ovest, era il mar di Sardegna, le dorate dune di Piscinas e le isole di Sant'Antioco e San Pietro. Immersi in un irreale silenzio, non ci si stancava nel godere di quell'affascinante paesaggio che si spiegava ai nostri piedi, a trecento sessanta gradi. Una emozione ogni volta.

Prof. Tarcisio Agus
Presidente del Parco Geominerario, Storico, Ambientale della Sardegna

Vedi anche :
www.parcogeominerario.eu
www.fondazionedessi.it

in foto:

Foresta del Campidano
Monte Linas
I ragazzi del campeggio a Subiri con don Michele
Sa Spendula



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