Un mistero mai svelato, un libro introvabile, un amore
travolgente. E’ la storia di Dino Campana, un poeta straordinario, umiliato in
vita, ma osannato subito dopo la morte. Nacque
a Marradi il 20 agosto 1885. Si iscrisse,
a 19 anni, alla facoltà di chimica a Bologna e poi a Genova. Fuggì a
Milano e poi in Svizzera e Francia fino a quando il padre non lo fece
rinchiudere nel manicomio di Imola. Uscì e si imbarcò per l’Argentina dove fece il bracciante, il musicista, il pompiere.
Ritornò vagabondando per Belgio e Francia. Il padre lo fece rinchiudere di nuovo. Entrò nel manicomio di San Salvi, a Firenze, il 12 gennaio 1918 e da
lì venne trasferito in quello di Castelpulci,
a Badia a Settimo, nel comune di Scandicci. Vi rimase 14 anni. Morì il 1° marzo 1932, proprio quando stava per
essere dimesso. La morte, secondo il
referto dei medici, fu causata da una «setticemia
acutissima». Aveva 47 anni. Quasi un terzo della sua vita l’aveva passata negli ospedali psichiatrici.
Ma la cartella clinica di San Salvi non
si trova. Resta il mistero della sua
malattia. Forse ereditata da uno zio o
forse solamente temuta dai suoi genitori.
Dino Campana è il
poeta di un solo libro che nessuno voleva pubblicare. Nel 1913 consegnò il manoscritto, intitolato Il più lungo giorno, a Papini. Il quale lo lesse e lo dette ad Ardengo Soffici che durante un trasloco lo perse. Campana lo richiese invano. Una
tragedia. Tornò a Marradi e nella
soffitta della sua casa, in via Pescetti 1, con l’aiuto della sua memoria, lo riscrisse da capo, fra dicembre e gennaio. Il libro prese il nome
di Canti
orfici. Il tipografo di Marradi,
Bruno Ravagli, voleva 200 lire per stamparne mille copie. L’amico Luigi Bandini organizzò una raccolta
fondi. Ogni sottoscrittore doveva
versare due lire e cinquanta. In cambio avrebbe avuto una copia del libro.
Servivano 80 finanziatori. Ne trovarono
44. L’importo di 110 lire venne consegnato a Ravagli. Campana si impegnò a
versargli le altre 90 lire man mano che avrebbe venduto il libro. I Canti orfici vennero stampati nel luglio 1914.
Al poeta toccarono venti copie. Le
vendeva per strada o nei caffè di Firenze e
Bologna. Più volte riprese le copie dal tipografo, il quale una decina
di anni dopo chiuse la sua attività. Nel 1930 mentre si trovava rinchiuso nel
manicomio di Castelpulci, scrisse al fratello Manlio invitandolo a recuperare le copie del suo libro che erano
rimaste da Bruno Ravagli. Nella tipografia c’erano ancora 210 copie. I libri vennero portati in
un mezzanino di casa Campana. Al passaggio del fronte, secondo Antonio
Castronuovo, vennero bruciate dalle truppe anglo-indiane, per scaldarsi.
Emilio Cecchi fu uno
dei pochi a parlar bene di Campana insieme a Soffici, il quale fece scoprire i «Canti» a Sibilla
Aleramo. Lei aveva quarant'anni e un
passato da donna emancipata: divorziata
dal marito, perso l'affidamento del figlio, amante fra l’altro di Cardarelli e
Boccioni. Campana ne aveva 31, parlava
cinque lingue, conosceva la letteratura
italiana dal ’300, quella americana e recitava a memoria le poesie di Walt Withman. Sibilla Aleramo (il suo vero nome era Rina
Faccio) gli scrisse. Si incontrarono il 3 agosto del 1916 al Barco di Rifredo,
vicino a Borgo San Lorenzo. Mentre la prima
guerra mondiale infuriava, fra i
due scoppiò l’amore, travolgente e disperato. Scriveva Sibilla: “ Sei tu che mi
squassi? Che cosa m’hai messo nelle vene? E sempre ho negli occhi quella strada col
sole, il primo mattino, le fonti dove m’hai fatto bere, la terra che si
mescolava ai nostri baci. Prendimi, tiemmi, io non ti lascio, bruceremo”. E ancora: “Corro, appena il treno mi porta
via da questa stazione che è diventata la mia casa. Il viaggio è lungo, penso
ai suoi capelli scompigliati, al suo maglione malandato e so che di lui potrò
nutrirmi. So che lo troverò lì, tra i suoi monti, steso sull’erba con i suoi
fogli, i suoi mille fogli, a lanciar parole al vento a farsi trascinare da
questa pazzia a vomitare nei burroni le sue poesie per sentire l’eco recitare
come un bambino reverente”. Sibilla e Dino si presero, si lasciarono e si
ripresero. Camminarono, viaggiarono, si amarono. Fino al 13 settembre 1917
quando Campana, alla ricerca disperata di Sibilla, venne fermato a Rubiana, a
una trentina di chilometri da Torino, perché probabilmente senza documenti. Venne arrestato. Il loro ultimo
incontro si svolse nel carcere di Novara.
Molti anni dopo, il colpo di scena. Alla morte di Ardengo
Soffici, avvenuta il 19 agosto 1964, i familiari cominciarono a mettere ordine nelle carte del pittore. In
un baule trovarono il manoscritto che Dino Campana aveva consegnato a Papini e
che Papini aveva passato a Soffici. La notizia del ritrovamento venne data il 7
giugno 1971 da Mario Luzi sul Corriere della
Sera. Sì, ci sono differenze con i Canti orfici, ma non tantissime. La
memoria di Campana era stata prodisiosa.
Il manoscritto è stato messo all’asta da
Christie’s a Roma e comprato dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze per 175.000
euro. L’Ente Cassa lo ha poi donato alla Biblioteca Marucelliana di Firenze che
dal 20 marzo 2005 lo ha reso
consultabile liberamente nell’edizione digitale (http://www.maru.firenze.sbn.it/CAMPANA/home.htm).
Neanche la copia stampata da Ravagli a Marradi costa poco. Sul mercato
antiquario si aggira fra gli 8 e 10mila euro. In giro ce ne dovrebbero essere
circa 800 di quella prima edizione. Ma è stata fatta anche una ristampa
anastatica e molte altre edizioni.
Di questo libro introvabile, di questo mistero mai svelato,
di questo amore travolgente, restano i luoghi, pieni di suggestioni. La
soffitta di via Pescetti, a Marradi, dove
Campana riscrisse a memoria i Canti
orfici, e poi il Barco, Casetta di Tiara, a Palazzuolo sul Senio,
Villa La Topaia dove Sibilla passò l’estate del 1916. E l’Albergo Lamone, a Marradi, dove Sibilla e
Dino si amarono la notte di Natale. Ancora
oggi ci sono ancora innamorati che
prenotano una stanza in quell’hotel per vivere in una sola notte l’amore che Dino e Sibilla accesero e fecero durare un anno intero. E
poco importa se l’albergo non è più quello, ma si è trasferito poco
lontano. E’ rimasta l’insegna, ma anche
l’incanto, la suggestione, la magia, la pazzia.
Nicola Coccia
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In foto
Copertina della prima edizione di Canti Orfici (1914), Wikipedia
Prima pagina de Il più lungo giorno , consultabile sulle pagine della Biblioteca Marucelliana di Firenze