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Il tempio di Antas, nella Conca S'Omu  tra i rilievi dell’Iglesiente. Di Tarcisio Agus

Il tempio di Antas, nella Conca S'Omu tra i rilievi dell’Iglesiente. Di Tarcisio Agus

Il tempio di Antas, nella vallata Conca S'Omu incastonata tra i rilievi dell’Iglesiente nel Parco Giuseppe Dessì. Di Tarcisio Agus*

06 Giugno 2020
Parco Letterario Giuseppe Dessì
Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna
Viaggio nell'altra Sardegna: il tempio di Antas, nella vallata Conca S'Omu incastonata tra i rilievi dell’Iglesiente 

 Di Tarcisio Agus

 Nella lingua dei sardi Antas è sinonimo di porte. Certamente il temine dato a quest'angolo di Sardegna, ricadente nel comune di Fluminimaggiore, parte integrante del Parco letterario Giuseppe Dessì, nonché del Parco Geominerario, trae origine dalle numerose “porte”, costituite dai colonnati sormontati da travi del tempio romano.

Sito in una splendida vallata dal nome Conca S'Omu, valle della casa, che annovera più antiche frequentazioni che ci riportano indietro nel tempo ed in particolare al X-IXsecolo a.C. in fase nuragica. Questo più antico insediamento, a monte del tempio, mantiene una sua continuità anche in fase punica, sino alla metà del II secolo a.C. con la costruzione di un importante e solitario luogo di culto. Proprio le ultime due frequentazioni ci hanno reso l'intitolazione del complesso sacro: in fase punica il tempio era dedicato al dio guerriero e cacciatore Sid Addir, mentre quello romano, che trae origine in continuità con quello punico, e prima ancora con quello nuragico, lo intitola alla divinità sarda del Sardus Pater Babai. Dai dati archeologici si può affermare che venne eretto in fase romana, per volontà di Augusto (27 a.C. 14 d.C) e restaurato durante l'impero di Caracalla (213 - 217 d.C.), a conferma della sua costruzione romana, restano i resti frammentati dell'epigrafe sul frontone che hanno permesso il recupero di parte dell'intitolazione: “Imperatori Caesari M. Aurelio Antonino. Augusto Pio Felici templum dei Sardi Patris Babi vetustate conlapsum (...)”.

Del tempio e di quel luogo fatato ne conservo memoria indelebile, per le emozioni vissute.Giovanni, giovane direttore archeologo della Soprintendenza di Cagliari e Oristano, mi chiama una sera grigia del febbraio 1984, per chiedermi se lo accompagnavo ad Antas, nel comune di Fluminimaggiore, per un sopralluogo. Mi spiegava che vi erano previsti degli scavi che il prof. Barreca, allora Soprintendente, avrebbe dovuto effettuare nell'area del tempio. Purtroppo le condizioni di salute dell'illustre e storico soprintendente erano in quel periodo molto precarie, per cui venne incaricato Giovanni per portare a compimento il lavoro di ricerca.

“Come non accompagnare Giovanni!”, mi dissi. Profondo conoscitore di quel mondo fantastico ed ancora misterioso che ha costellato l'isola di Sardegna di migliaia di torri megalitiche. Puntuale alle 9 del mattino, lui che veniva da Cagliari, sotto casa, lungo la direttiva Guspini Fluminimaggiore. La giornata era cupa e nuvolosa, non si capiva se il sopralluogo lo avremmo potuto svolgere oppure no. Ci inerpicammo lungo i tonanti che ci portano al primo passo, quello di Genna e Frongia, 384 metri s.l.m, le nuvole erano basse ad a mala pena si scorgeva l'abitato di Arbus, che si spande subito dopo il passo verso sud. Era il primo tratto dei restanti numerosi chilometri che ci attendevano per arrivare alla meta e tutti con le stesse caratteristiche, una successione di curve, una dietro l'altra, prima in discesa e poi sempre in ascesa sino al passo Biderdi (492 m.l.m), che ci immetteva nella lunga china, sempre intrisa di curve e tornanti. La giornata non ci permetteva di anteporre alla sequenza di curve, la bellezza del paesaggio che si attraversava, purtroppo le goccioline d'acqua ci privavano la visione dell'ampio paesaggio, che, a tratti, discende sino ad infrangersi nel blu del mare di Sardegna.

Un po di respiro lo si ebbe nell'attraversare il grazioso centro di Fluminimaggiore, inserito in una verde conca ed attraversato dalle acque del rio Mannu. Ancora uno sforzo, per riprendere qualche chilometro ove avrei potuto illustrare, a Giovanni, intento alla guida, la miniera di Su Zurfuru e la grotta Su Mannau, che troviamo lungo il percorso che ci separa dal bivio per Antas, ma le nubi ci consentivano appena di vedere la strada ed i bordi strada.

Finalmente il bivio, ci accoglie uno sterrato, stavolta pianeggiante, tra prati verdi e scorci di vecchie fattorie. Arrivati presso il tempio, lasciammo l'auto in uno spiazzo dal quale però non si scorgono le antiche rovine. Un breve sentiero ci eleva sulla silenziosa ed immensa conca ove le nubi sembrano ritrarsi per donarci la suggestiva ed affascinante visione del tempio del Sardus Pater. Non era la prima volta che visitavo Antas, ma quel giorno e quella atmosfera che la natura ci offriva è stata irripetibile. Nel silenzio più profondo, solo le nubi si animavano, mentre andavano da ponente a levante, quasi potevamo toccarle, tanto erano basse. Giovanni, dopo un ampio giro attorno al tempio, io lo seguivo attento ed incuriosito, si fermò, scrutando il terreno presso la scalinata del tempio, tra l'erba più o meno folta ed il colore della terra, per soffermarsi repentinamente, quasi stesse dialogando con essa, la scrutava, si adagiava e si rialzava con fare sospettoso sino a che, fermandosi, mi disse: “In questo punto faremmo le nostre ricerche”. Il tempo di rialzare lo sguardo, da quello spazio prescelto, che le nubi ci avvolsero, rilasciando su di noi e sulle antiche testimonianze, soffici fiocchi di neve. In quella ovattata atmosfera, immersa in un misterioso silenzio, terminammo la nostra escursione di lavoro per rientrare alle nostre case.

Trascorse qualche mese, ormai la primavera inoltrata riscaldava l'area e Giovanni aveva avviato il cantiere su quel tratto antico di terra, presso il tempio. Purtroppo il mio lavoro da insegnante non mi permetteva di seguire lo scavo scientifico, posto in essere dal mio caro amico direttore archeologo.

Però mi teneva informato e per telefono, mi narrava delle sepolture a fossa presenti in quel tratto individuato ed una di queste, presumibilmente danneggiata da vecchi lavori di pulizia e riordino, mi narrava, aveva restituito parte, presumibilmente, di un più ampio e prezioso corredo.

Le tre sepolture erano costituite da altrettanti pozzetti circolari del diametro che variavano tra gli 80 - 85 centimetri, con una profondità che oscillava dai 35 ai 68 centimetri. Chiamate semplicemente T1 -T2 -T3 (Tomba uno, due e tre). Mi narrava che la tomba due restituì solo una perla in cristallo di rocca, pur essendo più profonda della uno, che invece aveva restituito, oltre a due vaghi di collana in oro, una perlina di bronzo ed il resto di un inumato.

Lo ascoltavo con attenzione, immaginando quegli interessanti e misteriosi ritrovamenti, nonché l'emozione di Giovanni, perlomeno per gli elementi della T1, con i suoi vaghi in oro ed i resti scheletrici. Provai a chiederle a che periodo potesse risalire la scoperta, ma lui, molto riservato e preciso, come suo solito, preferiva non rispondermi.

Eravamo in procinto di congedarci, che subito mi pone la domanda: “Quale è il tuo giorno libero?”, senza alcuna esitazione risposi:“mercoledì”, “bene!”, rispose lui, e poi aggiunse: “mercoledì passo a prenderti, stiamo per intervenire sulla T3”. Dopo quelle narrazioni e l'inaspettato invito, mi sentì euforico e ansioso, dovevo attendere ancora quattro giorni, perché potessi rivivere una nuova esperienza con lui, come quella di tre anni prima, presso la tomba di Giganti “S'Omu de S'orku” (la casa dell'orco), a Gonnosfanadiga. I giorni trascorsero veloci e Giovanni, con la sua rinomata puntualità, passò a prendermi. Il viaggio scorse veloce, nonostante le tortuosità del cammino ed i 59 km., che ci separano dall'importante valle del tempio. 

Gli operai erano già sul posto ed avevano preparato l'area per gli scavi, attendevano l'arrivo del direttore archeologo, che salutarono cordialmente ed altrettanto fecero con me.

Quel circolo scuso che si discostava, con evidente diversità cromatica sul terreno, all'interno di una quadrettatura per il suo rilevamento, venne da subito accarezzato con i dolci colpi della piccozza dell'esperto archeologo, che in alternanza, picozza e scopino, cercava di svelarne il misterioso contenuto.

Subito emerse un coccio che Giovanni rigirò e spolverò ripetutamente, sino ad un accennato sorriso, chiedendomi di riporlo nella bustina di plastica per la sua custodia. Ma non trascorse tanto tempo che il pennello mise in luce un vera bronzea e poi in rapida successione, quasi si fosse aperto lo scrigno, ora uno, due, tre vaghi di cristallo di rocca, perfettamente sferici e a seguire, quattro perle differenti fra loro, in ambra. Così, in successione, altri tre vaghi di collana, con colorazioni che andavano dal verde al giallo ocra. Una emozione infinita ed una gioa palpabile ad ogni incrocio di sguardi, senza proferire parola alcuna e per finire, poi, con l'emersione di un nuovo elemento decorativo, costituito da una sfera centrale e due strombature laterali, forse il pendaglio della collana, in argento. Una emozione infinita e prima di asportare i preziosi e unici reperti, foto e rilievi, che evidenziavano la perfetta disposizione a circolo e che Giovanni, con grande emozione, mi spiegava fosse l'uso antropaico del monile, atto ad allontanare il maligno da quella sepoltura. L'emozione era forte, raccolti e catalogati i reperti che avevano elettrizzato tutti, compresi gli operai, anch'essi incuriositi, appena avevano saputo della scoperta, grazie ad uno di loro, che aveva sbirciato, transitando nei pressi dello scavo.

Tutto questo lavoro che aveva portato all'asportazione di appena venti centimetri dello sterrato, impegnò Giovanni per quasi tutta la mattinata. Nella pausa pranzo cercai di saperne di più interrogandolo, ma lui sorrideva ma non si sbilanciava.

Riprendemmo i lavori dopo la pausa pranzo, con il sole quasi a picco che ci scaldava il corpo.

Riponendo la picozza, vidi Giovanni iniziare lo scavo con il bisturi e lo scoppino, cominciava ad affiorare una calotta cranica e poco più distante, nitide apparvero le ossa carpali di una mano, ma sembravano aggrovigliate e ad un certo punto, dopo l'ennesimo passaggio dello scopino, Giovanni, alquanto trafelato, mi disse: “Tieni lontano gli operai” e scostandosi, mi fece notare quell'elemento strano fra le minute ossa. Subito mi disse: “Cosa ti sembra, è una fibula?” ed io le risposi: “Non saprei mi sembra una posizione strana per essere una fibula, ameno che non sia parte integrante della disposizione antropaica?”. Sorrise, rituffandosi in giù col capo, a completare lo scavo che sempre con più evidenza stava restituendo lo scheletro integro di un umato, deposto in forma fetale e un corredo unico, di grande pregio scientifico.

Gli operai avevano terminato il turno di lavoro e restammo soli io e Giovanni, a completare il lavoro di grandi emozioni e immensa soddisfazione. Nelle mani non deteneva una fibula, ma uno splendido bronzetto di 12 centimetri. Dopo questa importantissima scoperta e tutti quegli elementi, chiesi ancora se ora fosse in grado di datare la sepoltura. Lui, con aria perplessa, rigirando il coccio e pensando al bronzetto, mi rispose: “Una possibile datazione potrebbe ricondurci a cavità funerarie dell'Età del Ferro o Bronzo Finale, forse X secolo a.C., ma ora”, raccogliendo le ultime cose, aggiunse: “Bisogna studiare a fondo il tutto, con attenzione e con scientificità”. Mi ricondusse a casa, intorno alle 10 della sera, ove consumò una frugale cena e fattomi ammirare per l'ultima volta l'importante reperto nuragico, ancora con addosso le incrostazioni argillose che ne camuffavano l'aspetto, si congedò. Rividi il bronzetto, finalmente ripulito, nei laboratori della soprintendenza, ignudo, con la sua spada a foglia e la mano destra sollevata in segno di saluto. 

 Professore Tarcisio Agus

Presidente del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna

Vedi anche :
www.parcogeominerario.eu
www.fondazionedessi.it
Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari

Foto: 
Antas, da Sardegnaturismo
Antas, Comune di Fluminimaggiore 
Bronzetto da "L'Antiquarium Arboree". 

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