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Uno schizzo della letteratura lucana

03 Dicembre 2024
Uno schizzo della letteratura lucana
Si può convenire che elemento identitario capace di qualificare gli autori e le opere della letteratura lucana è la “lucanità”, chiave di lettura idonea ad abbracciare secoli di vita e di uomini pur nati e vissuti in tempi e condizioni diverse

Uno schizzo della letteratura lucana 

Introduzione 
La Lucania-Basilicata è una terra che può vantare una non insignificante tradizione letteraria. Basti ricordare che già nell’antichità, ai tempi della colonizzazione greca, il territorio più o meno corrispondente all’attuale Basilicata vide nascere sulle sue coste due importanti scuole filosofiche: quella di Pitagora a Metaponto e di Parmenide e Zenone ad Elea, fondata forse da Senofane da Colofone.
Nei secoli successivi, poi, conobbe una rigogliosa fioritura di opere letterarie di vario genere. Se si tiene conto che la stragrande maggioranza della popolazione per lungo tempo non godette di un sia pur modesto livello d’istruzione e che la regione, sprovvista di autorevoli organi di stampa e di importanti case editrici, rimase sempre lontana dai grandi centri culturali della penisola, il fenomeno risulta ancora più sorprendente.
Ciò premesso, ci si deve chiedere in via preliminare se esistano le condizioni per concepire l’idea di una letteratura lucana e quali siano le argomentazioni valide a supportare tale idea. Dal momento che la nostra risposta è affermativa, occorre subito fare alcune rapide ma ineludibili considerazioni, al fine di chiarire cosa si debba intendere per letteratura lucana. 

Lineamenti della letteratura lucana
A questo scopo è bene partire dalla constatazione che una definizione dell’identità della letteratura lucana non può essere legata alla lingua utilizzata dagli autori, come invece accade per le letterature nazionali. A dimostrarlo bastino due soli esempi, riguardanti l’illustre poeta venosino Quinto Orazio Flacco e il meno noto filosofo Ocello Lucano, forse nativo di Grumentum.
Giustamente essi sono iscritti nella storia della letteratura lucana, benché il primo abbia utilizzato la lingua latina e il secondo il greco. Ocello, di cui si hanno poche e incerte notizie riguardo all’epoca e all’opera, per alcuni fu un seguace di Pitagora, per altri visse molto più tardi. A lui, fra le altre, sono attribuite due opere rilevanti, il saggio Sulla legge (Perì nómoυ) e un piccolo trattato in dialetto dorico, Sulla natura dell’Universo (Perì tés toű pantòs fύseos), che gli valsero la sincera ammirazione di Vincenzo Cuoco.

Sempre per quanto concerne l’aspetto linguistico è superfluo aggiungere che, pur adoperando la maggior parte degli scrittori e dei poeti lucani la lingua italiana, non mancano significative opere in dialetto, sia in prosa che in versi. I loro autori in tal modo hanno fatto un’operazione interessante sul piano stilistico e meritoria sotto l’aspetto culturale, perché grazie a loro tanti oscuri dialetti lucani hanno conseguito una dignità letteraria.

Il più illustre è fuor di dubbio il poeta Albino Pierro, il quale diede vita ad una poesia dialettale, che meritò l’attenzione di critici della statura di Gianfranco Contini e Gianfranco Folena e gli valse riconoscimenti prestigiosi in Italia e all’estero. Non stupisce, perciò, che la sua opera poetica, che pure si è avvalsa di un dialetto poco noto qual è quello di Tursi, presenti una cifra estetica di assoluto valore e, perciò, si libra e brilla nel vasto cielo della poesia italiana.
In questo àmbito piace ricordare anche il materano Antonio Montemurro, meno famoso ma non per questo meno degno di considerazione, che nella sua lunga e proficua attività di attore e autore teatrale ha esaltato il dialetto della Città dei Sassi, utilizzandolo sapientemente sia nella trasposizione di molti classici antichi e moderni, sia nella scrittura di molti suoi testi, in cui ha valorizzato anche momenti e aspetti esemplari della storia e della cultura antropologica lucana. In tal modo Montemurro ha onorato il nome di Talia, la Musa che lo ha sempre ispirato e che non a caso ha evocato in una recente monumentale opera in tre volumi. (1)  

Riguardo all’idea di letteratura lucana si deve aggiungere che essa non può essere suffragata neppure dal riferimento al luogo di origine degli autori, perché lo impediscono almeno due ordini di motivi. Per un verso, infatti, nella maggior parte dei casi si tratta di persone che hanno vissuto, si sono formate e affermate lontano da casa, perlopiù a Napoli ma anche altrove, comunque non nei paesi di origine. Per altro verso si fa fatica a non annoverare nella storia della letteratura lucana scrittori e poeti, che, pur non essendo nati in paesi lucani, con le loro opere mostrano di aver avuto con la Lucania-Basilicata un rapporto intenso, che ne ha segnato in maniera profonda la biografia umana, letteraria e intellettuale.

Alla prima numerosissima schiera appartengono, fra gli altri, Francesco Lomonaco e Francesco Mario Pagano, Nicola Sole e Luigi La Vista, Giustino Fortunato e Francesco Saverio Nitti, fino ad arrivare a Leonardo Sinisgalli, Carlo Alianello, Pasquale Festa Campanile, Albino Pierro, Michele Parrella, Vincenzo Cilento, Pio Rasulo, Mario Trufelli, Giuseppe Lupo e Mariolina Venezia.
In certo qual modo di questo gruppo fanno parte Giuseppe Catenacci e Rocco Scotellaro. Il primo, su cui esercitò una positiva influenza l’amicizia con Giustino Fortunato, studiò e visse lontano per molti anni dalla sua Rionero. Una volta rientrato, dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale e aver conseguito la laurea in ingegneria, non se ne volle più allontanare e svolse nel Vulture un’intensa e proficua attività di docente, di tecnico, di scrittore, di poeta, profondendo un notevole impegno civile per il riscatto della sua terra.

Riguardo a Scotellaro mette conto di ricordare che le sue opere videro la luce solo dopo la morte, ancora incomplete o quanto meno bisognose di un lavoro di ultima mano. La sua effimera stagione letteraria e poetica, stroncata d’improvviso a soli trent’anni, si consumò solo in parte all’ombra della torre normanna del paese natale. Egli, infatti, per motivi di studio lasciò Tricarico da ragazzo, visse gli anni del liceo e dell’università girovagando da una città all’altra e, infine, si trasferì a Portici, quando avvertì il bisogno di rompere con l’attività politica e di dare un indirizzo preciso e una sistemazione stabile alla sua vita.

Del più ristretto ma non per questo meno importante gruppo di autori da considerare lucani, pur non essendo nati in Lucania-Basilicata, non si possono non menzionare lo scrittore e patriota Luigi Settembrini, il cui nonno paterno era di Bollita, l’attuale Nova Siri, e il torinese Carlo Levi. Si potrebbe anche aggiungere, magari con qualche forzatura, Igino Ugo Tarchetti, giovane scrittore e poeta “scapigliato”, pur egli di origine piemontese, che molto tempo prima di Levi ne L’innamorato della montagna aveva descritto lo squallore e la miseria della Lucania-Basilicata quale l’aveva conosciuta in un suo viaggio casuale e avventuroso da Eboli a Potenza.

Lucana, poi, deve ritenersi Claudia Durastanti, la quale, nata nel 1984 a New York, all’età di sei anni per effetto di vicissitudini familiari si ritrova a Gallicchio con il fratello e la mamma, che da quel piccolo paese della Val d’Agri proveniva. Come si potrebbe, d’altronde, non ritenere lucana una scrittrice, che è sì una cittadina americana vissuta a lungo a Londra, ma è autrice di due romanzi La straniera nel 2019 e Missitalia nel 2024, in cui la Lucania-Basilicata, più che essere lo sfondo integratore, è la materia e il focus della narrazione?
Non a caso è la stessa Durastanti a dichiarare apertamente che lei si è proposta di «raccontare un modo di stare al Sud, di sentirsi del Sud, di appartenere al Sud» in due opere, che pure sono del tutto diverse fra loro. Il primo libro, infatti, è un memoir familiare, che vede protagonista la madre dell’autrice, mentre il secondo è un romanzo d’immaginazione concepito nel periodo della pandemia, quando in essa affiora la percezione «della sua irrilevanza come vissuto e della sua importanza come immaginazione». (2) Così, questa opera molto originale, formata da un trittico di romanzi che narrano le storie di tre donne vissute in epoche diversissime, parte dalla metà del secolo XIX, percorre il Novecento e si spinge fino al 2051, vale a dire ben oltre la modernità e la contemporaneità.

In conclusione, si può convenire che l'unico vero elemento identitario, capace di qualificare gli autori e le opere della letteratura lucana, è la “lucanità”, intendendo con questo termine l’essenza antropologica, culturale e spirituale di una comunità. Tale idea, peraltro, è avallata da Giovanni Caserta, attento storiografo e autorevole critico del patrimonio letterario lucano, per il quale la lucanità costituisce «l'unica chiave o linea di lettura idonea ad abbracciare e tenere insieme secoli di vita e di uomini pur nati e vissuti in tempi e condizioni diverse”. (3)

Il ruolo dei Parchi Letterari lucani 
Da quanto si è detto non appare strano che dei trentatré Parchi Letterari attivi in Italia ben sette siano in Basilicata-Lucania: Carlo Levi ad Aliano, Isabella Morra a Valsinni, Francesco Lomonaco a Montalbano Jonico, Albino Pierro a Tursi, Mario Pagano a Brienza, Federico II a Melfi e Michele Parrella a Laurenzana.
La terra lucana, pertanto, si rivela una sorprendente miniera anche nello specifico àmbito letterario e non sfugge che i Parchi Letterari svolgano una pregevole e meritoria attività per la tutela e la valorizzazione di tale prezioso patrimonio. Facendo leva sull’idea che esista un rapporto osmotico fra territorio e letteratura, essi creano le condizioni idonee, perché un luogo contribuisca ad esaltare l’opera letteraria e questa dal suo canto valorizzi e diffonda una più consona conoscenza delle risorse storiche, artistiche ed ambientali. In tal modo i paesi interessati si rendono coprotagonisti del progresso culturale e civile del territorio.

Angelo Colangelo

(1) A. Montemurro, Il teatro di Talia, voll. 3, Giannatelli, Matera, 2023
(2) Intervista a Teresa Ciabatti per il Corriere della sera (Sette) del 10 marzo 2024
(3) G. Caserta, Disegno storico della letteratura lucana, Villani, Potenza, 2020, p. 18
Immagine: Carlo Levi, Lucania 61 (Particolare) Rocco Scotellaro. Sala Levi, Museo nazionale d’arte medievale e moderna di Matera. Palazzo Lanfranchi

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