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Transumanza

13 Settembre 2021
Transumanza
La pratica pastorale non è solo una curiosità romantica del passato ma è conservazione del territorio, consapevolezza della produzione e del cibo, prevenzione da erosione e incendi, ripopolamento delle montagne.

Con il riconoscimento come Patrimonio immateriale dell’umanità da parte dell’UNESCO, oggi la parola “transumanza” inizia a ricorrere sempre più frequentemente nelle presentazioni turistiche e negli itinerari proposti. Ma cos’è la transumanza? Per molti evoca la narrazione poetica di ambientazioni immaginifiche, ispirate dalle parole del poeta abruzzese Gabriele d’Annunzio, e che in diversi passaggi ha evocato questo periodico andare e tornare delle greggi lungo le vie verdi. Ma la transumanza è stata uno degli elementi portanti di un’economia armentizia che ha fatto la fortuna di un intero, vasto, territorio disteso tra Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia.
 Ne sono testimonianza perenne le opere d’arte e l’ambiziosa urbanistica che caratterizzano i borghi disseminati lungo le vie che dall’Appennino vanno alla costa, anche ad alte quote, che sono il frutto della reddittività e della ricchezza portata da un modello di sviluppo virtuoso, che ha conservato nei secoli la bellezza dei luoghi e la biodiversità.
 Il riconoscimento oggi del valore di questa economia, ben descritta dallo storico francese Fernand Braudel nel suo “La Mediteranee” che ne coglie la caratteristica di saper perpetuare le risorse necessarie di anno in anno, senza consumarle, affinchè possano rigenerarsi per la stagione successiva, arriva dopo una lunga stagione di oscuramento e tradimento delle radici.
 Decenni nei quali si è dovuto assistere alla corsa a rinnegare l’identità dei luoghi, economie secolari, in favore di un modello di sviluppo che oggi mostra tutti i suoi limiti: sono gli anni in cui trionfava la tesi dell’arretratezza, in cui i politici si occupavano di far togliere dalla rubrica “L’intervallo” le pecore, che avrebbero rappresentato un Abruzzo rimasto indietro rispetto ad una modernità incarnata dalla corsa alla industrializzazione, alla cementificazione, alla rimozione del portato storico, culturale ed ambientale di pratiche antiche.
 L’Appennino dei pastori doveva lasciare il posto alla corsa al consumo, dimenticare la saggia conservazione delle risorse, l’eterno ritornare sugli stessi luoghi della transumanza che aveva insegnato, per secoli, a non erodere il territorio che di stagione in stagione rappresenta il sostentamento di uomini e animali. Quello sviluppo ha dimostrato di lasciare indietro borghi deserti, una montagna inselvatichita e priva della cura antica, che non torna però alle origini come vagheggiato da un ambientalismo di maniera, ma si dimostra sempre più arida, privata del pascolamento che, condotto con il sapere secolare dei pastori, la rende più ricca in biodiversità, più sicura per la costante vigile presenza dell’uomo, meno a rischio di incendio grazie alla riduzione della massa erbosa.

 Divorato da una monocoltura modernista, questo mondo rischia di scomparire, e con esso i suoi saperi, la sua economia, i suoi prodotti. La montagna si ritrova sempre più vuota, e la pianura, un tempo meta ambita, riscopre che senza l’aspra montagna non si vive: i dissesti trascinano a valle acqua e fango, i boschi bruciano, la biodiversità si riduce, le risorse si consumano e non si rigenerano. Il cambiamento climatico, figlio della stessa tendenza, inasprisce ulteriormente questa tendenza.

 Il riconoscimento UNESCO ha portato oggi alla riscoperta del valore della transumanza, alla sua comunicazione alle nuove generazioni, ai turisti, a chi si affaccia su questi territori: è un’occasione certamente importante, ma solo se ne sapremo cogliere la vera opportunità, che non è fare di questi luoghi, per l’ennesima volta, una cartolina ad uso e consumo di chi altrove vive e produce, una sorta di parco a cielo aperto, un museo in ricordo di una curiosità appartenente al passato. Se così sarà, in qualche stagione finirà di compiersi quella distruzione del patrimonio del nostro Appennino che purtroppo è iniziata già da diversi decenni, stavolta in nome del turismo e della rievocazione, ma sempre nella medesima chiave consumistica, che impoverisce i territori e li lascia infine deserti.

 Non è questo l’insegnamento della transumanza; non è questa l’occasione che abbiamo davanti, e che dobbiamo raccogliere. La pratica pastorale non è una curiosità del passato; mettendo quattro pecore su un prato per esibirle ad un pullman di giapponesi non risolveremo nessuno dei problemi che attanagliano i nostri territori. Serve uno sguardo lungimirante, che sappia spaziare dal passato, al presente, agli sprazzi di luce che si aprono sul futuro: conservazione del territorio, consapevolezza della produzione e del cibo, prevenzione da erosione e incendi, ripopolamento delle montagne, capacità di economia che si autosostiene - questi sono i punti di riferimento di uno sviluppo che guardi non alla prossima stagione turistica, ma all’investimento sulle prossime generazioni.

 L’economia pastorale e la transumanza possono così riassumere tutti quei valori ai quali oggi guardiamo, a fronte della crisi globale e dell’emergenza climatica, e rappresentare un’occasione concreta, immediata, di investimento nelle terre dell’Appennino, che può dare occupazione ai giovani coniugando produzione etica, cura del territorio, turismo responsabile.

 Il Recovery Plan e le altre misure che lo accompagnano devono avere la saggezza di investire in queste attività per restituire alla montagna il suo ruolo di custode della pianura, di guardia attenta al futuro delle valli, di luogo dove ritrovare il senso di un ritmo più consono ai tempi che ha la natura per rigenerarsi, stagione dopo stagione.

 Il prodotto turistico che la rete tratturale può offrire deve essere strettamente coniugato ad una proposta di sviluppo che tenga assieme in modo uniforme un’offerta che avvicina il turista ad un’economia, ad un ambiente, ad uno stile di vita, ai nostri borghi e alle loro bellezze, portandolo - così come si muovono le greggi - lungo gli assi di un percorso che non ha nulla da invidiare ai grandi “cammini” e alla loro spiritualità.

 La storia stessa della pastorizia origina dalle più antiche scritture, così come la riflessione e il pensiero critico sono nati quando l’uomo ha potuto distogliere un po’ della sua fatica, di cui era intrisa la vita di chi coltivava i campi, nella contemplazione di quelle greggi che anche il poeta Leopardi evoca nel suo “Canto di un pastore errante”.

 E’ necessario costruire un modello di azienda, delineando gli elementi essenziali per l’insediamento: garantire la necessaria estensione, censendo e accorpando i terreni, sfruttando l’azione dei Comuni, anche associati, ai quali vanno dati gli strumenti per poter agire su terreni abbandonati, incolti, proprietà frammentate; vanno coinvolte le comunità locali, assicurando a chi partecipa la condivisione del progetto, con ricadute positive per l’economia complessiva del territorio; vanno considerati gli ostacoli burocratici, coinvolgendo aziende sanitarie e regioni, affinchè chi vuole insediarsi e divenire un “nodo” della nuova rete della transumanza lo possa fare con facilità.

 Il progetto della transumanza deve tenere insieme occupazione, economia, turismo, produzione etica, capacità di rimettere in gioco le risorse del territorio e di difendere i prodotti autentici, integrando l’economia pastorale con lo sviluppo turistico, l’enogastronomia con il turismo esperienziale, realizzando nuovamente quell’unità lungo tutta la rete tratturale che ne ha rappresentato per secoli un unicum storico, tanto che per garantirla lungo i tratturi era sospesa ogni altra autorità che non fosse quella dell’Imperatore.
  Se prevarranno invece logiche localistiche, l’accaparramento di qualche pezzo di risorse pubbliche, di qualche voce del piano europeo, di qualche iniziativa folkloristica destinata ad esaurirsi in poco tempo, a concentrarsi in qualche festival locale, avremo perso un’occasione storica di dare una risposta alla sete di vita di queste terre, che ci hanno dato tanto e dalle quali abbiamo in eredità una bellezza e una ricchezza, che avremo il dovere di conservare per le generazioni che verranno dopo di noi. 

 Nunzio Marcelli

Presidente APPIA Rete Pastorizia Italiana 
Bioagriturismo La Porta dei Parchi, Anversa degli Abruzzi (AQ)
Visita il portale www.laportadeiparchi.comCooperativa ARCA
www.adottaunapecora.it
Guarda anche il video realizzato in occasione dei 40 anni di attività de La Porta dei Parchi . Una Storia dalle antiche origini proiettata verso il futuro. (
jmotionVideo)

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Immagini de La Porta dei Parchi





Gabriele d'Annunzio
Scopri il parco

Gabriele d'Annunzio

Anversa degli Abruzzi (Aq)

"Ad Anversa restano i ruderi di un palazzo edificato da un De Sangro. Scritto al Sindaco per sapere se tra le pietre vi sia lo stemma gentilizio della famiglia. (Esiste un'iscrizione già nota). Un signor Di Gusto mi risponde che non si trova alcuna traccia di stemma. Ora, tu che sai tutto, potresti indicarmi lo stemma ..."

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