Solo le tombe dei giganti rispondono al vero carattere di questa terra e attestano una civiltà autoctona spentasi senza lasciare altre tracce. (Giuseppe Dessì - Paese d’ombre)
Parco Letterario Giuseppe Dessì
Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna
Il Carattere di questa terra.
Tomba dei giganti.
di Tarcisio Agus*
Solo le tombe dei giganti rispondono al vero
carattere di questa terra e attestano una civiltà autoctona spentasi senza
lasciare altre tracce. (Giuseppe Dessì - Paese d’ombre)
Nell'inconscio collettivo la tomba dei giganti
da sempre anima le nostre menti, portandoci su scenari fantastici e misteriosi.
La sua suggestiva forma e monumentalità, è parte integrante di quella civiltà
autoctona spentasi, così come ci ricorda il Dessì, senza lasciare altre tracce.
La civiltà nuragica, a cui fa riferimento il
Dessì, conosceva bene questo particolare monumento, che osservato dall'alto
richiama il volto del toro, nella mitica rappresentazione del Dio Toro,
tanto caro ai nuragici e nella giovane
fantasia dei ragazzi, viene da sempre considerato il luogo di sepoltura
dei giganti.
Il territorio del Parco Letterario, di questi
monumenti ne annovera una cinquantina, sparsi nei luoghi più diversi,
all'interno della vasta area di ampia frequentazione nuragica.
Periodo di particolare importanza per l'isola di
Sardegna che a partire dal 1800 a.C, perdura per circa 1500 anni, sviluppando
una cultura unica nel mediterraneo che non ha eguali al mondo.
Le tombe di giganti fanno parte di quella
architettura megalitica che fa uso di grossi massi nell'edificare imponenti
opere, quelle più rappresentative sono
date dai Nuraghi.
Il monumento funebre e religioso, che oggi
scopriamo o riscopriamo, risulta essere molto importante nel contesto nuragico
per la sua funzione, ma anche per la sua rappresentazione culturale ed
architettonica.
Gli studiosi dell'800 proposero di riconoscere
in queste strutture, le tombe degli eroi guaritori.
Costituite da un corpo rettangolare che ospita
la camera delle sepolture multiple e da un corpo ellittico sul frontone,
chiamato esedra, spazio a forma
lunata o a corna di bue, che il prof. Giovanni Lilliu definiva adatto al rito
dell'incubazione. Pratica magico
religiosa, già nota in epoca sumerica, che consisteva nel dormire presso
l'area sacra dell'esedra, nella ricerca di rivelazioni, oppure nella speranza
di ricevere cure e benedizioni per il futuro, per il tramite degli antenati
defunti.
Per la prima volta del rito dell'incubazione in
Sardegna ne parla Aristotele, commentando l'abitudine dei sardi di dormire
presso gli eroi.
Nel territorio del nostro parco letterario è
presente uno dei monumenti funerari più importante della Sardegna, venne eretto
nel territorio del comune di Gonnosfanadiga, ai confini dei comuni di Arbus e Guspini, in loc. San
Cosimo.
Località quest'ultima ampiamente frequentata nel
periodo nuragico, tanto che insistono nell'area diversi nuraghi e tombe dei giganti.
Il nostro sepolcro, chiamato genericamente tomba
di San Cosimo, per la vicinanza alla chiesetta campestre sorta in fase medioevale, ha una sua più puntuale
denominazione, da sempre nota come; Sa Grutta de Santu Giuanni, la
grotta di San Giovanni.
Il termine grotta fa certamente riferimento al
profondo corridoio funebre, fra i più lunghi sino ad oggi censiti. Corridoio di
forma trapezoidale, che raggiunge la lunghezza di metri 20,60, ricoperto da
lastroni a piattabanda, mentre la corda dell'esedra raggiunge i 17,70 metri.
L'altezza media della camera è di m.1,90, la larghezza inferiore di m. 1,50 e
nella parte superiore, va restringendosi sino a m.0,85.
L'intitolazione del monumento a San Giovanni,
può essere avvenuto già in fase romana. Nel V secolo Sant'Agostino dava notizie
dei festeggiamenti della natività di San Giovanni Battista, il 24 giugno,
coincidente con il sodalizio d'estate. Nell'antica Roma il solstizio d'estate
corrispondeva alle feste della Dea Fortuna. Il templi alla Dea dedicati,
nell'importante ciclo solare, erano meta degli umili ed indigenti, per offrire
sacrifici, trascorrendo il resto della giornata in banchetti presso il tempio,
con canti e balli che si protraevano, attorno al fuoco, nella notte della
vigilia, con funzioni purificatrici e propiziatrici. Le stesse funzioni, al
sole nascente, venivano riconosciute all'acqua unita a fiori ed essenze naturali.
L'esposizione ad est dell'esedra, ove si
svolgevano i riti magico religiosi dell'incubazione, sono poi confluiti nei
riti cristiani, al sole nascente del 24 giugno, celebrazione di San Giovanni
Battista. Ancora oggi nelle nostre comunità si mantiene il rito della
purificazione con l'uso del fuoco e
dell'acqua, con le erbe e fiori
naturali. Nel nostro territorio, ma non solo, alla vigilia del 24 giugno,
perdura l'usanza nei vari rioni, ove le donne ancora preparano un catino
d'acqua, con una misceliana di erbe aromatiche e fiori, che lasciano riposare
per tutta la notte. Al sorgere del sole,
le persone che si lavano il viso con l'acqua lustrale, rafforzano la propria
amicizia e la cementano per la vita, diventando comari o compari dei fiori, Gòmmâi
o Gòppâi de fròris.
Un sito, il nostro di San Cosimo, di antica
frequentazione che è andato, come molti monumenti antichi, abbandonato e
divenuto poi meta dei tombaroli, alla ricerca de Su scussorgiu, il
tesoro.
Il monumento, nel tempo a noi prossimo, ebbe un
importante intervento di ricerca nel
1981 e già si conoscevano interessanti manufatti provenienti da scavi
clandestini, infatti il deposito della camera, al momento degli scavi del 1981
era sconvolto ad eccezione di una parte retrostante l'ingresso. Dei manufatti,
oggi custoditi nei musei archeologici di Sardara e Cagliari, si sono recuperati
delle olle biansate dall'orlo ripiegato a tesa interna e ornate con nervature a
bozze mammillari in rilievo, così pure vasi con triangoli a grosso punteggio. Decorazioni
ornamentali conosciute e rinvenute anche in altri contesti tombali dell'isola e
non solo, che hanno permesso di datare il complesso funerario tra il XV e il
XIV sec.a.C., meglio noto con l'appellativo di: Età del Bronzo Medio.
Gli scavi, oltre che metter in piena luce
l'importante monumento funerario, evidenziarono entro l'esedra dei circoli,
probabili tombe di epoca successiva ed
una piccola tomba di giganti.
Ma l'ulteriore elemento, rinvenuto in quella
parte scampata ai saccheggi, ha restituito un'importante testimonianza che
avvalorerebbe i contatti commerciali e forse anche culturali di questo periodo
e del territorio con il mondo
miceneo. La civiltà micenea fiorita in
Grecia tra il 1600 e 1100 a.C., prese il nome dalla sua capitale Micene.
Considerato dalle fonti popolo guerriero, come quello nuragico, i micenei
seppellivano i loro morti in tombe dette a thòlos, costruzioni
circolari come i nostri nuraghi, ma in
sotterraneo. Siamo nella piena sfera del megalitismo, che a Micene viene rappresentato
nell' acropoli cinta da mura ciclopiche e dalle tombe a thòlos, mentre
in Sardegna assistiamo ad un megalitismo diffuso su più monumenti, come
l'esplosione di thòlos aeree dei nuraghi, prima semplici poi complessi,
mentre le thòlos interrate le ritroviamo
nei nostri pozzi sacri, come le tombe micenee, ma con funzioni non di
sepoltura, ma specificamente religiose. Così pure appartengono al suddetto
megalitismo le nostre tombe di giganti e le fortificazioni nuragiche, come
quella vicina di Saurecci, nel comune di Guspini.
L'importante scavo, a cui ho avuto modo di partecipare con il caro amico, Prof. Giovanni Ugas, ha restituito una ciottola a calotta sferica e altri frammenti di olle e tazze carenate, ma gli elementi che ci accostano al mondo miceneo ci sono dati dal ritrovamento di 67 grani di monili, in buona parte integri. Presumibilmente elementi di collane che adornavano il collo dei defunti, sono costituiti da grani in pastiglia, di cui sette a dischetto di color verde acqua alcuni e quasi turchese gli altri. Due verde chiaro, due crema e tre perline segmentate a cilindretto color verde acqua. Una rotellina dentata verde acqua e una perlina sferico schiacciata, sempre verde chiara. Mentre i grani di vetro sono quasi tutti di forma sferico schiacciata o sferico appiattita, di cui cinque color blu, cinque azzurri, due nocciola, uno nero con riga bianca e uno variegato bianco blu. Un probabile pendaglio in vetro verde quasi turchese, con forma cruciforme con foro cilindrico e quattro globuletti, legati al corpo centrale quadrangolare con pasta giallina.
Preziosi elementi che concorrono alla datazione
del monumento, in quanto un importante conoscitore di contesti similari nel
mediterraneo, il Prof. Bernabò Brea
ritiene che dette collane siano state importate dalla regione elladica e
databili al 1400 -1300 a.C.
Questo nostro ritrovamento ed altri similari in
Sardegna fanno presupporre strette relazioni tra il mondo miceneo ed il mondo
nuragico, fin dal XV secolo. Storia che
merita approfondimenti ed ulteriori ricerche sul campo, perché la similitudine
del popolo nuragico, spentosi senza lasciare altre traccie, ci accomuna
fortemente al popolo miceneo, spentosi senza lasciare altre traccie.
*Presidente del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna
Vedi anche :
www.parcogeominerario.eu
www.fondazionedessi.it
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In foto: la Tomba Sa Grutta de Santu Giuanni; La camera corridoio; ipotesi ricostruzione collana micenea; Olla a tesa interna custodita nel museo archeologico di Cagliari.