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Boschi e poesia

14 Marzo 2022
Boschi e poesia
Che giorno straordinario il 21 marzo! Salutiamo un nuovo ciclo che si apre, la primavera, simbolo di rinascita e vita, dopo il freddo e il riposo dell’inverno, ma allo stesso tempo celebriamo poesia e alberi.

Che giorno straordinario il 21 marzo! Salutiamo un nuovo ciclo che si apre, la primavera, simbolo di rinascita e vita, dopo il freddo e il riposo dell’inverno, ma allo stesso tempo celebriamo poesia e alberi. Due universi, fisici ed emotivi, interconnessi da cui scaturiscono sensazioni e suggestioni. Il bosco è, da sempre, fonte di sostentamento materiale, ma anche spirituale.

Dalla sua cura ed utilizzo, per secoli, l’uomo ha tratto strumenti ed utensili, la materia prima per il proprio riparo o per intraprendere viaggi e superare confini (“e solo il vento di Zefiro mi mandò dietro a soffiare, che portasse le navi e noi pure”)*, la principale fonte energetica prima dell’avvento delle risorse fossili. Il bosco è anche sostentamento spirituale, fonte di ispirazione per i poeti e gli artisti, eletto a simbolo misterioso, solare o tenebroso a seconda degli stati d’animo, delle passioni e delle inquietudini terrene.

Il bosco è stato luogo sacro per gli antichi, ove ricongiungersi e dialogare con le divinità. Il lucus, secondo i latini, era pieno di vita (con le sue creature reali o fantastiche), ma anche di pericoli. Prima dell’erezione dei templi, gli alberi erano apportatori di benefici divini. Dal bosco si traevano le erbe da mangiare, ma anche quelle medicamentose, nonché i segni indispensabili per vaticinare il destino.

 Prima dei marmi e della pietra, la toponomastica di Roma era ricca di riferimenti al mondo delle piante, segno anche di un ambiente completamente differente rispetto a quello che consociamo oggi. “Dalle querce (quercus) discendeva l’originario nome del Celio, Querquetulanus. Dal salice (Salix viminalis) derivava il Viminale, o dal faggio (fagus) il Fagutal, una delle tre vette dell’Esquilino, che a sua volta originava da un’altra tipologia di quercia, l’ischio o farnia (aesculus). Immediatamente a nord del Foro, tra questo e il Tempio della Pace si trovava la Corneta, una zona popolata da alberi di corniolo (cornis). Lo spazio (in buona parte occupato dal Circo Massimo), che si estendeva tra il boscoso Palatino e l’Aventino, era la Vallis Myrtea, così chiamata per le sue vaste distese di mirto. Lo stesso Aventino era celebre per i suoi bellissimi lauri, tanto che una parte di esso era denominata Loretum o Lauretum”. (**)

 Con l'avvento del cristianesimo, il rapporto tra uomo e l’elemento boschivo era destinato a conoscere alterne fortune. Proprio per il forte legame tra paganesimo e alberi, per molto tempo i boschi vennero considerati luoghi da distruggere o da cui tenersi distanti. In un periodo di forte instabilità politica e di continue invasioni e devastazioni le selve non erano considerate luoghi sicuri. Questa visione negativa avrebbe lasciato presto il passo a un nuovo rapporto con la natura. Per fuggire dalle tentazioni e dalle cure futili del quotidiano molte persone iniziarono a fare vita eremitica, ritirandosi in località impervie e coperte di vegetazione. Gli alberi ed i templi cari agli dei, divennero luogo di meditazione e preghiera per i Santi ed incarnazione dello spirito cristiano. Nel bosco veniva cercata una nuova via.

Apri gli occhi, accosta le orecchie dello spirito, sciogli le tue labbra e applica il tuo cuore, perché tu veda, ascolti, lodi ami e veneri, esalti e onori il tuo Dio in tutte le creature, e non ti avvenga che tutto il mondo insorga contro di te” chiosava mirabilmente San Giovanni da Bagnoregio.

Un grande impulso fu dato anche dalle comunità monastiche che dai boschi cominciarono a trarre fonte di ricchezza. I nuovi selvicoltori con la tonaca univano la spiritualità al senso pratico e furono tra i primi a introdurre nuove tecniche e a pianificare la gestione delle foreste. I simboli pagani scomparirono per sempre e tra i rami degli alberi, le ninfe cedettero il posto alle teofanie mariane. Sorsero una serie di leggende, diffuse in molte regioni d’Italia, riguardo ad apparizioni sacre tra le fronde degli alberi o degli arbusti. Il culto delle "Madonne Arboree" si accompagna anche a numerosi miracoli, incontri straordinari e guarigioni operate da uomini della Chiesa che avvengono sotto un albero e sono entrati a far parte dell’iconografia religiosa cattolica. Il senso del “magico”, del “trascendentale” aveva trovato nuove forme di espressione. Ma questa affermazione, per quanto semplice e legata, comunque, ai contesti rurali, si accompagna anche a riflessioni e tormenti dell’uomo medievale, sempre alla ricerca di un equilibrio precario tra la vita e l’aspirazione al premio ultraterreno. Dante Alighieri consegna alla storia, nella “Divina Commedia”, il suo travaglio personale, simboleggiato da una selva oscura:

 Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

Quanto, ancora una volta, siamo debitori alla natura nel dare forma e voce alle nostre debolezze e difficoltà umane, grazie ad un linguaggio universale che i grandi letterati riescono a rendere con mirabile maestria. Osservare e interiorizzare è un esercizio complesso, e la natura è in grado di offrirci bellezza e spazi contemplativi. E anche la ricombinazione di oggetti apparentemente semplici, a volte, è la chiave di volta per un’elevazione spirituale (a questo tende l’arte, in generale) che altrimenti non avrebbe mai visto la luce. Chissà come l’avrà scelta Leonardo da Vinci la tavola di pioppo di tredici millimetri di spessore, su cui poi avrebbe posato i colori ad olio che ritraggono la Gioconda, l’enigma su cui discutono da secoli i critici d’arte (l’anima presente, ma inaccessibile) … Il paesaggio in cui è immersa quella donna ci comunica calma, serenità, perfezione. Stati d’animo, riflessi del nostro modo di essere al mondo. Su questo ultimo aspetto chiudo queste brevi riflessioni, riportando i versi di Salvatore Quasimodo, esponente dell’ermetismo e premio Nobel per la letteratura nel 1959, che mi sembra cogliere, attraverso l’elemento arboreo, alcuni aspetti della condizione umana: 

In alto c’è un pino distorto;
sta intento e ascolta l’abisso
col fusto piegato a balestra.
Rifugio di uccelli notturni,
nell’ora più alta risuona
d’un battere d’ali veloce

 Buon 21 marzo.

Nicolò Giordano

(*) “Odissea” a cura di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino, 1963.
(**)  A.M. Cefis, Sacri boschi, su Ad Maiora Vertite, 2 febbraio 2019

Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari

Immagine di copertina Giardino di NinfaPhoto di Kari Heimonen. Primavera 2013


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