Il mare, l’oceano con la loro grande, estesa irrequietezza vivono come per l’uomo di ondeggiamenti, oscillazioni, di incessanti avanzare e retrocedere. Osservare queste distese infinite è quasi sempre per tutti una ricompensa. Il più delle volte puntare gli occhi al ‘grande blu’, che sia un’onda vicina o la esile linea che si profila all’orizzonte e spesso si confonde con quella del cielo, delle nuvole, ci colma di emozioni. Il nostro paese per centinaia di anni nei tempi antichi ha temuto molto il mare poiché da esso provenivano grandi pericoli, gli attacchi da parte dei pirati, dei nemici. Ciò ha determinato il paesaggio di gran parte dei tratti costieri del nostro paese. Molti paesi e città, sono stati fondati negli entroterra, arroccati e distanti da esso. Se la geografia e la storia hanno saputo disegnare, spesso con grande armonia, questi paesaggi costieri con la pazienza del passare del tempo e con l’erosione determinata dagli elementi naturali, la poesia, con l’intensità delle sue parole ci restituisce a sua volta dei paesaggi marini, dalle caratteristiche quasi umane.
Questi versi di Pier Paolo Pasolini, (tratti da “Una disperata vitalità” in Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa, Einaudi):
“Io me ne starò là, / qual è colui che suo dannaggio sogna / sulle rive del mare / in cui ricomincia la vita” sono incisi su alcune targhe poggiate su rocce che a mo’ di costellazioni accompagnano il visitatore sul prato che porta al monumento di Mario Rosati, all’Idroscalo di Ostia, dove è stato rinvenuto il corpo senza vita del poeta, la notte fra l’1 e il 2 novembre del 1975. Sempre nella stessa poesia, Pier Paolo Pasolini scrive: “Come un partigiano / morto prima del maggio del ’45, / comincerò piano piano a decompormi, / nella luce straziante di quel mare, / poeta e cittadino dimenticato”.
In ‘Ossi di seppia”, raccolta di poesie pubblicata a giugno del 1925 da Piero Gobetti, Eugenio Montale, scrive di un mare-specchio.
Maestrale
S’è rifatta la calma
nell’aria: tra gli scogli parlotta la maretta.
Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma
a pena svetta.
Una carezza disfiora
la linea del mare e la scompiglia
un attimo, soffio lieve che vi s’infrange e ancora
il cammino ripiglia.
Lameggia nella chiarìa
la vasta distesa, s’increspa,
indi si spiana beata
e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia
vita turbata.
O mio tronco che additi,
in questa ebrietudine tarda,
ogni rinato aspetto co’ tuoi raccolti diti
protesi in alto, guarda:
sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: ché tutte le cose pare sia scritto:
“più in là”.
Il mare, elemento docile, talvolta imprevedibile e feroce al tempo stesso (chi va per mare lo sa) come la poesia con le sue diverse voci è entrato nelle parole, fra gli altri, di Petrarca, Giovanni Pascoli e Charles Baudelaire, Antonia Pozzi, Arthur Rimbaud. Esso è una grande consolazione, come nel pensiero di Rainer Maria Rilke: “Quando i miei pensieri sono ansiosi, inquieti e cattivi, vado in riva al mare, e il mare li annega e li manda via con i suoi grandi suoni larghi, li purifica con il suo rumore, e impone un ritmo su tutto ciò che in me è disorientato e confuso”. Una maniera di ritrovare il nord, osservando, giù in profondità, lontano davanti a noi l’orizzonte che sempre sembra fuggire. La indicano loro la rotta, le acque che abbracciano e lambiscono il nostro paese, a ritmo di onde, un ritmo arcaico, potente, capace di riportarci a noi stessi.
Ginevra Sanfelice Lilli
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