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Alessandro Orlandi: spirito di servizio, energia e determinazione

08 Luglio 2021
Alessandro Orlandi: spirito di servizio, energia e determinazione
Ginevra Sanfelice Lilli intervista Alessandro Orlandi. Matematico, museologo, musicista, saggista, autore di numerosi articoli e libri, editore della Lepre edizioni.

Ginevra Sanfelice Lilli intervista per noi il professore Alessandro Orlandi, matematico, museologo (curatore per 20 anni dell’ex Museo Kircheriano), musicista, saggista ed editore de La Lepre Edizioni 

Autore di numerosi articoli e libri riguardanti la matematica, la museologia scientifica, la storia delle religioni, la tradizione ermetica, l’alchimia, le origini del Cristianesimo e i Misteri del mondo antico, ricordiamo: La fonte e il cuore (Appunti di  viaggio, 1998); Dioniso nei frammenti dello specchio (Irradiazioni, 2003, in francese Mimesis France 2013); Le sette teste del drago (Irradiazioni, 2007); L’oro di Saturno (Mimesis, 2010); Le Costellazioni dello Zodiaco in Alchimia (Stamperia del Valentino, 2018); Genius Familiaris, Genius Loci, Eggregori e Forme-Pensiero (Stamperia del Valentino, 2019); I due volti del Tempo: su Caso e Sincronicità (Stamperia del Valentino, 2020).

I Parchi letterari contribuiscono a mettere in relazione letteratura, natura, bellezza e cultura. Quanto è importante il rapporto fra luogo e letteratura? Gli antichi avevano l’idea del Genius Loci, il “Genio dei luoghi”, che ne custodiva la memoria e ne rappresentava sia il carattere che lo spirito. Si può non credere nell’esistenza di una simile entità, ma è indubbio che i luoghi abbiano una loro “impronta sottile” che va riconosciuta, interpretata e rispettata.

 L’architetto norvegese Christian Norberg-Shulz, ad esempio, considerava il Genius Loci una proiezione dell’identità umana, che si manifesta attraverso i luoghi e crea un sentimento di appartenenza. Nel progettare ed innalzare nuovi edifici, egli sosteneva, il riconoscere e rispettare il carattere dell’ambiente è un importante fattore per la salute dell’anima. Per Frank Lloyd Wright “una casa non deve mai essere su una collina, ma di una collina. A maggior ragione, lo scrittore di romanzi, il saggista e il poeta sono le persone più qualificate per sviluppare quel particolare tipo di sensibilità che aiuta l’uomo a percepire il carattere sottile che rende unici i luoghi e ne costituisce l’essenza. Leggendo Dostoevskij, o Dickens, o Flaubert, il lettore cammina con loro per le strade della Pietroburgo, o della Londra, o della Francia del XIX secolo e avverte il rumore delle carrozze e gli odori della strada; Garcia Marquez sa cogliere il misterioso legame che collega una famiglia a un luogo al di là del tempo e delle generazioni, con Melville o con Conrad siamo trasportati nei porti in cui attraccano i pescherecci e le baleniere e l’odore di salsedine ci resta addosso a lungo dopo aver chiuso il libro. Ma parte dell’essenza dei luoghi è anche la loro storia, la narrazione delle vicende che li riguardano, e quindi sono importanti anche quei saggi storici che le rievocano.

Per questo trovo fantastica l’idea dei Parchi Letterari: quale modo migliore per far conoscere un luogo e valorizzarne tutte le potenzialità che farlo raccontare agli scrittori che lo hanno evocato nei loro romanzi, saggi e poesie? In un’epoca che tende a omologare tutti i luoghi fino a cancellarne la memoria, i Parchi Letterari contribuiscono a tenere vivo tutto ciò che vale la pena di ricordare di un luogo, anche a beneficio di chi ne scriverà in futuro. 

Il viaggio è una dimensione sfalsata, quando si viaggia si assorbe molto di più tutto ciò che ci circonda. 
“In viaggio la cosa migliore è perdersi. Quando ci si smarrisce, i progetti lasciano il posto alle sorprese, ed è allora, ma solamente allora, che il viaggio comincia” sostiene Nicolas Bouvier. Come è possibile, secondo lei compiere un viaggio che non sia solo esteriore, per giunta provando a perdersi. Quali sono i retaggi da lasciare a casa?
 Impossibile non cominciare citando Lewis Carroll: “Quando non sai dove stai andando, qualsiasi strada ti condurrà là.” - (L. Carroll - Alice nel Paese delle Meraviglie) Essere un viaggiatore è innanzitutto una condizione interiore. Il vero viaggiatore, da una parte dev’essere disponibile e curioso nei confronti del ciò che incontrerà lungo la propria strada, dall’altra per poter viaggiare deve rinunciare ad avere delle radici da qualche parte ed a desiderare di stabilirsi definitivamente nei luoghi in cui si imbatte nel suo viaggio.

Dal suo punto di vista, quello che conta non è la mèta, la destinazione finale, né il luogo di provenienza, ma il movimento stesso, il “qui ed ora”, l’eleganza con cui il viaggio viene compiuto e portato a termine. 

 Lungo la via si imbatterà in costumi, consuetudini e linguaggi eterogenei e dovrà avere la capacità di adattarvisi di buon grado senza per questo rinunciare a sé stesso ed al suo viaggio. Dietro la mutevolezza, l’adattabilità e l’accondiscendenza, si dovrà quindi nascondere anche la volontà inflessibile di non perdere mai di vista la natura transitoria del proprio rapporto con situazioni, persone e cose. Poiché, inoltre, l’essenza di un viaggio sta nel modo di percorrere la strada e non nella meta finale, che può anzi mutare lungo il tragitto, ciò che gli sta definitivamente a cuore è lo stabilire un rapporto armonico con i luoghi attraversati, il rispettarne i ritmi naturali e le usanze che li caratterizzano.

Nel mondo moderno è prevalsa una concezione del viaggio che è l’esatto contrario di quella delineata fin qui. L’aspetto importante e rilevante di un viaggio sembra unicamente la conquista della meta finale, che va raggiunta il più rapidamente possibile ed a qualsiasi prezzo. Nella “contrazione dello spazio” che tutti oggi sperimentiamo viaggiando in automobile, in treno o in aereo, di fatto la strada che separa due luoghi viene vista come un noioso ostacolo da superare velocemente. 

 Il viaggio si trasforma allora in uno “strappo” che consente al viaggiatore di recarsi nel luogo stabilito senza dover prima trasformare, strada facendo, sé stesso, né doversi adattare in alcun modo al posto raggiunto.

Il risultato è una crescente uniformità tra le grandi città del pianeta, che vanno sempre più assomigliandosi tra loro nell’offrire a chi le visita solo una collezione di immagini precostituite da riportare a casa come altrettanti trofei. 

 Da questo punto di vista, il passaggio dall’asino all’aeroplano non sembra essere poi stato un gran guadagno. 

 Ci si potrebbe anche chiedere se, allora, il viaggiare non sia inutile, dato che tutto ciò che possiamo scoprire si trova in realtà già in noi stessi. 

 Narra un’antica leggenda che un vecchio ebreo di Cracovia sognò una notte il Palazzo Reale di Praga e vide nel sogno che, sotto la garitta di una sentinella, era sotterrata una pentola piena d’oro. Poiché il vecchio credeva ai suoi sogni, decise di partire e tentare la sorte. Così, dopo alcuni giorni di viaggio, giunse a Praga e si recò al Palazzo Reale. Tutto era come nel sogno e trovò effettivamente un luogo ed una sentinella che corrispondevano nei minimi particolari a quelli che aveva visto dormendo. Il vecchio si avvicinò alla sentinella e, raccontato il sogno, chiese il permesso di scavare sotto la garitta. La sentinella si fece beffe di lui e lo schernì invitandolo a desistere dall’impresa. “Che dovrei fare allora io – disse – che ho sognato di un vecchio ebreo di Cracovia che in casa aveva una pentola d’oro sotto la sua stufa?” 

 Tornato a Cracovia, il vecchio scavò sotto la stufa e divenne ricco. Se egli però non fosse mai andato a Praga, sarebbe rimasto povero e non avrebbe mai saputo che la pentola si trovava sotto la sua stufa poiché, quello, era il sogno della sentinella.

 Lei ha una vita piena di esperienze. Da professore di matematica preso il Liceo Visconti, a Roma, a editore con molte passioni e interessi fra cui la musica e in particolare quella per i Beatles. Dentro il liceo Visconti ha curato il museo Kircher, il "Museo delle meraviglie", più noto in seguito come "Museo Kircheriano", una "wunderkammer" fedele alle concezioni museali dell'epoca, raccogliendo collezioni eterogenee che andavano dall'etnologia alla fisica, dalla zoologia all'esoterismo, dalla mineralogia alla botanica. Un museo a sua volta è una sorta di viaggio. Per lei cosa ha significato curare questo museo?
La storia del motivo per cui mi sono occupato del Museo ex-kircheriano è piuttosto strana. Avevo saputo da poco di essere stato trasferito al liceo Visconti come professore di matematica e fisica. Una carissima amica di mia nonna, che conoscevo fin da bambino, Licia Torti, che per moltissimi anni aveva insegnato lettere al Visconti, era in fin di vita e, saputo del mio trasferimento, mi aveva fatto chiamare. Mi fece promettere che mi sarei occupato del restauro e della classificazione delle migliaia di reperti naturalistici e degli antichi strumenti di fisica che giacevano nelle soffitte coperti da polvere e guano di piccione. Lei ci aveva provato, ma era riuscita a svolgere solo una piccola parte del lavoro necessario. 

Così, per via di quella promessa, per i venti anni successivi con altri colleghi e con l’aiuto degli studenti e di molti professori universitari e direttori di musei, restaurammo e classificammo tutto il materiale. Ho lavorato per venti anni in forma volontaria e ho preso un master in museologia scientifica per realizzare l’attuale Museo della Didattica delle Scienze, ma le energie spese per questo progetto sono state ampiamente ripagate: ho scoperto il valore dello spirito di servizio, che l’opportunità di metterci al servizio di una causa che non riguardi soltanto il nostro destino personale non è solo un dono del destino, è una fonte inesauribile di energia e di determinazione.

Nel tempo, con l’equipe con cui lavoravo, siamo riusciti a sbloccare progetti e finanziamenti fermi da decenni, a realizzare decine di mostre con gli studenti, a concretizzare l’impensabile, con la soddisfazione intima che il prezioso lavoro accumulato in quattro secoli da chi ci aveva preceduto non fosse destinato all’oblio. 

Solo a distanza di molti anni ho realizzato che era stata la professoressa Torti a fare un grande dono a me, nel chiedermi di tenere fede alla promessa che le avevo fatto. Quello stesso spirito di servizio sperimentato al Visconti per l’istituzione, direi quasi per lo spirito dei luoghi, per riallacciarmi alla domanda precedente, , si è poi rivelato prezioso nell’esperienza con la casa editrice. 

Dopo la sua esperienza di insegnamento è seguita la nascita di una casa editrice: La Lepre Edizioni. Cosa le ha dato questo mestiere, in che direzioni l’ha trasportato? E cosa significa per lei rapportarsi con gli autori? 
Come dicevo, ho traslato e applicato lo stesso spirito di servizio che mi ha guidato nel ricostruire un museo al liceo Visconti al progetto di una casa editrice, al realizzare quello strano fantasma che gli editori chiamano “linea editoriale”. Nel caso della Lepre edizioni, che nasce da un gioco di parole: “Le Predizioni”, l’idea era quella di pubblicare romanzi e saggi che dessero al lettore una visione della direzione che stiamo percorrendo collettivamente, del mondo che vorremmo costruire nel futuro, delle trasformazioni che ci attendono, o da cui siamo già stati afferrati. 

Trascorsi ormai più di dieci anni dall’inizio di questa esperienza non so ancora dire se l’impresa sia stata o meno coronata dal successo, ma è chiaro quali strade abbiamo preso per provarci: romanzi storici che pescano nel passato, recente o lontano, raccontando in modo originale periodi in cui un mondo finisce e un altro comincia, che evocano per il lettore vicende contemporanee e future e chiavi di lettura inedite. Ad esempio il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, la caduta di Bisanzio o il passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale, periodi di transizione in cui l’uomo comune dovette essere almeno altrettanto confuso e disorientato quanto lo è oggi. Oppure la riscoperta di personaggi dimenticati, che hanno molto da dire ai contemporanei, o aspetti inediti di personaggi noti, come il Newton teologo e alchimista, o aspetti carsici della cultura occidentale che, riscoperti, hanno ancora molto da insegnarci. Un lavoro interessante e appassionante, a metà tra l’archeologia delle idee e la scoperta di nuove galassie con il telescopio. Il lavoro di editore è la ricerca dei semi del futuro ma, a volte, questi semi si nascondono in una possibile rilettura del lontano passato.

Il rapporto con gli autori… ho trovato in questi anni tanti buoni amici con cui condividere avventure esaltanti, alcuni purtroppo non ci sono più e ne sento la mancanza, poi inevitabilmente, come avviene in ogni campo artistico, ci sono le prime donne e casi sporadici di inflazione dell’ego, e allora l’editore deve trovare in sé la forza di accogliere, dirimere, risolvere, mediare, pur conservando il necessario distacco indispensabile per non essere fagocitati. 

Con la musica anche si riesce a spostarsi con la mente, cosa le dà la sua passione per la musica? 
Credo che senza la musica la mia vita sarebbe diversa e peggiore. L’aspetto che preferisco è la composizione, quando le note sembrano arrivare da un misterioso “oltre”, e bisogna fissarle prima che scompaiano di nuovo. Mi è anche accaduto che un paio di canzoni mi siano arrivate “complete” in sogno. La musica è un formidabile ponte per andare oltre sé stessi, per esplorare territori che il linguaggio parlato non potrebbe mai raggiungere.

Un altro aspetto fondamentale è suonare con altri, durante le prove o in concerto. Quando si crea un’intesa e si riesce a “comunicare” attraverso il ritmo e l’interpretazione, si crea un mondo sonoro che è irriducibile alla somma delle parti che lo costituiscono e, dalla comunione tra le persone che collaborano a interpretare una partitura scaturisce un quid imprevedibile, sorprendente, entusiasmante. E, in concerto, è bellissimo saper trasmettere questo enthousiasmòs al pubblico. Infine ci sono le registrazioni in studio, che molti anni fa si concretizzavano in dischi in vinile, poi in CD, oggi in album di musica liquida, fruibile sulle piattaforme on line. Il lavoro è molto diverso, ci si mette “al servizio” della canzone, che a volte ci conduce verso soluzioni insospettate. Mi capita di suonare tutti gli strumenti in sovra incisione, ma sempre più sono tentato dallo sperimentare arrangiamenti e strumenti mai utilizzati prima (sitar, tromba, fisarmonica, mandolino, contrabbasso, archi etc.) e quindi di aver bisogno di altri musicisti. Mio figlio Enrico, che è laureato all’università della musica di Berklee a Boston, mi ha aiutato nell’arrangiamento di vari brani e con lui abbiamo uno studio di registrazione che mettiamo anche a disposizione di altri musicisti. Potrei dire, per concludere, che la musica è il mio porto sicuro in cui rifugiarmi nei momenti difficili.

Di Ginevra Sanfelice Lilli


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