Una settimana fa ho ricevuto una comunicazione del ‘Teatro del Corvo’, istituzione canadese con sede a Toronto, che, come tutti i teatri italiani, è rimasto chiuso a causa della pandemia. Occorre specificarne lo spirito, prima di presentare il motivo della comunicazione. Catalizzatore della comunità disagiata della zona EST di Toronto, il ‘Teatro del Corvo’ si focalizza sulle trasformazioni esperienziali dell’ambiente e si evolve adattandosi, così come si evolve e si adatta l’ambiente culturale, economico, sociale e geopolitico della città, distinguendosi come locus di idee, scambi, immaginazione e diversità per il lavoro di artisti che sostengano, riflettendone i cambiamenti, la vita delle comunità. Il Teatro del Corvo si adopera, attraverso l’universalità delle arti, per tutte le età e le situazioni sociali degli abitanti.
Il ‘Teatro del Corvo’ mi inviava un libro alla terza revisione da parte della sua autrice, Erin Shields, una drammaturga che invitai, insieme ad altre drammaturghe del mondo anglofono, al convegno Performing Gender and Violence in Contemporary Transnational Contexts all’Università Roma Tre nel 2014. Fece seguito la pubblicazione di un volume (da me curato) dallo stesso titolo contenente una breve intervista da parte degli studiosi intervenuti, i diversi saggi critici su ciascuna autrice e il brano del dramma da loro performed durante il convegno. Ebbene, da quella esperienza nacque l’amicizia con Erin che mi includeva tra le persone che avrebbero ricevuto questo suo libro, un’avventura ambientale tecnologica, per così dire, che si può leggere in digitale mentre si sente Shields che recita (performs, di fatto) le voci dei vari personaggi.
A Lucio è affidata la traduzione del brano che vorrei proporre qui, in omaggio al “Libro e Ambiente” che mi pare un argomento perfetto per presentare questo libro che ci parla con la voce della sua scrittrice, drammaturga e attrice sullo sfondo musicale di Thomas Ryder Payne.
Si raccomanda di sentire il file audio (Listen "Here We Are" ) , aprire il libro a schermo intero ( Read "Here we Are") e leggere mentre si sentono parole e musica (Crows Theatre).
“Ossessivamente mi sono impegnata a scrivere questo libro sull’esperienza di vivere attraverso l’anno passato. Iniziato come pezzo di teatro si è trasformato in una specie di poema epico. Potete leggerlo, o ascoltar-lo, o le due cose insieme” (Erin Shields)
Here We Are, di Erin Shields, è un libro che si legge, legge sè stesso, mentre il lettore di oggi rivive e quello di domani rivivrà le esperienze che tutti noi, abitanti del pianeta terra, abbiamo vissuto: lavorare da casa, imparare a distanza, far la spesa online, restare a casa, dedicarsi a (poco) sport da soli, a pochi metri dall’abitazione, non poterci toccare, rinunciare agli abbracci, non vedere i genitori, i nonni, i nipotini, i compagni di scuola, incollarsi alla TV, al telegiornale, a Netflix, liberarci della spazzatura, non avere farina né lievito, rimanere senza sigarette, senza carta igienica, senza alcol, quello dei liquori e quello per l’igiene e molto altro; ma anche leggere, scrivere, creare – in ambienti gelati (l’inverno canadese quello di Erin), in ambienti caldi (l’Argentina nell’inverno europeo, il Brasile, l’Africa, tutta o quasi) -- pensare, meditare, partire con l’immaginazione, sognare… finché non ci hanno destato i malati nelle terapie intensive, i morti, i molti morti nelle loro bare, sepolti, a volte, in fosse comuni per mancanza di spazi ambientali adeguati. Di tutto questo e molto ancora si legge in questo libro ambientato in un teatro che si definisce ‘ecologico’, distribuito—come recita l’autrice—a tutti voi che spero siate in salute nel “vostro angolo di questo mondo insano, impazzito, al momento”.
In quale strada, a Toronto? Naturalmente, Streetcar Crowsnest (Nido dei Corvi sulla linea tranviaria), “un’aggiunta unica all’ecologia della scena artistica indipendente, che soddisfa la sospirata esigenza di una sede funzionante tutto l’anno alla periferia orientale di Toronto”, come si apprende sul versante marketing. Un titolo van-goghiano, se si pensa al campo di grano dell’artista olandese con i corvi che prendono il volo… per chissà dove.
Il brano che proponiamo s’incentra sulle foglie d’acero – la pianta che in autunno tinge il Paese di rosso onorandosi di esserne l’icona che campeggia nella sua bandiera. Foglie d’acero come individui che, liberi di incontrarsi e relazionarsi, sfilano nello spazio ambientale assembrandosi in una situazione opposta a quella che si vive nel quotidiano, con i bambini che, in libertà, fanno i bambini che se la spassano nella natura con piccoli animali mentre i grandi respirano. È il grande desiderio di chi respirare non può più: reimparare a respirare per rincorrere la vita, vivere con la terra e i suoi frutti, vivere con gli animali che vivono liberi (non quelli che si mangiano), vivere nella foresta invece che in città, ma … non rinunciarci del tutto, non perdere la connessione internet. Solo i bambini sanno reinventare la loro vita, amarsi, mutarsi in creature mitiche, elfi o sirene, vivere la grande bellezza che per certi adulti è irrimediabilmente perduta in quanto nell’ambiente si insinua, con la tecnologia cui non si può rinunciare, anche il dato politico. Una parte del territorio canadese è ancora ‘Terra della Corona’ in quanto ex dominion del Regno Unito, il cui Monarca riveste, quando è nel Paese, quella che alcuni definiscono la ‘Maple Crown’ (Corona d’acero), dal significato, per molti, meramente simbolico. L’assenza di acqua fresca (potabile) in quel territorio di cui non si parla, circoscritto metaforicamente entro la corona che lo possiede, denuncia una sorta di degrado che intacca anche altre riserve. Con il seguito del testo, con cui si richiede azione effettiva (da affidare, neanche a dirlo, ai figli), la memoria riporta indietro ai contrasti con i popoli nativi che, firmando contratti con il bianco, non potevano figurarsi che la terra, come il sole, la luna e le stelle, si potesse possedere. Shields afferma che “tagliare la terra e comprarla e venderla” sia il mancato rispetto che si deve all’ambiente; una vergogna.
Nelle ulteriori pagine non analizzate in particolare si fa riferimento alla tragica situazione della pandemia, a tutte le difficoltà dei malati, dei famigliari, dei saluti che non ci sono stati, dei passaggi di molti ad altro mondo. Quindi, il finale di questa parte, con le ossessionanti notizie di quei giorni drammatici distillati come gocce affinché le montagne possano trattenerle, mentre le nubi le lascerebbero andare… Un’onda appena accennata conclude il monologo poetico.
Maria Anita Stefanelli
Traduzioni (in allegato) a cura di Lucio Alberto Savoia
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Ringraziamo il Crow Theatre di Toronto (Canada) per le immagini
Immagine di copertina: Un’elegia poetica per l’anno passato e una poesia d’amore per tutti coloro che sono sopravvissuti