Il rosso sipario si alza, la scenografia si rivela: una camera da letto modesta ma decorosa, lo scheletro di un presepe non ancora ultimato. Un suono di ciaramelle in lontananza, il ciabattare di una donna che si affaccenda e pronuncia la celeberrima: “Lucarié, Lucarié, scetete songh ‘e nove!”. Lucariello, lentamente, si materializza: è sepolto sotto le coperte e completamente avvolto in sciarpe e scialletti. È l’inizio del primo atto di Natale in casa Cupiello, la cui gestazione fu così travagliata da essere definita dallo stesso Eduardo de Filippo, che la scrisse nel 1931 “Parto trigemino con una gravidanza di quattro anni”.
La tragicommedia si avvia. Una famiglia napoletana si appresta a festeggiare degnamente il Natale, festa ricordevole. Le scaramucce sono quelle bonarie e mai malevole, tipiche di qualsivoglia nucleo familiare. L’incalzare dei dialoghi delinea e scolpisce i personaggi: Lucariello è mite e sognatore, Concetta è una madre iperprotettiva, Tommasino è il figlio infantile e viziato, la cui sola ribellione verso l’autorità paterna si incarna nel rifiuto di ciò che il padre più ama: ‘o presepe. In casa Cupiello vive anche il fratello di Luca, Pasqualino, ingrato e astioso. La famiglia si completa con Ninuccia, figlia di Luca e Concetta, maritata al ricco commerciante Nicolino.
Le battute esilaranti talvolta assumono una coloritura dissonante, i toni divertenti cominciano ad avere un sapore agrodolce. Si profila quella tragedia di cui Luca continua a essere ignaro: la relazione extraconiugale di Ninuccia e la sua decisione di lasciare il marito, che porterà a conseguenze fatali. La scoperta della verità schianta Lucariello. Colpito da un ictus, Cupiello torna in quel letto da cui si era scetato nel primo atto e in cui si sta per adduormere definitivamente; i fuochi d’artificio segnalano una festa che incalza, ignara del dolore di una famiglia che trova, infine, unione al capezzale del moribondo.
Il rosso sipario cala, nella mente si affollano le riflessioni su un’opera estremamente complessa, un dramma garbatamente feroce: la fuga da una verità dolorosa, la schiavitù delle convenzioni sociali, la paura dello scandalo, l’incapacità di crescere, l’ipocrisia e i compromessi delle relazioni familiari. Tratti che caratterizzano ora questo, ora quel personaggio, ma che, insieme, vanno a comporre l’amaro percorso di molte esistenze.
Il contrasto tra apparenza e realtà è simbolizzato sommamente da Luca. La sua malattia segna il distacco definitivo da quella vita non corrispondente ai suoi ideali, che ha cercato, inutilmente, di addolcire con magia e poesia fanciullesche. Quel personaggio che ci appare, all’inizio del dramma, fragile, sognatore, facile vittima dell’umana brutalità alla fine si scopre essere il più forte, il vero vincitore: la malattia lo libera dal peso di una vita per la quale era inadatto, lo trasporta in una dimensione di serenità e bontà; i familiari finalmente ne comprenderanno il valore e Tommasino, raccogliendo quell’eredità che ha prima dovuto combattere, potrà cominciare ad amare ‘o presepe.
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