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Marguerite Yourcenar e le antiche vestigia di Villa Adriana

Chi viene a visitare Villa Adriana a Tivoli non può esimersi, prima o dopo la visita agli scavi, dal leggere le “Memorie di Adriano”. Si tratta di un romanzo storico della scrittrice belga Marguerite Yourcenar e edito per la prima volta nel 1951 in lingua francese con il titolo “Memoires d’Hadrien”. Il vero nome di Marguerite Yourcenar era Marguerite Cleeneweck de Crayencour. Nacque a Bruxelles nel 1903 da una famiglia borghese franco-belga e morì in America nel 1987. Poetessa e scrittrice, fu la prima donna ad essere eletta all’Accademia di Francia. Venne avviata agli studi classici e all’età di 17 anni pubblicò il suo primo libro di poesie. La consuetudine della scrittrice con le antichità italiane iniziò presto e fu di lunga data: i suoi primi viaggi risalgono all’adolescenza, quando, accompagnata dal padre Michel de Crayencour, visitò nel 1920 il Campo Vaccino, poi Ercolano e Pompei, quindi Paestum restando folgorata dal sorriso delle statue greche, come racconterà in “D’Après Gréco”. Nel 1923 fu a Firenze, dove visitò il Museo Archeologico e le Gallerie dell’Accademia. A 21 anni, l’8 giugno 1924, Marguerite visitò con suo padre i resti della meravigliosa villa del II secolo d.C. voluta dall’imperatore Adriano, Villa Adriana.

Il mito di Antinoo, il giovane schiavo amato da Adriano e portato a Tivoli dall’Egitto, la stregò. Tanto che gli dedicò un sonetto d’occasione, “L’Idolino” (in “Les charités d’Alcippe”) dove magnificava la grazia e la bellezza del ragazzo. L’esplorazione del sito fu per la scrittrice di vitale importanza: colpita dal fascino emanato da queste antiche vestigia cominciò a prendere nota dei primi appunti sulla figura di Adriano che poi sfocerà nelle indimenticabili pagine del suo capolavoro letterario: Le memorie di Adriano. Le prime versioni furono concepite tra il 1924 e il 1925. L’opera venne poi accantonata e ripresa intorno al 1934.

Il 24 gennaio 1948, la Yourcenar ricevette dalla Svizzera una valigia piena di carte ritrovata nell’Hotel Maurice di Losanna, contenente effetti personali, fotografie d’epoca e appunti che lei aveva scritto dieci anni prima; “Aprii quattro o cinque fogli dattiloscritti, la carta era ingiallita. Lessi l’intestazione: Mio caro Marco sono andato stamattina dal mio medico, Ermogene, recentemente rientrato in Villa dopo un lungo viaggio in Asia. Mi ci volle qualche momento perché mi tornasse alla mente che Marco stava per Marco Aurelio e che avevo sotto gli occhi un frammento del manoscritto perduto”. Questo divenne l’incipit del futuro romanzo redatto sotto forma di epistola. La scrittrice immaginava che l’imperatore Publio Elio Adriano, vissuto nel II secolo d.C., ormai malato e alla fine dei suoi giorni, scrivesse al suo giovane protetto Marco Aurelio, allora appena diciassettenne e futuro Imperatore di Roma, ponendo riflessioni sul senso della vita e soprattutto sul senso della morte. L’Imperatore veniva descritto ormai malato e prossimo alla morte impegnato a scrivere le proprie memorie in uno degli edifici più famosi della Villa Adriana: il Teatro Marittimo, un’isola artificiale circondata da un canale e dunque isolata rispetto all’esterno, dove amava meditare e ritirarsi. Si tratta di lunghe riflessioni riguardanti i temi della vita legati all’esistenzialismo, dove ripercorre non solo i propri trionfi militari ma anche l’amore per la musica, la filosofia, la poesia e la passione per il giovanissimo Antinoo. Il libro è diviso in sei parti e presenta un prologo e un epilogo. Nel primo capitolo Adriano, giunto all’età di 60 anni e gravemente malato, ripercorre i momenti più importanti della sua vita partendo dall’infanzia trascorsa ad Italica, in Spagna, dove probabilmente nacque. Sono questi i versi di una brevissima poesia da lui scritta con cui si apre il libro:

“Animula, vagula, blandula,
Hospescomesque corporis,
Quae non abibis in loca
Pallidula, rigidula ,nudula,
Nec, ut soles, dabis iocos.” 

Adriano poco prima di morire si congeda dalla sua anima, la saluta, come se si stesse separando da una cara compagna. Si tratta di una sorta di testamento spirituale che riflette anche il periodo storico, un periodo relativamente tranquillo dove però comincia a profilarsi la minaccia barbarica. Siamo all’apice del secolo d’oro, ma dietro l’angolo si nascondono le prime avvisaglie di quella tempesta che da lì a qualche secolo avrebbe spazzato via definitivamente l’Impero romano. 

Di Giuseppina Morrone

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