Iniziamo con un esperimento. Provate a chiedere a un letterato a cosa pensi quando gli dite “San Martino del Carso.” Probabile che non vi risponda con il paese del Friuli orientale, teatro della prima guerra mondiale, ma che vi risponda invece con il cuore straziato di Ungaretti. Questo è un caso in cui la geografia, oltre ad avere un significato fisico e localizzato, è diventata metafora. Una “geometafora” per la precisione.
La geometafora è un concetto proposto dal corso Poetic Geography of Italy insegnato alla Florida Atlantic University nella primavera del 2020, che ha definito la geometafora nel suo aspetto retorico e naturale: è più che un correlativo oggettivo perché è ancora più specifica. Ha una coordinata geografica, un indirizzo.
A caccia di geometafore, si possono esplorare strade e i sentieri d’Italia. Ce ne sono tante in un paese che ha dalla sua parte sia un paesaggio meraviglioso che un buon numero di autori dotati del dono della “doppia visione.” Uomini e donne sensibili e immaginosi che sentono e immaginano il mondo come doppio. Giacomo Leopardi spiega come lui stesso vedesse un mondo reale – una campana, una torre, una foresta – ed insieme uno immaginato, metaforico – arricchito di significati. Leopardi augurava a tutti di possedere questo doppio sguardo: “Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione” (Zibaldone).
La geometafora è proprio questo: disegna una mappa alternativa d’Italia, una mappa poetica sovrapposta a quella fisica. Pensiamoci: la geografia entra nella poesia in tre modi diversi. Il primo, come semplice toponimo, un ambientazione o poco più; il secondo, come descrizione di diversa ampiezza e profondità con cui si coprono di parole un paesaggio; e il terzo, come simbolo o metafora, quando è il paesaggio a coprire le parole e crearle. Quando il paesaggio si fa poesia. Diego Valeri lo aveva capito: i poeti italiani sono tutti poeti di paesaggio che prendono da questa terra “la loro parte di bene”.
Ed è Marco Lodoli a captare benissimo la voce del luogo, lui capace di scoprire la poesia anche nel raccodo anulare che strangola la città di Roma. Anzi, secondo lui, la visione poetica è l’unico antidoto all’universo dei non-luoghi in cui viviamo quest’oggi. Basta una parola, dice Lodoli, “e un luogo arde d’infinito.” La scelta della parola non è casuale: la lusinga dell’infinito non echeggia solo dal colle di Recanati, ma da ogni angolo d’Italia.
Si puo’ benissimo percorrere l’Italia sui sentieri delle geometafore che ci sorprendono ai crocicchi come pietre miliari, seminascoste dal muschio, lungo la strada. È ovvio: alla partenza, ci sono le colline umbre del Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi, che non a caso intona la prima nota della nostra letteratura nazionale. La nostra poesia nasce con un cantico di lode a sora acqua e frate foco e ad una divinità fatta di geometafore.
Da sinistra a destra, da nord a sud l’ambiente italiano è un paesaggio doppio. Basta scostare i cancelli dei pomario tra i muri a secco delle Cinque Terre amate da Montale, il re della metafora, che si identifica lui stesso con quelle agavi e quelli scogli intorno a Monterosso. Dal lato opposto, a Trieste, Umberto Saba sente la sua città e ne capisce la scontrosa grazia: le sue vie danno l’indirizzo della sua vita. Ma anche da nord a sud: da Milano con i suoi navigli interrati e i suoi morti appestati che riappaiono come fantasmi nella doppia visione di Giovanni Raboni; fino al sud, ai calanchi di Aliano a cui Carlo Levi trova aggrappati paesi, case e uomini, che una tempesta o un’epidemia riescono a dilavare.
Metafore dei nostri giorni ci aspettano in Veneto, con tre poeti viventi che sentono nella loro carne la sofferenza della loro regione e la esprimono in versi. Luciano Cecchinel tra Treviso e Belluno canta il mondo scomparso dei contadini. L’eremita Mauro Corona continua a cantare e ad abitare il paese abbandato di Erto scalzato via alle radici dalle acque violente del Vajont. La giovane Anna Toscano vive da poetessa a Venezia con versi sempre più bagnati, come i suoi stivali per l’acqua alta. Le parole di questi poeti sono concrete, fatte di scaglie sul sentiero, di roccia e fango e di alte maree.
Così,
con un libro in mano e googlemaps sulla schermata, dalla Florida siamo sbarcati
in Italia. Eravamo in piena pandemia, ma siamo arrivati lontano. Una sfida
vinta, culminata con l’incontro con Stanislao de Marsanich e i Parchi Letterari.