Secondo stime recenti fornite dalle Nazioni Unite entro il 2050 oltre due terzi della popolazione mondiale vivrà in contesti cittadini. Questa situazione, che sta già provocando visibili effetti, è destinata a determinare degli impatti particolarmente significativi dal punto di vista ambientale, con consistenti ricadute sull’utilizzo delle fonti energetiche, sull’approvvigionamento delle risorse idriche e alimentari, sulla mobilità, sulla produzione di rifiuti e sull’inquinamento. Ciò pone la necessità di ripensare il concetto stesso di città ed il rapporto con il resto del territorio, superando schemi, teorie e abitudini che hanno fino ad oggi guidato il pensiero e la progettazione degli spazi urbani.
I nuovi orizzonti della globalizzazione e del progresso hanno imposto il ruolo centrale delle metropoli che, però, non possono essere più enormi aggregati cresciuti alla rinfusa, ma devono essere sviluppate alla stregua di nuovi organismi, complessi e vitali. Si tratta di una scelta coraggiosa e lungimirante che richiede un approccio multidisciplinare e un cambio radicale di prospettiva.
E’ per questo motivo che si stanno affermando, a livello internazionale, nuove linee di pensiero che non considerano più le città come corpo antitetico ed estraneo alla natura, ma piuttosto nuove entità che possono crescere ed affermarsi in maniera armonica e bilanciata laddove vengano attuati dei principi generali ispirati all’ambiente. Si tratta delle “Bio-città”, nuovi laboratori di discussione e progettazione che pongono importanti sfide da un punto di vista politico, economico, sociale e tecnologico. Alla base di tali “entità future” sono riconducibili 10 principi generali da cui dovranno discendere le successive azioni e scelte realizzative. Ne vengono illustrati alcuni nel seguito dell’articolo.
Secondo gli ispiratori di questo nuovo modello, le Bio-città, innanzi tutto, sono immaginate alla stregua di una foresta, in grado cioè di assorbire Co2 e gas serra e di avere un bilancio positivo. In tal senso, le Bio-città saranno sviluppate in modo da avere estese superfici forestali ed alberi all’interno dei propri confini. Gli stessi palazzi e costruzioni potranno essere realizzati impiegando particolari materiali rinnovabili e con tecniche costruttive che integrino anche l’impiego del verde. Da questo punto di vista esistono già, in numerose città, esempi particolarmente riusciti quali, ad esempio il “bosco verticale“ a Milano, che pongono gli alberi quale elemento di regolazione della temperatura e mitigazione dell’inquinamento e agiscono come copertura esterna dell’edificio stesso.
Le Bio-città dovranno essere autosufficienti. Esse saranno strutturate in maniera da produrre energia attraverso i propri sistemi rinnovabili, estraendo acqua dai propri bacini naturali e dal sottosuolo. Dovranno essere in grado, altresì, di produrre il cibo e le biomasse necessarie alla propria popolazione, all’interno delle città stesse e nell’ambito delle bioregioni confinanti.
Le Bio-città, saranno progettate sulla base di diversi livelli dal sottosuolo fino alle coperture degli edifici che integrino e rinforzino diverse funzioni e assicurino le risorse necessarie.
Inoltre, saranno fondamentali un’organizzazione generale che consideri le Bio-città non alla stregua di agglomerati, ma di veri e propri ecosistemi finalizzati al benessere della popolazione. Pertanto, diventeranno centrali lo sviluppo della biodiversità e della bioeconomia circolare, quest’ultima basata sulla possibilità di utilizzare materiali locali o riciclati per mantenere e migliorare la manutenzione e il funzionamento corretto e sostenibile delle Bio-città.
Ancora, altri elementi da sviluppare saranno la riorganizzazione degli spazi urbani in maniera da offrire i sevizi di base necessari alla popolazioni entro un raggio di 15 minuti a piedi, introducendo il concetto di interconnessione della mobilità leggera.
Verrà, quindi, garantita la simbiosi ed il dialogo tra le Bio-città e le Bioregioni rurali che dovranno fornire reciprocamente risorse, beni e servizi, in un sistema bilanciato e a basso impatto.
Infine, lo sviluppo delle Bio-città dovrà assicurare da un lato il benessere e la salute dei cittadini, attraverso un equilibrato inserimento e sviluppo di aree verdi (prati, boschi, orti urbani, ecc.) e dall’altro garantire un’equa distribuzione delle risorse.
La sia pur rapida e schematica esposizione di questi principi ha in termini pratici delle ricadute estremamente complesse, poiché coinvolge una molteplicità di aspetti che vanno dalle tecniche per la costruzione degli immobili, ai sistemi di riscaldamento, dalla progettazione degli assi viari, alla condivisione e fruizione degli spazi pubblici, alla conservazione e valorizzazione del patrimonio storico ed archeologico solo per citare alcuni esempi. Tutti questi aspetti devono essere studiati, valutati ed integrati al fine di arrivare alle soluzioni prospettate.
E’ indubbio che il progresso tecnologico ci mette in condizione, oggi, di far scelte molto oculate e sostenibili. Il punto centrale è quello di immaginare le città come un grande organismo vivente, non più compartimentato e artificiale, ma simile ad un ecosistema. Le scelte di decementificare e rinverdire sono già alla base di alcuni cambi di passo che hanno interessato il nostro Paese. Ad esempio, ha compiuto dieci anni la legge (10/2013) che ha introdotto le “Norme per lo sviluppo degli spazi urbani” incentrata sull’importanza degli alberi anche e soprattutto nei contesti urbanizzati, introducendo, tra l’altro, il bilancio arboreo per i Comuni. Inoltre, la Strategia nazionale per la biodiversità 2020-2030 ha individuato un obiettivo specifico relativo alla conservazione delle foreste. Tra le varie azioni e sotto-azioni sono previste l’aumento delle superfici forestali anche in aree danneggiate da disturbi naturali e antropici, l’incremento della biodiversità forestale, la forestazione in ambito urbano, periurbano ed extra urbano, in particolare nelle aree vaste metropolitane.
Al momento, però, le realizzazioni concrete sono ancora molto sporadiche e frammentate e soffrono, almeno per ciò che riguarda la realtà italiana, di carenze di finanziamenti, di difficoltà di reperire aree adatte e questione, non di secondaria importanza, poter avvalersi di materiale vivaistico certificato ed idoneo. Quest’ultimo aspetto rappresenta un punto di criticità particolarmente rilevante poiché tale settore ha subito negli ultimi anni una considerevole contrazione, dovuta in parte alla scarsità di domanda, e rischia di far fallire numerosi progetti previsti nell’ambito del PNRR. La scelta delle specie forestali autoctone è alla base della strategia di conservazione della biodiversità ed è un elemento dal quale non si può prescindere. Inoltre, va tenuto conto che la messa a dimora degli alberi richiederà comunque un periodo di manutenzione di almeno 5/6 anni e sarà in grado di esplicare i propri benefici effetti in un arco temporale ancora più lungo. Né vanno disgiunte dalle considerazioni sopra esposte anche quelle particolarmente delicate legate alla messa in sicurezza delle piante ed alla scelta di specie che abbiano, per quanto possibile, basso impatto dal punto di vista delle allergie. La convivenza uomo/pianta, in contesto urbano non è, infatti, semplice, specie se si tratta di viali alberati o di verde urbano destinato all’arredo di spazi pubblici e pertinenze. In moltissimi contesti urbani è in atto, ormai da tempo, la sostituzione degli esemplari che sono stati messi a dimora negli anni ’60 del secolo scorso, e che, adesso, stanno iniziando a mostrare segni di precoce invecchiamento.
Queste sintetiche osservazioni mettono in evidenza la necessità di disporre di architetti paesaggisti particolarmente preparati ad affrontare scelte urbanistiche importanti, immaginando quale sarà la naturale evoluzione degli alberi e i possibili scenari che si presenteranno tra trenta/quarant’anni, prevedendo anche modalità di tutela dell’incolumità pubblica, con il monitoraggio della salute degli esemplari. Né andranno sottovalutati tutti i fattori di stress che subiscono le piante in ambito urbano e che possono dare origine a deterioramento e distruzione del patrimonio arboreo. Un esempio, piuttosto drammatico è quello che si è registrato con l’infestazione della cocciniglia che ha causato in pochi anni il deperimento e la morte di decine di esemplari di pino domestico in Campania e nel Lazio, soprattutto nella Capitale.
Un altro aspetto da tenere attentamente in considerazione allorché si parla di Bio-città è quello relativo alla presenza della fauna selvatica, che di per sé, rappresenta un elemento di arricchimento, ma che determina non pochi problemi di gestione. Se, almeno in teoria, vivere in città ove sono presenti decine di specie nidificanti, è un obiettivo per migliorare la qualità della vita, non vanno dimenticati di spiacevoli effetti collaterali di popolazioni troppo numerose. Anche in questo caso si può citare la difficoltà a gestire gli storni che pur disegnando coreografiche fantasie nei cieli cittadini, rilasciano quantitativi di guano che pongono significativi problemi di igiene e sicurezza sulle strade. Né è di minore impatto la gestione della fauna selvatica, in particolare degli ungulati, come ad esempio i cinghiali che sono vieppù attratti dalla facile disponibilità di cibo in città, ma pongono analoghi e più gravi questioni di convivenza con gli umani (possibilità di attacchi, diffusione di malattie, incidenti stradali ecc). Il discorso sarebbe ancora più complesso e delicato laddove si dovesse parlare di specie protette, quali ad esempio l’orso bruno marsicano che nei territori abruzzesi ha creato negli ultimi anni non poche difficoltà in termine di gestione, affacciandosi spesso in paesi e contesti urbani, dovendosi bilanciare da un lato la conservazione della specie e dall’altro il regolare svolgimento delle attività umane e garantire l’incolumità dei cittadini.
Il modello di Bio-città immaginato presenta, quindi, dei significativi fattori di complessità e rischio che necessitano attenta valutazione, poiché se da un punto di vista teorico i benefici di un sistema armonico e basato su meccanismi naturali dovrebbe offrire migliori condizioni di vita per la popolazione, dall’altro non si possono sottovalutare gli elementi spesso incompatibili con le attività umane che la natura pone. Trovare il punto di equilibrio migliore sarà il compito più difficile da ottenere nei prossimi anni.
Nicolò Giordano
Immagine: Storni a Roma (dal web)