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Leonardo, la mandragora e la foglia di salvia

20 Aprile 2021
Leonardo, la mandragora e la foglia di salvia
Leonardo ha legato anche il suo nome ad un’attentissima osservazione della Natura. Non deve quindi stupire se numerose delle sue annotazioni raccolte nel “Trattato della Pittura”, riguardino anche il capitolo “Degli alberi e verdure”

 Osservare e comprendere la Natura. Il genere umano si confronta con questo “esercizio” appassionante e complesso sin dai primordi del proprio viaggio evolutivo. Con esiti diversi e continue scoperte. Rispetto agli esordi, nel corso del tempo si è persa l’aura misteriosa e magica, per arrivare ad un approccio che, oggi, definiamo “scientifico”. La scomparsa degli aspetti soprannaturali e mistici ha fatto smarrire, forse, il fascino originario, ma è indubbio che le conoscenze si siano ampliate e sedimentate grazie a chi ha dedicato il proprio tempo a confrontare, classificare e rappresentare le diverse sfaccettature del mondo che ci circonda. 

 In questa importante celebrazione del 23 aprile, in cui l’attenzione è indirizzata al rapporto tra “Libro e ambiente”, non poteva mancare un richiamo alla figura di Leonardo da Vinci. Il celebre artista, come ben sappiamo, aveva un bagaglio culturale vastissimo ed i suoi studi hanno speculato nei campi più disparati. Pur non essendo uno scienziato, nell’accezione moderna del termine, la sua capacità di collegare aspetti che potrebbero sembrare distanti gli ha consentito di raccogliere progetti ed idee che, molto tempo dopo e grazie al progresso tecnologico, hanno visto poi effettivamente la luce. 

 Leonardo ha legato anche il suo nome ad un’attentissima osservazione della Natura che poi ha riversato nelle proprie opere. Non deve, quindi stupire, se numerose delle sue annotazioni raccolte nel “Trattato della Pittura, tomo di origine cinquecentesca, riguardino anche il capitolo “Degli alberi e verdure”. Accanto agli argomenti tecnici sulle modalità di raffigurazione delle piante nei dipinti in relazione alla luce e alla prospettiva, non mancano spunti e osservazioni più strettamente botaniche che, ancora una volta, si rivelano in anticipo sui suoi contemporanei. 

 Leonardo è stato un genio assoluto, apprezzato e stimato nelle corti d’Europa ed è questo il motivo per cui, fin dalla sua morte, numerose persone si siano interessate a far sì che i suoi disegni, appunti e annotazioni non andassero smarrite. Da questo punto di vista “Il Codice Atlantico”, conservato presso la biblioteca Ambrosiana, nonché il corpus di disegni, spesso preparatori ai suoi dipinti, e per la gran parte conservati presso la Royal Collection nel Castello di Windsor in Inghilterra, costituiscono il lascito più significativo della sua incredibile capacità di osservatore. 

 Leonardo non era un botanico, ma nel già citato trattato si evince come egli avesse già riconosciuto i due principali tipi di infiorescenza (definita o indefinita), di foglie (semplici e composte), di portamento degli alberi (monopodiale o simpodiale); i concetti base della dendrocronologia (ossia lo studio degli anelli di crescita degli alberi in relazione all’ambiente) e la fillotassi (le varie modalità con cui le foglie possono distribuirsi sui rami). Si trovano nel volume addirittura alcune intuizioni di ecologia vegetale e osservazioni relative al particolare tipo di accrescimento che porta all’ispessimento delle piante legnose, la cosiddetta struttura secondaria.(1)

 Dal punto di vista pratico, nella sua turbinosa e poliedrica sete di conoscenza Leonardo si è forse anche ispirato agli Erbari che circolavano all’epoca, ma adottando un approccio diverso e più personale, soprattutto perché era alla ricerca anche dell’aspetto simbolico sotteso dalle piante. Va detto che questo tipo di libri avevano origini antichissime ed erano associati soprattutto al mondo della medicina. Siamo debitori, in questo senso, a Dioscoride di Anazarbo, un medico della Cilicia che nel I secolo d.C. arrivò a Roma e scrisse la sua principale opera: De materia medica. Questo tomo divenne il modello replicato pressocché all’infinito durante tutto il medioevo. E’ il cosiddetto Hortus pictus, ovvero un libro ricco di illustrazioni miniate (o erbario figurato), che descriveva le proprietà medicinali e altre caratteristiche (semina, raccolta ecc.) delle piante usate in medicina. Gli Erbari di quegli anni venivano addirittura chiamati Dioscoride, in suo onore, e sono considerati dei veri capolavori artistici grazie alle illustrazioni di grandissimo pregio e fattura. Anche se va detto, ad onor del vero, che in molti di essi, invece, non sempre le descrizioni sono così accurate. Secondo la consuetudine medievale i contenuti degli erbari di origine antica vennero via via adattati, con l’aggiunta di nuovi esemplari locali, a dimostrazione anche dei progressi delle conoscenze e dell’attenzione a quelli che, oggi, chiamiamo endemismi. Ma non sono rari i casi di descrizioni piuttosto fantasiose di specie legate a particolari mitologie. Tra tutte la mandragora (o mandragola), genere di pianta appartenente alla famiglia delle solanacee, che godrà di notevole successo per le sue presunte proprietà afrodisiache, e risulterà elemento indispensabile nella preparazione di intrugli e pozioni dai discutibili effetti. Siamo, in questo caso, nell’ambito delle leggende e delle misteriose preparazioni alchemiche. Per lungo tempo la mandragora verrà rappresentata nei testi dell’epoca con sembianze maschili e femminili, a causa dell'aspetto antropomorfo che assume la sua radice in primavera. Da ciò ne è derivata la leggenda del pianto della mandragola, ritenuto in grado di uccidere un uomo. Machiavelli le dedicherà addirittura una commedia, pubblicata nel 1524. 

 Ma torniamo al nostro Leonardo ed al suo lascito. Mentre ancora, come sopra detto, si alimentano leggende e si raccontano storie prive di fondamento, l’approccio alla conoscenza di questo illustre uomo d’ingegno si manifesta in maniera ancora una volta straordinaria all’interno del Codice Atlantico. E’ la raffigurazione per “impressione” di una foglia di Salvia rivestita di olio e nerofumo (1508 circa). Secondo gli studiosi la tecnica utilizzata rappresenta un interessante approccio “ibrido” in un contesto storico nel quale le piante venivano ancora raffigurate prevalentemente con disegni (Hortus pictus), ma sono ormai alle porte ed avranno amplissima diffusione gli Erbari (Hortus siccus) come strumento per studiare e conservare direttamente le piante essiccate. 

 Leonardo morirà nel 1519 e tre anni dopo verrà al mondo, a Bologna, Ulisse Aldrovandi che dedicherà la sua lunga vita allo studio del mondo vegetale e lascerà una collezione straordinaria di piante illustrate, ma soprattutto essiccate, grazie ad una tecnica da lui stesso sperimentata. La via per la sistematizzazione sarà ancora lunga visto che solo nel 1735 Linneo darà vita alla classificazione binomiale, un’altra rivoluzione fondamentale nell’ambito del progresso scientifico. 

 Con il trionfo della ragione il pianto della mandragola si spegnerà per sempre, relegato nel mondo della superstizione e dell’ignoranza. Di contro, l’ingegno artistico di Leonardo continua a brillare, poiché, unico tra molti, è riuscito a cogliere in maniera mirabile il collegamento alla natura interiore delle piante, che combinano geometria statica e movimento della forza vitale. 

 (1) Passaggio tratto dalla lezione tenuta da Lorenzo Peruzzi su Leonardo da Vinci: "Degli alberi e verdure", tenuta a Milano al Museo di Storia Naturale durante il Darwin Day del 12-13 febbraio 2019 

 Letture consigliate
I Fiori Di Leonardo. La Flora Vascolare Del Montalbano In Toscana di Gestri Giovanni; Peruzzi Lorenzo, Arcne editrice 2013


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