Quanto c'è di qui all'Adda? – gli disse Renzo, mezzo tra' denti, con un fare da addormentato, che gli abbiam visto qualche altra volta. All'Adda, per passare? disse l'oste. Cioè... sì... all'Adda. Volete passare dal ponte di Cassano, o sulla chiatta di Canonica? Dove si sia... Domando così per curiosità. Eh, volevo dire, perché quelli sono i luoghi dove passano i galantuomini, la gente che può dar conto di sé. Va bene: e quanto c'è? Fate conto che, tanto a un luogo, come all'altro, poco più, poco meno, ci sarà sei miglia. Sei miglia! non credevo tanto, disse Renzo.
IN RIORGANIZZAZIONE
ALESSANDRO MANZONI
INFANZIA E ADOLESCENZA
Alessandro Manzoni nacque a Milano il 7 marzo 1785, da Giulia Beccaria, figlia del celebre illuminista Cesare (autore del trattato Dei delitti e delle pene) e dal conte Pietro Manzoni, modesto gentiluomo lombardo molto più anziano della moglie. Il matrimonio tra due non era molto felice e alla sua nascita in molti indicarono in Giovanni Verri, fratello minore di Pietro e Alessandro, il padre naturale; i due coniugi si separarono molto presto e la madre andò a vivere prima a Londra e poi a Parigi, dove convisse con Carlo Imbonati.
Il giovane Alessandro ricevette la prima educazione nel collegio dei Padri Somaschi e dei Barnabiti, vivendo nella casa paterna e provando una certa insofferenza verso il genitore e l'educazione repressiva che gli imponeva. Nutrì simpatie politiche per le posizioni giacobine e, in letteratura, si avvicinò al Neoclassicisimo, scrivendo il poemetto Il trionfo della libertà e l'Idillio Adda, nonché quattro sermoni. Le biografie ottocentesche accentuarono molto i caratteri della sua gioventù "dissoluta" e dedita a piaceri mondani, per far risaltare meglio la successiva conversione religiosa e l'adesione alla fede cristiana (del tutto leggendario l'aneddoto secondo cui Vincenzo Monti l'avrebbe rimproverato dopo averlo visto giocare d'azzardo), ma è indubbio che in questa prima fase della sua vita il futuro scrittore era molto lontano dai problemi della religione e, pur non essendo apertamente ateo, praticava uno stile di vita alieno da remore di tipo morale. LA GIOVINEZZA A PARIGI Un momento importante di svolta fu il 1805, quando raggiunse la madre a Parigi e scrisse nell'occasione il Carme In morte di Carlo Imbonati, in cui riprendeva la lezione dell'Illuminismo di Parini e si impegnava per una letteratura impegnata, votata alla verità. In Francia Manzoni trascorse cinque anni (1805-1810) pur tra frequenti ritorni in Italia, durante i quali frequentò i salotti degli idéologues francesi e strinse amicizia con uno di essi, quel Claude Fauriel più anziano di lui di quattordici anni che esercitò una profonda influenza sul suo pensiero politico e letterario: di formazione illuminista ma aperto alle nuove idee romantiche, Fauriel era liberale e agevolò il passaggio del giovane Alessandro dalla sua formazione settecentesca alla cultura del nuovo secolo, senza rotture evidenti. Ciò non toglie che Manzoni continuasse a scrivere opere di stampo neoclassico, come il poemetto Urania (1809) che in seguito rinnegò decisamente, affermando di voler scrivere dei versi più brutti, ma certamente meno frivoli di quelli: si avvicinava infatti il momento di un'ulteriore svolta verso una letteratura aderente al vero storico e socialmente impegnata, nonché la conversione religiosa che avrebbe poi segnato la strada di tutta la successiva riflessione dello scrittore intorno ai problemi della vita, della politica, della letteratura.
Decisivo in tal senso fu il rapporto con Enrichetta Blondel, figlia di un banchiere ginevrino e di fede calvinista, giovane religiosissima che Manzoni sposò nel 1808 a Milano con rito protestante. Verso la metà di quell'anno la coppia rientrò a Parigi dove nacque la prima figlia, Giulia, a cui fu impartito il battesimo cattolico, mentre nel febbraio 1810 i due si risposarono con rito cattolico, dopo che Enrichetta aveva abiurato al calvinismo (la sua conversione era stata guidata da padre Eustachio Degola, di idee gianseniste e che probabilmente influenzò anche il pensiero di Manzoni).
LA "CONVERSIONE" DEL 1810 E LE OPERE SUCCESSIVE
Il 1810 fu anche l'anno della cosiddetta "conversione" dello stesso Manzoni, nel senso di un ritorno alla fede cristiana verso la quale egliritratto attribuito a Giuseppe Molteni (Milano 1800 – 1867)Museo Manzoniano di Lecco aveva sempre ostentato una certa indifferenza: anche su questo episodio i biografi coevi riportarono vari aneddoti (come quello secondo cui lo scrittore sarebbe stato "folgorato" nella chiesa di S. Rocco a Parigi, dopo che aveva perso la moglie nella folla durante i festeggiamenti per il matrimonio tra Napoleone e Maria Luisa d'Austria), ma certamente ciò avvenne in seguito a un processo di maturazione durato vari anni e in cui la frequentazione degli ambienti giansenisti ebbe un peso non indifferente. Infatti il Cristianesimo del giovane Manzoni risente ancora della convinzione che l'uomo sia destinato al male, che la Grazia divina sia indispensabile per giungere alla salvezza e che, quindi, gli uomini siano divisi in modo netto tra eletti e reprobi (questa impostazione religiosa traspare nelle sue prime opere poetiche, ma anche nella prima stesura del romanzo).
Nel 1810 Manzoni e la moglie si trasferirono definitivamente a Milano, dove peraltro Alessandro ebbe come padre spirituale il canonico Luigi Tosi (anch'egli di idee gianseniste) e qui iniziò un periodo assai fecondo di attività letteraria, con la quale lo scrittore abbandonò nettamente il Neoclassicismo per dedicarsi a una letteratura impegnata e intrisa di contenuti religiosi, anche se inizialmente tentò vari generi senza trovarne uno che gli fosse particolarmente congeniale.
Nel 1812-15 scrisse quattro Inni sacri, che dovevano far parte di un più ampio progetto poi abbandonato, mentre nel 1816-20 compose la prima tragedia, il Conte di Carmagnola; del 1821 sono alcune Odi di ispirazione civile, vicine ai temi del Risorgimento (spiccano soprattutto Marzo 1821 e la famosissima Cinque maggio sulla morte di Napoleone), mentre nel 1820-22 produsse la seconda tragedia, l'Adelchi. Scrisse anche vari saggi di argomento storico e letterario, avvicinandosi tra l'altro al movimento romantico pur non aderendo pienamente ad esso: legato agli intellettuali del Conciliatore (la rivista milanese che era l'organo ufficiale dei Romantici lombardi, politicamente liberali), non scrisse tuttavia mai su di esso e dopo la soppressione del giornale e l'arresto dei suoi principali collaboratori ad opera del governo austriaco temette di essere coinvolto anche lui nella repressione.
Del 1823 è la Lettera sul Romanticismo a Cesare Taparelli d'Azeglio, documento fondamentale per capire le idee manzoniane in materia letteraria.
DAL ROMANZO AGLI INTERESSI STORICI E SAGGISTICI
Nel periodo 1821-23 iniziò la stesura di un romanzo storico, ispirato come genere letterario a quello del romanzo inglese di W. Scott e ambientato nella Lombardia del Seicento: il titolo provvisorio era Fermo e Lucia e l'opera restò solo un abbozzo, non portato pienamente a termine e mai pubblicato. Il problema che angustiava soprattutto Manzoni era quello della lingua, dal momento che il fiorentino letterario gli sembrava inadatto a un'opera narrativa che avesse personaggi umili come protagonisti, per cui si accinse negli anni seguenti a riscrivere il romanzo che uscì, nella sua prima edizione, nel 1827 a Milano presso l'editore Ferrario, col titolo definitivo di Promessi sposi.
In seguito i suoi interessi per le opere di invenzione lasciarono gradualmente il posto a quelli per la lingua e la storia, anche per la sua convinzione che fosse impossibile conciliare nel romanzo invenzione e realtà, il che tuttavia non gli impedì di lavorare alacremente a una nuova stesura del romanzo, correggendone la lingua nel senso del fiorentino parlato (la famosa "risciacquatura dei panni in Arno", come lui stesso definì i suoi frequenti soggiorni a Firenze per impadronirsi di quella lingua).
Nella città toscana Manzoni conobbe intellettuali come Vieusseux, Capponi, Niccolini e dopo un lungo lavoro di riscrittura pubblicò i Promessi sposi nel 1840-42, con la Storia della colonna infame in appendice quale importante esempio di trattato storiografico in cui la realtà e non la finzione è oggetto della narrazione dello scrittore. Gli anni precedenti furono segnati da lutti e dispiaceri, in quanto nel 1833 era morta la moglie, nel 1835 la primogenita Giulia, nel 1841 la madre e nel 1844 l'amico Fauriel; nel 1837 Manzoni sposò in seconde nozze Teresa Borri, vedova Stampa, che sarebbe morta nel 1861 (inoltre solo due dei dieci figli dello scrittore sopravvissero al padre).
LE ULTIME OPERE E IL CONTRIBUTO ALLA QUESTIONE LINGUISTICA
Dopo l'edizione definitiva del romanzo furono pochi gli eventi significativi nella vita personale e letteraria dell'autore: pubblicò nel 1847 il frammento di Ognissanti, inno sacro rimasto incompiuto, e nel 1850 due scritti di poetica, Dell'invenzione e Del romanzo storico; in seguito lavorò a un saggio storico comparativo sulla Rivoluzione francese e quella italiana del 1859, opera rimasta incompiuta.
Nel 1860 venne nominato senatore del Regno d'Italia e nel 1864 votò a favore del trasferimento della capitale da Torino a Firenze, in attesa della liberazione di Roma (tale decisione sollevò proteste dei cattolici reazionari).
Nel 1868 divenne presidente di una commissione parlamentare voluta dal ministro dell'Istruzione Broglio sul problema della lingua nell'Italia unificata, e produsse una relazione intitolata Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, in cui sosteneva la necessità che la lingua nazionale fosse il fiorentino e auspicava che il sistema scolastico ne promuovesse l'uso e la conoscenza (incontrò in questa sua posizione le proteste di altri studiosi e linguisti, tra cui soprattutto Graziadio Isaia Ascoli).
Negli ultimi anni si accentuarono certi disturbi nervosi di cui aveva sempre sofferto, come l'agorafobia (ovvero il terrore degli spazi aperti e della folla) di cui si ravvisa traccia anche in passi delle sue opere, mentre nel 1872 accettò la cittadinanza onoraria di Roma, sollevando lo scandalo dei clericali.
Morì il 22 maggio del 1873 a Milano, per i postumi di una brutta caduta riportata all'uscita da una chiesa, e venne sepolto nel Famedio del Cimitero Monumentale della città, dove riposa tuttora. In sua memoria Giuseppe Verdi compose una messa da requiem che è rimasta giustamente celebre.