La famiglia romana dei Mancini era imparentata con il Cardinale Giulio Mazzarino, abilissimo uomo di Stato, Primo Ministro di Francia. Le sue cinque nipoti, Laura Vittoria, Olimpia, Maria, Ortensia e Marianna Mancini erano figlie di sua sorella Geronima.
Il Cardinale le chiamò tutte alla Corte di Francia in previsione di vantaggiosi matrimoni.
Divennero note come les Mazarinettes e lo stesso Michelet parlava di loro come del bataillon des nièces du Mazarin. Estremamente spregiudicate, le fanciulle non dimostrarono mai sincero attaccamento verso questo zio benefico tant’è che alla sua morte il loro conciso lamento funebre sembra sia stato espresso con un «Grazie a Dio è crepato».
Maria (1639-1715), la meno bella delle sorelle, ma dotata di viva intelligenza e di una certa cultura, si legò di amicizia profonda a Luigi XIV tanto che il Re, che a sua volta la ammirava molto, cominciò a fare progetti matrimoniali. Erano entrambi poco meno che ventenni.
Il legame tra i due non piacque alla madre di lui, la reggente Anna d’Austria, né allo stesso Mazzarino. Infatti fu proprio lo zio Cardinale ad allontanare Maria dalla Corte facendole troncare l’amicizia con Luigi XIV ed impedendone il matrimonio perché, da politico lungimirante, non poteva permettere che il Re di Francia sposasse una donna senza uno Stato per dote.
Il suo capolavoro diplomatico fu quello, ben più fruttuoso, di determinare le frontiere della Francia con i trattati di Westfalia (1648) e dei Pirenei (1659) che posero fine alla guerra dei trent’anni. Luigi XIV sposò, a questo scopo, l’Infanta di Spagna.
Quando Maria dovette interrompere l’idillio con Luigi XIV pronunciò quella frase che rivelò un rammarico profondo, una dolorosa sorpresa, un senso di smarrimento perché, pur essendo Luigi un Re innamorato, la lasciava andare: «Vous m’aimez, vous étes roi, et je pars».
Maria non capiva le ragioni di Stato. Le fu imposto come marito il Principe Lorenzo Onofrio Colonna e godette sempre, nella Roma dei Papi, della libertà cui era abituata in Francia. Abbandonato il marito, sembra per la di lui infedeltà, Maria fuggì da Roma ma fu relegata in vari conventi su ordine di lui che, essendo Connestabile del Regno di Napoli e Viceré di Aragona, aveva alleate tutte le Corti d’Europa. Rimasta vedova, condusse un’esistenza errante, «pronta a rinunciare a tutto fuorché al lusso di disporre interamente di sé» (Benedetta Craveri in Amanti e Regine).
Maria era mossa solo da orgoglio e avventatezza, non certo da femminile ambizione. Fu il suo carattere caparbio, irrequieto e imprevedibile a indirizzarla verso scelte che certamente la danneggiarono.
Dopo aver viaggiato, e sostato, in varie località d’Europa, tenuta lontana dalla Corte di Francia come indesiderata, Maria morì a Pisa di un colpo apoplettico, nella cella di un monaco al quale era andata a chiedere assistenza. E in questa città di fiume e di mare, che per lei era solo di transito, ha lasciato l’ultimo recapito.
Riposa infatti nella Chiesa del Santo Sepolcro dove è visibile sul pavimento una pietra tombale con gli stemmi Colonna e Mancini ma, per sua stessa volontà, priva del suo nome.
Al termine di un ostinato vagabondaggio (anche mentale) disponeva ormai di poco, eppure non si era mai separata dalla splendida collana di perle, appartenuta alla regina Enrichetta Maria, moglie di Carlo I Stuart, che Luigi XIV le aveva donato quando furono costretti a separarsi, e dal favoloso diamante che il Connestabile Colonna le infilò al dito il giorno delle nozze.
Dopo tutto, fu una donna fedele al suo passato, anche se alla ricerca costante di una sua indipendenza in un’epoca che non consentiva certe scelte.
In copertina Maria Mancini, Principessa Colonna ritratto attribuito a Jacob-Ferdinand Voet
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