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Pippo Madè e la Divina Commedia disegnata

Pippo Madè e la Divina Commedia disegnata

Il 27 Aprile si celebra la Giornata mondiale del disegno per sottolinearne il valore comunicativo. Nel settecentesimo anniversario della morte di Dante presentiamo la Divina Commedia disegnata dal Maestro Pippo Madè, uno dei massimi artisti contemporanei

19 Aprile 2021
 

ParkTime n. 13

Il 27 Aprile si celebra la Giornata Mondiale del Disegno, nota anche come “Giorno del disegnatore” o “Giorno del disegnatore grafico”. E’ un’occasione per sottolineare il valore della comunicazione attraverso il disegno, straordinario strumento di comunicazione non-verbale fin dalla preistoria. Considerato un potente veicolo per la trasmissione e la condivisione di idee, progetti, esperienze, il disegno stimola le capacità cognitive e creative, riflette gli stati d’animo e le caratteristiche della personalità. 

Nel settecentesimo anniversario della morte di Dante (Firenze 1265 – Ravenna 1321), presentare la Divina Commedia disegnata dal maestro di fama internazionale Pippo Madè, uno dei massimi artisti contemporanei, ci è sembrato una scelta giusta e oltremodo opportuna. Madè che può vantare di aver esposto nelle più importanti città del mondo ( nel 1992 è stato invitato dal The Italian Government Travel Office of Chicago a disegnare i manifesti per il Columbus 500 Years) da autodidatta è stato guidato e ammirato da Renato Guttuso suo conterraneo. I disegni in bianco e nero di china, dedicati al poema dantesco, sono raccolti in un’opera edita da Farina (Palermo) nel 2012, dopo circa quattro anni di lavoro. L’opera, che il maestro dedica all’amico e storico dell’Arte Piero Adorno e a tutte le persone che gli sono care, è un lavoro prestigioso sia per le 119 illustrazioni relative alle tre cantiche sia perché stampata su carta di Fabriano e in soli 399 esemplari. Il tratto lineare possente e continuo dell’artista, caratterizza le potenti illustrazioni nelle quali i personaggi sono presentati abbigliati e a volte inseriti in paesaggi che rimandano a luoghi noti della sua Sicilia. 

Un’opera che ha certamente comportato una grande fatica e sacrifici da parte del maestro che supportato dalla fede e dall’amore per la sua attività di artista, ha iniziato il percorso con lo spirito di chi si affianca a Dante e Virgilio per compiere un viaggio di speranza e redenzione. Dedicatosi spesso a cicli seriali molto impegnativi, basti qui ricordare il chiostro dei morti ad Assisi per il quale il disegno che è ritenuto a ragione “suprema prova d’onestà “ di ogni artista è la caratteristica peculiare di questa opera del maestro palermitano che ne ha depositata una copia presso il Centro Dantesco a Ravenna, dove al maestro è stata dedicata la “Pinacoteca dantesca Madè”. 

Le illustrazioni dei vari canti sono accompagnate da note esplicative scritte dall’autore stesso e da didascalie che aiutano a comprendere i versi danteschi d’ispirazione; la serie di annotazioni di suo pugno che corredano i disegni, le notizie storiche, le note strutturali, le riflessioni che accompagnano le illustrazioni, sono parte integrante delle singole e fanno parte dell’iter progettuale. I personaggi, i simboli e le allegorie, sono ripresi dalla grande tradizione iconografica ma ripensati e ricompresi nel personale sentire del maestro la cui caratteristica più significativa è il segno grafico narrante continuo, che gli permette di esprimere al massimo la sua sensibilità che sembra rivelarsi compiutamente attraverso quei segni a volte morbidi a volte nervosi, precisi o sfumati, tracciati sulla materia cartacea con grande virtuosismo e maestria. Tratti grafici immediati tesi a rendere comprensibile i versi poetici danteschi e soprattutto le allegorie e le simbologie in essi nascoste. Un segno inequivocabile frutto di profonda riflessione sul poema e realizzato con ingegnosità e destrezza quasi reverenziali nell’intento di tradurre su carta, con l’utilizzo di una specie di poesia visiva, il poema di Dante. Il disegno del maestro a linea continua è così preciso e carico di forza ed energia capace di trasporre la poesia dantesca in altrettanto poetiche immagini figurate. 

A differenza della poesia dantesca nelle illustrazioni di Madè sono presenti elementi paesaggistici, un albero, le rocce che il maestro tratta coordinando realismo e astrazione emotiva. Vortici e intrecci di linee sono presenze costanti, simboli capaci di esaltare, come nello spirito francescano, il profondo sentimento di armonia tra uomo e natura, tutte creature che si confrontano in un sereno equilibrio. E’ il maestro stesso che racconta come i suoi disegni nascano da linee tracciate con segno continuo quasi che a guidare la sua mano fosse uno spirito superiore: questa affermazione esprime più di tante altre parole quanto Madè durante la realizzazione delle sue opere riesca ad “immergersi” in esse e quanto, allo stesso tempo, sia capace di distaccarsene per raggiungere le più alte vette dello spirito.  Così ci sembra di vederlo lì accanto a Dante e Virgilio a colloquio con le anime dei dannati, dei purganti e dei beati, conscio che l’arte possa svelare o aiutare a comprendere i più grandi misteri escatologici con i quali ogni uomo, credente o no, s’imbatte. 

Tra i 119 disegni che compongono l’opera vorrei presentare alcune illustrazioni che rimandano alla valle del Casentino: il XXX canto dell’Inferno (Mastro Adamo e Romena), il V canto del Purgatorio (Bonconte da Montefeltro, confluenza dell’Archiano con l’Arno) e l’XI canto del Paradiso (San Francesco e la Verna). La sua interpretazione è personalissima, i personaggi spesso abbigliati sono resi con linee fitte che danno volume alle forme e ne sottolineano i sentimenti: o la disperazione di dannati all’Inferno o la malinconica speranza nel Purgatorio o la serena quiete raggiunta nel Paradiso dove le forme si fanno più leggere e morbide.

 Illustrazioni ricche di preziosi dettagli rivelatori, tracciati con segni forti ed immediati che mostrano tutta l’ingegnosità del maestro e lo studio approfondito del poema. 

 Nel canto XXX dell’Inferno l’illustrazione di mastro Adamo e Sinone presenta una raffigurazione corale in cui compaiono la moglie di Putifarre, la falsa che accusò Giuseppe, Sinone greco di Troia ed altri personaggi. Il centro della scena è occupato dalla figura di Sinone che colpisce con un potente pugno la pancia gonfia di maestro Adamo e questi in risposta gli percuote il volto con un braccio: “col pugno li percosse l’epa croia … quella sonò come fosse un tamburo/ e mastro Adamo li percosse il volto/ col braccio suo che non parve men duro”. Seguono battute ingiuriose tra loro e Virgilio rimprovera Dante per essersi soffermato ad ascoltarli compiaciuto. Dante si vergogna, si umilia e si pente per essersi abbassato al meschino livello dei due dannati e questo rimprovero Madè ce lo restituisce con tratti grafici che evidenziano un gesto immediatamente comprensibile: Virgilio tira via Dante prendendolo per un braccio così come farebbe qualsiasi padre con un figlio. Anche in questa illustrazione, l’elemento paesaggistico è presente nell’albero che cresce sul lato destro fino ad estendere i suoi rami in alto e farsi cornice decorativa per racchiudere la scena. L’episodio narra del personaggio Adamo da Brescia che fu indotto dai conti Guidi di Romena a falsificare i fiorini è ricordata anche da Emma Perodi nella novella “Adamo il falsario”. Il falsificatore di monete condannato all’idropisia, presenta un ventre gonfio e tormentato dalla sete con intenso desiderio ricorda i freschi e limpidi ruscelli del Casentino la cui immagine gli fa sentire l’arsura più che la stessa idropisia. 

 Nell’illustrazione del V canto del Purgatorio che narra della morte di Bonconte da Montefeltro e della lotta tra un angelo e il diavolo per il possesso della sua anima, inscenata da Dante alla confluenza dell’Archiano con l’Arno in Casentino, Madè con soluzione originalissima, avvolge tutti i personaggi tratteggiando linee semicircolari, vorticose ed evocare così visivamente la tempesta di cui Dante fa menzione nel poema. Le condizioni atmosferiche evidenziate con linee semicircolari rendono il vortice di pioggia e vento del temporale scatenatosi dopo la battaglia di Campaldino.

L’angelo con atteggiamento risoluto e gesto istintivo di matrice popolare e pertanto di grande efficacia, con entrambe le mani spinge lontano il diavolo: la lotta contro il Male è vinta.

Il condottiero ghibellino, con la sua armatura è appoggiato al tronco dell’albero e con gesto amichevole rivolge il braccio destro a Dante per narrare il mistero della sua morte. La spada è ora appoggiata sulle sue gambe, non serve più. Il corpo irsuto del diavolo con mani e piedi artigliati e grandi ali di pipistrello presenta uno sguardo incredulo per la sconfitta subita; le gambe del condottiero sono in parte già sommerse nell’acqua del fiume che sta per travolgere tutto il suo corpo. L’interpretazione che ci restituisce Madè è originalissima poiché inserendo Dante proprio alla confluenza dell’Archiano con l’Arno, lo rende testimone dell’accaduto negli ultimi istanti di vita del capitano ghibellino. Dante/Madè rivivono l’episodio, si immedesimano nel racconto, rivivono le emozioni e i sentimenti, partecipano in prima persona ai fatti di storia, di mistero e di fede narrati nel poema. E’ questa la chiave di lettura per comprendere fino in fondo la potenza delle immagini di Madè che con umiltà e sincerità si fa Dante per ripercorrere insieme al Sommo poeta quel viaggio nel regno dell’Eternità.

 L’illustrazione dell’XI canto del Paradiso vede San Francesco al centro della scena in alto, quasi librato in uno spazio libero, che evoca una dimensione mistica e spirituale, raffigurato con il saio e con le braccia aperte in segno di accoglienza; è facilmente riconoscibile per i segni delle stimmate. E’ una scena nella quale il maestro dà più spazio al fondo bianco così da trasmetterci il senso del chiarore e della luce che sono le caratteristiche del Paradiso. San Tommaso, raffigurato sulla sinistra, con i piedi sollevati, così come Beatrice, segno che evoca la loro incorporeità, parla a Dante di San Francesco e si rivolge al poeta e a Beatrice raffigurati sulla destra in basso, rivolgendo loro il braccio destro così come Dante lo rivolge verso di lui. La gestualità delle braccia è indice chiaro del parlare e il canto si apre con un’invocazione di Dante che sottolinea la vanità degli affanni terreni cui segue il discorso di San Tommaso che spiega come la Provvidenza ha deciso la nascita di prìncipi che aiutassero la Chiesa a rimanere salda: uno è San Francesco, l’altro San Domenico. San Francesco secondo i versi di Dante “ …fu tutto serafico in ardore …. e nel crudo sasso intra Tevero e Arno/ da Cristo prese l’ultimo sigillo/ che le sue membra due anni portarno”. 

La presentazione del corpus grafico di Madè per la sua interpretazione della Commedia suggerisce anche qualche considerazione di ordine generale sul disegno come opera d’arte indipendente e non solo esclusivamente come prezioso strumento di lavoro.

Il fondamentale ruolo svolto dal disegno nella genesi e nello sviluppo dell’opera d’arte favorì il riconoscimento del valore artistico delle opere grafiche, nelle quali si iniziò a riconoscere la manifestazione più immediata e diretta dell’estro dell’artista. A partire dal rinascimento, e ancora più frequentemente nelle epoche successive, gli artisti praticarono il disegno come attività creativa autonoma, capace di produrre opere in sé compiute. E’ in terra di Toscana che viene teorizzato il primato del disegno come fondamento di tutte le arti, ne sono prova le numerose dichiarazioni e principi espressi negli scritti d’arte dell’epoca, ad iniziare da Cennino Cennini nel suo Libro dell’arte quando scrive “ El fondamento dell’arte, e di tutti questi lavorii di mano, il principio, è il disegno e il colorire” per arrivare a Leonardo per il quale il disegno era una vera e propria forma di conoscenza del mondo e giungere poi a Giorgio Vasari che nelle sue Vite, nell’edizione del 1568, ribadiva il suo concetto di disegno come fondamento di tutte le arti “ Perché il disegno, padre delle tre arti nostre architettura, scultura e pittura, procedendo dall’intelletto cava di molte cose un giudizio universale simile a una forma overo idea di tutte le cose della natura…”.

Parole autorevoli quelle del Vasari, padre della storiografia moderna, abilissimo disegnatore e promotore non dimentichiamo a Firenze, dell’Accademia delle Arti del Disegno che venne fondata da Cosimo I de’ Medici il 13 gennaio del 1563 e che ancora oggi divisa nelle cinque classi di pittura, scultura, architettura, storia dell’arte e discipline umanistiche e scienze esercita la sua attività con le finalità di salvaguardare e proteggere le opere d’arte. 

Non sorprende quindi che proprio a Firenze nascerà una delle collezioni grafiche più importanti al mondo: il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. La grande raccolta grafica venne iniziata con molta probabilità già ai tempi di Lorenzo il Magnifico e proseguita dai suoi successori, ma fu intorno alla metà del Seicento che raggiunse una certa sistematicità, quando il cardinale Leopoldo de’ Medici ne affidò ordinamento e classificazione dei sedicimila fogli a Filippo Baldinucci, suo segretario. E’ senza dubbio merito del cardinale quello di aver dato al disegno un ruolo di primo piano nella sua attività collezionistica elevandolo ad opera d’arte, un esempio che non ebbe eguali nell’Italia del XVII secolo e che pone Firenze in una posizione di autentica patria del disegno o di quello che all’epoca veniva definito “il buon disegno. A ciò si aggiunge l’eccezionalità data dal fatto che la collezione nel tempo sia stata accresciuta e che sia rimasta conservata intatta nello stesso luogo. 

Oggi il corpus del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi annovera 150.000 esemplari tra disegni, incisioni, miniature, fotografie che vanno dal Trecento fino ai nostri giorni.

Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari

Ringraziamo la Famiglia del Maestro per averci permesso la pubblicazione delle tre opere

  • V canto del Purgatorio,  Bonconte da Montefeltro
  • XI canto del Paradiso, San Francesco
  • XXX canto dell’Inferno, mastro Adamo e Sinone


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