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#iorestoacasa a Montalbano Jonico e leggo Francesco Lomonaco e Alessandro Manzoni. Di Vincenzo Maida

#iorestoacasa a Montalbano Jonico e leggo Francesco Lomonaco e Alessandro Manzoni. Di Vincenzo Maida

#iorestoacasa nel Parco Letterario Francesco Lomonaco di Montalbano Jonico e leggo della straordinaria vicenda di Francesco Lomonaco, il Plutarco italiano amico di Foscolo e ammirato da Manzoni. Di Vincenzo Maida

07 Aprile 2020
 Parco Letterario Francesco Lomonaco di Montalbano Jonico
Francesco Lomonaco
e Alessandro Manzoni
di Vincenzo Maida*

  Francesco Lomonaco, esule a Milano dopo la precipitosa fuga per sfuggire alla repressione borbonica seguita ai fatti del 1799, oltre che medico e amico di Ugo Foscolo, conosce un giovanissimo Alessandro Manzoni dal quale viene considerato un maestro.
Molti anni dopo durante il mese di agosto del 1866 l’on. Francesco Lomonaco, segretario della Camera dei Deputati e omonimo pronipote di incontra a Milano l’anziano autore dei Promessi Sposi e massimo poeta italiano dell’epoca poco tempo prima che morisse. La cronaca di quell’incontro venne pubblicata sul Corriere della Sera del 12-13 ottobre del 1876 n° 219, quasi dieci anni dopo.
Alessandro Manzoni, senatore del Regno d’Italia, accolse il giovane Lomonaco con queste parole: “Non avrei mai creduto che conosciuto un Francesco Lomonaco nella mia giovinezza, avessi poi dovuto avere suo nipote a compagno nel parlamento nazionale.
Manzoni aveva 17 anni quando dedicò al suo amico Francesco Lomonaco un sonetto, dopo che questi aveva pubblicato la vita di Dante, nel libro Vite degli eccellenti italiani.

Ed ecco come il Corriere della Sera ricordò quell’incontro.

“In una giornata del mese di agosto del 1866, un giovine alto, dai capelli e baffi neri, dal volto abbronzato e dall’aria distratta, si recava a Brusuglio, dimora estiva di Alessandro Manzoni. Annunziato il nome, fu introdotto immediatamente. Don Alessandro gli andò incontro, e, dopo averlo squadrato con una di quelle sue occhiate intelligenti, gli strinse la mano come a una vecchia conoscenza, e gli disse così: “Francesco Lomonaco era così basso, e lei è così alto; ma c’è l’aria del volto e si chiama anche Francesco!” 

 Don Alessandro, nel nome e nell’aria del volto di quel giovine, rammentava Francesco Lomonaco, al quale aveva dedicato un sonetto. Manzoni aveva amato Lomonaco come maestro e amico. Dopo cinquantasei anni, gli parve che rivivesse nel giovane Francesco, deputato al parlamento italiano, lo spirito dell’avo, gli fece festa, e volle minute notizie della famiglia, del pittoresco Montalbano, culla dell’antico e patriottico casato.

Volle sapere tante altre cose e molte ne disse egli sul vecchio amico. Parlò della sua gioventù, degli studi e delle scapataggini, dei primi passi tentati insieme nel cammino delle lettere in una età singolare, in una società singolare come quella di Milano al tempo della Cisalpina e di Eugenio, e sotto gli sguardi di un uomo singolarissimo, Napoleone, all’apogeo della gloria e della potenza.

Il povero Lomonaco – disse il Manzoni – era ardente, affettuoso, veramente meridionale, ma ebbe un ingegno sfortunato, e negli ultimi tempi fu infelice e si tolse la vita, egli che nei suoi discorsi filosofici e letterari, pubblicati a Pavia due anni prima, aveva combattuto il suicidio, come prova di animo debole. Ma il suicidio era la malattia dell’epoca, e quasi non passava giorno che non se ne contassero, soprattutto nell’esercito. Qualche tempo dopo del suicidio di Lomonaco a Pavia, si uccide a Milano il capitano Foscolo, fratello di Ugo, in ancora giovane età.

Lomonaco era un uomo di talento, come tutti gli emigrati napoletani del 1799. Quell’emigrazione concorse alla cultura in Lombardia. Non conoscevamo quasi il Vico, e furono gli emigrati napoletani che ce l’hanno fatto conoscere. Coco era un uomo di grande ingegno, ma era pigro, anzi pigrone: Lomonaco era studiosissimo, e i suoi libri lo dimostrano; pensava molto ed aveva un gran corredo di studi storici e classici, ed era per tutti noi un dottore. 

Il Collegio Ghislieri di Pavia fu trasformato da Napoleone in una scuola politecnica-militare, e Lomonaco, in seguito a pubblico concorso, vi ottenne l’insegnamento della storia e della geografia, e vi lesse il primo giorno una bella prolusione circa l’importanza della storia e della geografia sulle cose della guerra. Lomonaco aveva concorso per titoli, come si dice oggi, e il Ministro Vaccaro mandò i libri di lui a Vincenzo Monti, perché li esaminasse. Il Monti li lesse, li lodò assai, nonostante la forma un po’ negletta: e Lomonaco ottenne la cattedra, e andò a Pavia, dove visse tre anni una vita di studi. Credeva, forse a torto, di avere dei nemici implacabili, era divenuto triste e quasi insocievole.

Morì filosoficamente. Si levò dal letto all’ora solita: era la mattina del primo settembre 1810: scrisse una lunga lettera al fratello, si vestì degli abiti da festa, uscì di casa e andò al caffè del Barilotto, dove bevve un bicchiere di vino, e andò sul Navigliaccio, presso S. Lanfranco, luogo molto solitario, e si buttò nella corrente, in quel giorno rapidissima; un soldato cercò di salvare il suicida, ma lottò invano con le onde, e per poco non ne fu inghiottito anche lui. La triste fine del Lomonaco fu molto compianta. A Pavia ebbe solenni esequie, e noi, suoi amici, ne fummo addoloratissimi.

Immaginate l’impressione del giovane deputato di Matera che sentiva discorrere in quel modo del fratello del suo bisnonno dal maggior poeta vivente d’Italia, che gli era stato amico e compagno di studi. Il patriottismo, l’abnegazione e la generosità sono tradizionali in casa Lomonaco. Suo nonno morì nelle prigioni di Potenza nel 1822, per aver preso parte al moto insurrezionale del 1820 finito infelicemente ad Androdoco.” 

Questa la lettera che Francesco Lomonaco inviò al fratello prima di suicidarsi:

Caro ed amato fratello,
dopo l’epoca della stampa del mio ultimo libro Discorsi filosofici e letterari, io sono stato il bersaglio della maldicenza, della delazione la più infame e della calunnia. I miei fieri e implacabili nemici, non contenti di tutto ciò, muovono ora tutte le macchine per perdermi, sicché profittando degli esami pubblici che i signori allievi di questa Reale Scuola debbono fare, s’ingegnano che essi riescano a mio svantaggio, per seppellire nella vergogna il mio nome. Le prove che ho sono tanto lampanti che non mettono alcun dubbio. Ma perché ciò non accada, ho destinato di troncarmi la vita. Se vissi sempre indipendente e glorioso, voglio morire indipendente e gloriosissimo: so che questo passo fatale vi amareggia immensamente, ma col fato non lige dar di cozzo. Spero che gli autori della fine dei miei giorni avranno l’umanità di farvi pervenire un po’ denaro ed un oriulo d’oro frutto dei miei lunghi ed assidui studi. Saluto voi, i cari nipoti, la sorella, la cognata, i parenti tutti. Arrivederci all’altra vita. 
Ciccio 

 Vincenzo Maida.  Presidente del Parco Letterario Francesco Lomonaco

6 aprile 2020

www.parcoletterariolomonaco.it

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