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Gli Scenari

L'Autore, il territorio ed i luoghi dell'ispirazione
Il legame del De Sanctis con l’Irpinia è variamente e ampiamente documentato.
La stessa scelta della candidatura per le elezioni politiche del 1874/75 in quello che egli stesso considerava il suo “collegio naturale”, e gli avvenimenti a questa scelta legati e che lo porteranno a scrivere Un viaggio elettorale, dimostrano l’esistenza di un suo rapporto molto intenso con questi luoghi.

“L’ambizione, meglio il sogno, di conquistare l’unanimità dei consensi, apparentemente inutile dal momento che era stato già eletto con votazione plebiscitaria a Sansevero in Puglia, è scatenata da una molla potentissima che è quella dell’amore, laico ma saldissimo, (‘possessivo’ lo definisce Spadolini) che lega Francesco De Sanctis alle sue radici”. (1)

“Suo padre, Alessandro, e sua madre, Maria Agnese Manzi, appartenevano a famiglie di condizione sufficientemente agiata, ed anzi il padre era addirittura “dottore in utroque”; e testimoni della sua nascita erano stati due analfabeti, come testimonia un biografo. Questi aspetti caratterizzeranno l’intero rapporto tra De Sanctis e la sua terra, perpetuamente oscillante tra radicamento ideale ed affettivo nelle tradizioni familiari e ambientali da un lato, ed estraneità “aristocratica” verso le inadeguatezze culturali e spirituali dei piccoli ambiti paesani, e verso i provincialismi, dall’altro. […]
Il paesaggio irpino che accompagnò l’infanzia e la fanciullezza di Francesco fu tutt’uno con l’ambiente familiare, e paesano, che lasciò così viva traccia di sé nella memoria di lui, perpetuamente esule: così piccoli e limitati, il paesaggio e l’ambiente, eppure così centrali nel costituire punti di riferimento costante in più momenti della sua vita […] Gli restò vivo in perpetuo il sentimento di dover essere “qualcosa” a Morra, in Alta Irpinia, e non altrove, benché lunghi periodi di infastidito silenzio verso la sua terra ne svelassero la difficoltà dei rapporti. […] Lungo tutta la vita del De Sanctis vi sono momenti per i quali sembra possa valere questo carattere “orgoglioso” acquistato negli anni morresi, in virtù dei quali può essere spiegazione che valga anche per lui ciò che spiega per i suoi concittadini: “Ma un po’ di vanità non guasta, anzi da buoni frutti, quando ci sia dentro una lega d’orgoglio. E il primo buon frutto è questo che ti rende affezionato al tuo paese, sicché tu non debba dire a viso basso: sono di Morra”. (2)

Se Morra rappresenta l’orizzonte ambientale, familiare e affettivo dell’infanzia del De Sanctis , “sin da quegli anni fu chiaro a Francesco che Morra forse ‘passa tutto’ ma non è il mondo. Ci sono gli altri comuni, che ingrandiscono i confini di quell’orizzonte. ‘Ne’ miei primi anni sentivo spesso parlarmi de’ nostri parenti a Lacedonia, e voi sapete che in quella età la patria non è ancora che la famiglia, la patria è la parentela, sicché nella mia immaginazione infantile univo Morra e Lacedonia, come una patria sola’. […] ‘Andretta è il capoluogo del mandamento di cui fa parte la mia terra nativa, ed è forse il primo nome di paese che imparai nella mia fanciullezza. Affacciato al balcone di casa mi dicevano: guarda quel paese lì dirimpetto sul monte, si chiama Andretta’”. (3)

D’altra parte, il territorio irpino ha conservato un suo legame con la figura del De Sanctis, intitolandogli strade, piazze e scuole, promuovendo studi e celebrazioni, conservandone una memoria forte. Alla memoria collettiva locale appartengono, in particolare, gli appellativi con cui, nelViaggio, l’autore ha voluto designare alcuni dei paesi visitati: Bisaccia la gentile, Calitri la nebbiosa, Andretta la cavillosa.

NOTE (1) Antonio Aurigemma, Carlo Franco, Cent’anni dopo, in G. Acocella, L. Mascilli Migliorini, C. Franco, A. Aurigemma, De Sanctis e l’Irpinia, Di Mauro editore, 1983, pagg. 371/372 (2) Giuseppe Acocella, Vita familiare e impegno politico (1817/1873) in G. Acocella ed altri, cit. pagg. 46/47. (3) Giuseppe Acocella, cit., pag. 48

 



I Luoghi dell’ispirazione letteraria e le opere di riferimento
Un viaggio elettorale è il titolo del famoso réportage ispirato al viaggio nel collegio elettorale di Lacedonia, compiuto dal De Sanctis per sostenere la propria candidatura alle elezioni politiche del 1874/75. La giovinezza è invece il libro di memorie rimasto incompiuto e pubblicato postumo.

I luoghi del Parco sono quindi quelli descritti in Un viaggio elettorale, cioè Lacedonia, Bisaccia, Calitri, Andretta, Guardia Lombardi, Morra De Sanctis e S. Angelo dei Lombardi.

Il paese natale del De Sanctis, Morra, è, per ovvie ragioni, il luogo cui l’autore ha dedicato maggiore attenzione, descrivendolo nel Viaggio e rievocandolo più volte anche nell’opera postuma La giovinezza. “[Morra Irpino] Oggi è il dì di Pasqua, e tanti augurii a’ miei Morresi, poiché sono a parlar di loro. A’ quali morresi non basta esser detti di Morra, e si sono aggiunti un titolo di nobiltà, e si chiamano degli Irpini. […] Morra di sera è un bello vedere, massime chi lo guardi da lungi e dall’alto, come fec’io venendo da Guardia.” […] Dunque una costa in pendio avvallata è Morra. Ed è tutto un bel vedere, posto tra due valloni. […] Non ci è quasi casa, che non abbia il suo bello sguardo, e non c’è quasi alcun morrese, che non possa dire: io posseggo con l’occhio vasti spazii di terra”. (1)

“Si stava allegri, e si faceva il chiasso, correndo per l’orto, e l’inverno riempiendo di allegria i sottani di casa. […] Si giocava alle bocce, alla lotta, alla corsa, al salto sulla schiena. A nascondersi, a gatta cieca. […] A nove anni passò questa vita allegra. La nonna ci condusse a Napoli. […] Venne il settembre e zio veggendomi così scheletrico, volle farmi bere un po’ d’aria nativa. […] La sera ci fu gran pranzo, coi soliti strangolapreti, e il polpettone, e la pizza rustica, e altri piatti di rito. Il dì appresso visitai tutti i luoghi dov’era passata la mia fanciullezza. Fui nel sottano, e dove si ammazzava il porco, e dove era la mangiatoia pei cavalli, e dove tra mucchi di legna o di grano solevo trovar le uova ancora calde e portarle alla mamma. Quel sottano sonava ancora dei miei trastulli fanciulleschi. Poi sbucai nell’orto, e salii il fico e mi empii di ciliegie, e feci alle bocce o alle palle, correndo, schiamazzando. Ero in piena aria, in piena luce, mi sentivo rivivere. Dopo il pranzo feci la passeggiata per la via nuova, tra compagni e compagne. Mariangiola mi teneva per mano, una bella giovanotta, un po’ più grande di me, e io mi lasciavo fare, e mi veniva l’affezione. Giungemmo alle Croci, che è un piccolo monte, storiato della passione di Cristo, detto perciò anche il Calvario”. (2)

“[Lacedonia] Bel paese mi parea questo, che mi ridea dalla sua altura. Là erano molte memorie della mia fanciullezza, e là aveva lasciati molti sogni de’ miei sedici anni.” (3). “Era dinanzi a me una larga distesa di cielo. Mi parea vedere lontano il Vulture, con la sua cima nevosa, fiammeggiante un giorno, e con le spalle selvose, onde si stende quel bosco infinito e quasi ancora intatto, che si chiama Monticchio” (4). “Io voglio spiegarvi, cosa è per me Lacedonia. Né miei primi anni sentivo spesso parlarmi de’ nostri parenti a Lacedonia, e voi sapete che in quella età la patria non è ancora che la famiglia, la patria è la parentela, sicché nella mia immaginazione infantile univo insieme Morra e Lacedonia, come una patria sola. […] e venni qui a cercarmi la sposa, e conobbi qui l’arciprete e il teologo, e molti altri, e se non vi acquistai la sposa, credei di avermi acquistate amicizie incancellabili”(5). “Tutto si trasforma, e qui la trasformazione è lenta. Si animi Monticchio, venga la ferrovia, e in piccol numero d’anni si farà il lavoro di secoli”. (6)

“[Bisaccia la gentile] Mi si parlò del castello di Bisaccia, dove si diceva era stato il Tasso, e mi promisero di mostrarmi la stanza dove aveva dimorato. […] mi condussero al castello, e mi mostrarono la stanza del Tasso. Chi diceva: è questa, e chi diceva: no, è quella. Mi fermai in una che aveva una vista infinita di selve e di monti e di neve sotto un cielo grigio. Povero Tasso! Pensai; anche nella tua anima il cielo era fatto grigio. Che vale bella vista, quando entro è scuro? Stetti un po’ affacciato. Vedevo certi ultimi monti così sfumati, così fluttuanti, che parevano nuvole, e mi davano l’impressione di quell’interminabile, di quel lontano lontano che spaventa, e rimasi un pezzo balordo, e non indovinavo l’uscita. […] Addio Bisaccia, dove vidi qualche strada netta, e dove non vidi nessun cencioso, nessuno che dimandasse limosina. Avevi anche tu i tuoi cenci, le tue miserie e le tue discordie. Ma le occultasti come ne’ dì di festa, e mi accogliesti lieta e cortese. Molti gentili pensieri io colsi in te. Quel garbo nella conversazione, quell’accordo de’ visi, se non de’ cuori, quella semplicità e naturalezza di accoglienza, quella nessuna giustificazione e nessuna vanteria, anzi quel non parlarmi punto dell’elezione, e quel fare gli onori di casa all’ospite tutti, quasi Bisaccia fosse stata una casa sola, oh! Nessuno pensiero gentile trovò freddo il mio cuore. Addio, Bisaccia la gentile”.

“[Calitri la nebbiosa] La nebbia si levava. Il cielo era fosco. Volammo più che andammo. E giungemmo che era ancor giorno. […] Vidi Calitri in un mal momento. La strada era una fangaia; ci si vedeva poco, e un freddo acuto mi metteva i brividi. A sinistra era una specie di torrione oscuro, che pareva mi volesse bombardare; a destra una fitta nebbia involveva tutto; l’aria era nevosa, e il cielo grigio tristamente monotono. Salii a una gentile piazzetta, e passando sotto gli sguardi curiosi di molte donne ferme lì sulle botteghe, volsi a mancina in una specie di grotta sudicia che voleva essere un porticato, e giunsi in casa Tozzoli […] Anche per Calitri verrà il progresso. E forse un giorno qualche fortunato mortale scriverà un nuovo capitolo, intitolato: il Sole di Calitri”. (8)

“[Andretta la cavillosa] Così ho inteso qualificare questo paese da alcuni, a cagione delle proteste fatte nel ballottaggio, che rivelavano a gran distanza un sottile spirito avvocatesco. […] Andretta è il capoluogo del mandamento di cui fa parte la mia terra nativa, ed è forse il primo nome di paese che imparai nella mia fanciullezza. Affacciato al balcone di casa mi dicevano: guarda quel paese lì dirimpetto sul monte, si chiama Andretta”. (9)

“Guardia è il paese della provincia più alto sul livello del mare, e la strada che vi menava non era una gran bella cosa. Mi pareva non giungessi mai, ed era già bujo. […] Si desinò in Guardia […] E quando si fu a’ brindisi, io dissi: “Guardia e Morra sono un paese. Possano i loro cuori confondersi, come si confondono i loro territorii e i loro casini’. Questo piacque. La legge ha potuto staccare Guardia da Morra, ponendolo in altro collegio, ma non ha potuto rompere i legami naturali, e Morra e Guardia vanno sempre insieme”. (10)

[La mia città]. Risolsi di ritirarmi a Napoli per la via opposta, passando per Sant’Angiolo dei Lombardi e Avellino […] Verso il tardi ci rimettemmo in via, e fummo a Sant’Angiolo che era ancora giorno. Mai forse quella strada aveva veduto tanta gente. I contadini seguivano con l’occhio interrogativo quella cavalcata, e si vedeva lontano sull’altura gran gente che aspettava, un bel tramonto illuminava lo spettacolo. […] L’uomo che vi parla è nato a quattro miglia di qua, e se Morra è il mio paese, S. Angelo è la mia città. Voi vi legate con le più care memorie della mia prima età. Voi eravate la mia Napoli, la mia Parigi, il più vasto, il più lontano orizzonte della mia fanciullezza. È venuta la legge e ci ha divisi. Morra di qua, S. Angiolo di là. Ma la legge non può dividere ciò che la natura ha unito; la legge non può violare le mie memorie, spezzare il mio cuore. […] Questa è la mia città. Sono morrese e sono santangiolese”. (11)

Lo scenario evocato dal De Sanctis del Viaggio è ben lontano dallo stato attuale dei luoghi; la sgangherata viabilità dell’epoca, che gli aveva impedito di raggiungere alcuni comuni del collegio (Conza, Teora, Monteverde) è un ricordo lontano, né è facile imbattersi nei bambini “cenciosi” (12) e analfabeti. L’auspicio “si animi Monticchio, venga la ferrovia” (13) si realizzò nel 1895, quando iniziò a funzionare la ferrovia Avellino – Rocchetta S. Antonio, il che ha consentito lo sviluppo di centri che attualmente sono importanti poli commerciali nell’area. Francesco De Sanctis aveva previsto “miracoli” (“in piccol numero di anni si farà il lavoro di secoli. L’industria, il commercio, l’agricoltura saranno i motori di questa trasformazione. Vedremo miracoli.”) (14). In realtà, in pochi decenni sono avvenute trasformazioni pari a quelle di secoli. Nel frattempo sono state individuate nuove, importanti risorse su cui può far leva uno sviluppo locale sostenibile; sta maturando la consapevolezza del valore del patrimonio ambientale e culturale locale, e quindi della necessità, anche economica, della tutela e della valorizzazione di tale patrimonio.

NOTE (1) F. De Sanctis, Un viaggio elettorale, edizione a cura di A. Marinari, Guida editori, Napoli 1983, pag.112 (2) F. De Sanctis, La giovinezza, edizione a cura di G. Savarese, Guida editori, Napoli 1983, pagg.16,17,38,41 (3) F. De Sanctis, Un viaggio elettorale, cit., pag. 57 (4) ivi, pag. 59 (5) ivi, pag. 79 (6) ivi, pag. 72 (7) ivi, pagg. 86, 89 (8) ivi, pagg. 90, 91, 96 (9) ivi, pag. 97 (10) ivi, pagg. 109, 130 (11) ivi, pagg. 130, 131, 135 (12) “Veggo ancora per quelle vie venirmi tra le gambe, come cani vaganti, una turba di monelli, cenciosi e oziosi, e mi addoloro che non ci sia ancora un asilo d’infanzia”. F. De Sanctis, Un viaggio elettorale, cit., pag. 117 (13) F. De Sanctis, Un viaggio elettorale, cit., pag. 72 (14) ibidem (7)

 

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