Il 10 dicembre si celebra la Giornata Mondiale dei Diritti Umani la cui Dichiarazione originaria risale addirittura al 1789, elaborata nel corso della Rivoluzione Francese e poi in parte confluita nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani - in seno all’ONU - a Parigi nel 1948. Diritto all’uguaglianza di tutti gli uomini, nonché la loro Libertà di opinione, di fede religiosa, di coscienza e di parola sono fra i principi enunciati là dove lo spirito di fratellanzaè considerato come base fondante del rapporto che dovrebbe unire i popoli. La Musica ha saputo fare propri tutti questi i temi citati, ma per ovvi motivi di sintesi mi limiterò ai principali “filoni tematici”. Esistono canzoni che, anche grazie al livello artistico e carismatico dei loro autori, hanno acquisito nell’immaginario collettivo lo status di veri e propri inni.
Il più noto è verosimilmente Imagine di John Lennon, nella quale l’ex cantante dei Beatles immagina un mondo in cui non esistono né paesi, né religioni (dal suo punto di vista evidentemente più fonti di lotte e di guerre, che non di unione fra le genti) pur essendo consapevole del retrogusto utopico del suo pensiero. Marvin Gaye nello stesso anno (1971) pubblicava un album Soul fondamentale la cui title track What’s going on diventò presto il brano di riferimento di milioni di persone in tutto il mondo, proprio come aveva già fatto in ambito Folk Bob Dylan, con pezzi eterni come Blowin’in the wind e The Times they are a changing. Sul fronte del Reggae Redemption song di Bob Marley resta il suo brano sociale più significativo. Il contributo nello scuotere le coscienze di questi pilastri della musica contemporanea resterà fra i più efficaci di sempre.
Un altro indirizzo importante fa riferimento ai leader politici universalmente considerati come i padri dell’uguaglianza: parliamo di uomini del calibro di Martin Luther King e Mandela che hanno ispirato il mondo del rock e del pop. Gli U2 nel loro album Unforgettable Fire dedicarono ben due canzoni a Martin Luther King: la ballata MLK e il singolo di grande successo Pride (in the name of love).
A Mandela fu invece dedicato nel giugno del 1988 un grande concerto tributo al quale parteciparono grandissimi nomi del panorama mondiale dell’epoca per spingere il Sud Africa a liberarlo di prigione e a eliminare finalmente lo scandalo dell’Apartheid. Per quell’occasione i Simple Minds scrissero Mandela day pubblicandola l’anno seguente, in cui il leader fu in effetti finalmente liberato.
Se l’intento di risvegliare le coscienze è certamente implicito in ogni canzone che affronti il tema dei diritti umani, alcune sembrano espressamente dedicate a mettere l’ascoltatore davanti ad uno specchio per farlo riflettere su quale sia il suo personale contributo alla causa. Man in the mirror di Michael Jackson - forse l’episodio più noto al grande pubblico – ha un testo che non lascia indifferenti (“If you wanna make the world a better place take a look at youself than make a change”) ma, al contrario, è un invito a vincere l’ipocrisia di pensare che in fondo tutto dipenda dagli altri e dalle scelte politiche, mentre invece è necessario che ognuno di noi versi la sua personale goccia nell’oceano.
In casa nostra, un cantautore importante Niccolò Fabi ha recentemente scritto qualcosa di veramente significativo in termini di invito all’empatia: Io sono l’altro. Pur con la delicatezza che lo caratterizza, non rinuncia a provocare a più riprese (“Quelli che vedi sono solo i miei vestiti, adesso vacci a fare un giro e poi mi dici”) coloro che intendano mettersi in discussione.
L’ultimo filone è quello dei temi che si riferiscono a momenti storici particolari, o che toccano ferite importanti di alcuni comunità. Mi riferisco ad esempio a Sessanta sacchi di carbone del cantautore romano, trapiantato a Bruxelles, Giacomo Lariccia, col quale condanna lo scambio “forza lavoro italiana /materie prime” (al limite della schiavitù), nelle miniere belghe nel dopoguerra che portò, tra l’altro, alla triste tragedia dei nostri minatori a Marcinelle.
Con Heaven il giovane Troye Sivan racconta con commovente malinconia tutte le difficoltà del momento di rivelare ai genitori la propria omosessualità sentendo tutto il peso del giudizio, anche dal punto di vista prettamente religioso (“How do I get to heaven? Without changing a part of me”).
Concludo con un tema dominante in Occidente, soprattutto dopo i fatti che hanno dato vita al movimento Black Lives Matter: la discriminazione razziale. Su questo specifico argomento, nel suo capolavoro Innervisions, l’immenso Stevie Wonder pubblicò la visionaria Living for the city,in cui descrive tutte le difficoltà di un giovane di colore nell’affrancarsi dalla povertà nella quale è stato costretto a crescere. Un brano eterno.
Se da una parte la citata Dichiarazione dei Diritti Umani resta ancora una sfida, è altrettanto evidente che la Musica negli ultimi sessant’anni non si è tirata indietro e ha denunciato gli abusi, incitando alla protesta e al cambiamento, portando a casa magari piccole, ma significative vittorie di civiltà.
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