Ricordando le parole dell’antropologo David Le Breton, camminare è un atto rivoluzionario. E serve anche “a riempire di meraviglia le ore”. Anche per Luigi Del Prete, camminare ha questa importanza: trova il camminare un atto capace di rivoluzionare le proprie vite.
Dopo una Laurea in lettere ha conseguito un Master in giornalismo per corrispondenti dall'estero presso la City University di Londra. Ha successivamente diviso il proprio impegno culturale con quello politico nella convinzione che le due cose non possano mai essere disgiunte. Ha lavorato per alcuni anni a RAITRE per la realizzazione di programmi a sfondo sociale e culturale. Ha realizzato in modo indipendente documentari a carattere storico.
Da lungo tempo appassionato di cammini, ha co-promosso, con la direzione artistica di Giorgia Santoro, la nascita del Festival Il Cammino Celeste lungo la parte terminale della Via Francigena europea in Puglia meridionale.
Cosa rappresenta per te l’azione di camminare, fisicamente e
spiritualmente?
Camminare è una azione rivoluzionaria. Perché è un ritorno alle radici più antiche dell’uomo. L’essere umano ha sempre camminato. Verosimilmente la volontà (e la necessità) di camminare sono le ragioni per cui ci siamo trasformati in homo erectus. Camminare non può essere considerato uno sport. Non lo è. E’ attraversare lunghe distanze, restare immersi per un dato tempo nella natura, che è il nostro ambiente naturale, dedicarsi del tempo. Ci si mette in cammino quando la quotidianità inizia ad opprimerci e desideriamo tornare alla nostra libertà. Il muoversi a piedi è infatti questo. Il corpo camminando ritorna a funzionare. La respirazione recupera un ritmo che le è proprio e non sincopato, come facciamo quando siamo sotto la pressione del quotidiano. Il rimettersi in funzione del corpo si riflette sulla nostra mente. Ci sentiamo a nostro agio. Il tutto avviene spontaneamente.
E’ appunto un ritorno a codici che sono sicuramente presenti nella nostra natura. Lontani dalle occupazioni quotidiane abbiamo finalmente il tempo di dedicarci a noi stessi, ad essere attenti a ciò che ci accade dentro. La mente vaga da sola. Ed è un vagare anch’esso spontaneo. Che lo si voglia o no, lontana dalle impellenze del quotidiano anche la mente torna libera di girovagare. Accade allora che tornino in mente episodi, conversazioni, ferite antiche o ricordi bellissimi. Si è liberi di riviverli nel ricordo, di scrutarne i dettagli, di metabolizzare quanto ci è accaduto. Tutte azioni che la vita quotidiana ci sottrae. Ecco perché camminare, in quanto ritorno alla nostra natura più autentica, diviene un atto rivoluzionario. Un ritorno a sé stessi. Ciò significa leggere la vita da un punto di vista personale, e quindi originale. Senza essere strattonati dai condizionamenti che la vita di ogni giorno impone. Questo ovviamente ci apre orizzonti nuovi, in cui raramente ci addentriamo. In questo senso camminare diviene allora anche un processo spirituale.
Cosa ti spinge a camminare e a scoprire il territorio in
questa maniera lenta e graduale?
Camminare è rompere gli schemi. Stare all’aperto per ore ogni giorno. Durante un cammino si dorme ogni giorno in un luogo diverso. La lentezza ti consente di scoprire nuove chiavi di accesso ai territori. Si incontrano le persone. Si vede come il paesaggio lentamente muta. Si scoprono sentieri e vedute che con l’auto resterebbero inaccessibili. Si conoscono le abitudini delle comunità dei luoghi che si attraversano. Si viaggia davvero nel senso di conoscere realmente culture differenti.
Il viaggio così come è vissuto in genere non ti concede questo privilegio. Si asseconda la fretta cui ci costringe il quotidiano. Quando si cammina invece hai tutto il tempo per osservare, ascoltare, annusare. Se un posto ti soprende ti fermi. Non hai nessuno che ti pressa. Hai solo la curiosità, la bellezza dei luoghi a guidarti. L’unica coincidenza da prendere mentre si è in cammino è cogliere il momento per sedersi di fronte ad un panorama, godere del fresco di un albero, sedersi in silenzio ad ascoltare le armonie della natura.
Quale tipo di valorizzazione del
territorio ne consegue da questo sguardo sul territorio?
Le antiche strade del passato erano luoghi di incontro per eccellenza. Vi passavano persone appartenenti a qualsiasi classe o categoria sociale. Vi passavano santi, mercenari, eserciti, prelati, intellettuali, monaci, avventurieri, disperati, persone in cerca di un destino migliore, criminali e benefattori. Insomma la strada raccoglieva tutti. Faceva incontrare tutti. Quando si cammina si è tutti uguali. Non importa da dove vieni né cosa fai. C’è qualcosa che accomuna tutti i viandanti anche oggi. Ci si racconta, si sta insieme come nelle nostre vite di ogni giorno non potrebbe mai accadere.
Viaggiare a piedi diviene quindi anzitutto una grande occasione per stare realmente con gli altri. Senza fretta, dandosi il tempo per dirsi tutto nei giusti tempi. Camminare favorisce gli incontri tra culture diverse e favorisce quindi percorsi virtuosi di accoglienza dell’altro. Di scoprire modi diversi di vedere le cose ed il mondo. E questa è già un’enorme ricchezza.
Ma in un Paese come il nostro dove i piccoli borghi vanno via via spopolandosi, l’unica speranza di futuro sta proprio nella scoperta della lentezza, nel concedersi il tempo di assaporare la vita, i silenzi, la bellezza.
E’ finito, credo, il tempo del turismo vissuto come le invasioni barbariche. E’ arrivato il tempo della scoperta lenta, del tornare nella quiete.
I tanti cammini che stanno nascendo in Italia ultimamente ci portano in piccoli borghi, in luoghi dove la vita è ancora abitare la bellezza. Questo può innescare un percorso economicamente virtuoso, sostenibile ed anche molto salutare, perché camminare fa bene. Potrebbe quindi divenire la speranza per far rivivere, con il passaggio e la sosta dei viandanti, i piccoli borghi oggi in declino. Ovvero l’Italia più bella. Il viandante non inquina, non sporca, ascolta rispettoso. Porta anche ricchezza ai territori. Perché un viandante deve mangiare, dormire. Quindi, sia pure senza scialare, il camminare ha ricadute anche economiche sui territori attraversati. Rappresenta sicuramente il nuovo e più civile modo per muoversi e viaggiare, per fare esperienze reali di conoscenza dei territori, di sé e delle persone.
L’Italia è un Paese con un altissimo grado di attrattività per i viandanti di tutto il mondo. E’ il Paese dove l’idea di “Paesaggio Culturale” trova piena rappresentatività ovunque. L’attività svolta dai Parchi Letterari ne è un esempio prestigioso. Ma non vi è angolo dove non sia accaduto qualcosa di importante nella storia, nella letteratura o nell’arte. Attraversare l’Italia è come sfogliare un immenso libro le cui pagine siano state disseminate tra i diversissimi paesaggi, i luoghi dell’arte e della storia, i meravigliosi borghi in cui ci si imbatte ovunque.
Per il nostro Paese l’attuale crescita esponenziale dei cammini, legati a figure della storia (come il Cammino dei Briganti), della religione (Il Cammini di San Francesco o quello di San Benedetto per esempio) e della letteratura (I luoghi manzoniani o il cammino di Dante per citare solo degli esempi) o dell’arte (il cammino lungo i luoghi e le opere di Michelangelo), rappresenta la migliore opportunità di crescita per un turismo di qualità, per lo sviluppo sostenibile dell’economia turistica, ma anche una grande opportunità di confronto e di incontro tra persone provenienti da ogni dove, accomunate delle stesse passioni. Ecco questa è sicuramente una prospettiva importante per il futuro del turismo.
Di certo la rete dei Parchi Letterari dovrà ritagliarsi un ruolo da protagonista in questa sfida di civiltà.
Hai dei riferimenti letterari su questo tema che ti sono cari?
I riferimenti sono infiniti e tutti bellissimi. A partire da Jean-Jacques Rousseau che dedicò un’opera al camminare dal titolo “Passeggiate solitarie” dove scriveva: “non posso meditare se non camminando: appena mi fermo non penso più e la mia testa funziona solo con i pedi in moto”. La capacità del camminare di risvegliare il nostro corpo, le nostre emozioni ed i nostri pensieri è molto nota.
Anche il grande monaco buddista vietnamita Thich Nhat Hanh ha dedicato grande attenzione al camminare come via verso la consapevolezza interiore, la meditazione camminata è stata una sua idea che ha promosso durante tutta la sua lunga vita in giro per il mondo.
Bello il libro di Erlin Kagge “Camminare”, oppure “Andare a piedi. Filosofia del camminare" di Frederic Gros. E ancora “Elogio dei sentieri e della lentezza” un classico di Le Breton. Ma ancora “Camminare. Meditazioni per chi va a piedi” di A. H. Sidgwick.
Per questa stagione raccomanderei il bellissimo libro di Duccio Demetrio “Foliage. Vagabondare in autunno”.
Ma ormai la letteratura legata ai cammini si sta riempiendo di capolavori nuovi e ritrovati. Bellissima una recente edizione dedicata ad una serie di scritti di Hermann Hesse dedicati appunto al camminare. Le sue riflessioni sono di intensità e profondità rare.
Quali storie ruotano attorno a questa tua passione? C’è un episodio che ti
sei portato sempre dietro?
Camminare è, come abbiamo visto, un modo per rivoluzionare la propria vita quando un momento di stanchezza ci assale. A quale punto è ora di mettersi in cammino. Più che un singolo episodio, certamente tutte le volte in cui mi sono sentito stanco oppure un po' giù, camminare mi ha restituito a me stesso. Ritrovare se stessi camminando equivale un po' a quei rari incontri importanti che, se siamo fortunati, ci capitano nella vita. Camminare ci restituisce uno sguardo più sapiente sulla vita, su ciò che ci accade. Non solo metaforicamente, ma concretamente è la strada maestra per lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare. Ogni volta.
Ginevra Sanfelice Lilli
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Immagini dall'archivio di Luigi Del Prete
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