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Zew Kuten, lo psichiatra che prendeva lezioni di magia

Zew Kuten, lo psichiatra che prendeva lezioni di magia

Un mattino d’inverno con Zew Kuten, lo psichiatra che prendeva lezioni di magia. Nato a Rodi dopo il naufragio del Pentcho fu tradotto ed internato ad appena un anno,con i genitori, nel Campo di internamento di Ferramonti oggi Parco Letterario

18 Marzo 2021

11-2-2020 h 9

Fa freddo qui lungo la strada verso il Campo di Ferramonti, ma Zew ha un sorriso buono che scalda il cuore e gli occhi di Irene, sua figlia, brillano di gioia perché è riuscita finalmente a regalare al padre il viaggio “ identitario”! Irene Kuten, una giovane e creativa produttrice audio-visual e regista argentina, aveva contattato Simona Celiberti, coordinatrice degli eventi a Ferramonti, per visitare il Campo e per chiedere al sindaco di Tarsia l’autorizzazione a fotografare e a girare alcune scene.
Il materiale audio-visivo le sarebbe servito per realizzare un corto - Sette giorni con Zew – attraverso cui ”narrare” cinematograficamente la storia di suo padre, il cui vissuto è un tassello dell’Odissea del Pentcho (vedi Pentcho, ndr).

Zew, infatti, è nato a Rodi dopo il naufragio del Pentcho e, in tenerissima età, ad appena un anno, è tradotto ed internato, con i genitori, a Ferramonti

Pochi passi e giungiamo al Campo, ma Zew non varca il cancello, esita, si gira indietro a guardare dall’altra parte della strada l’unica baracca ormai fatiscente, quasi a voler risvegliare un ricordo infantile e poi, raggiunge il gruppo. Irene e suo marito Marcelo sistemano la macchina da presa.
Zew si guarda attorno, vede l’insegna Parco Letterario Ernst Bernhard e mi chiede notizie.
Riassumo brevemente il motivo per cui il Campo di concentramento - Parco Letterario sia stato intitolato allo psicanalista junghiano e Zew sorride dicendo di essere anche egli psicanalista, ma non bravo come Bernhard! Il tono modesto dell ’espressione e la “coincidenza” bernhardiana dell’incontro mi colpiscono.

Vorrei chiedergli quale flusso di pensieri, quali emozioni prova nel trovarsi a Ferramonti, ma temo di osare troppo. Giriamo attorno al piazzale, tornando all’entrata: a destra Zew nota un albero recintato e si avvicina per leggere la targhetta in cui è scritto che quel cedro è dono della Comunità ebraica , più in là ci soffermiamo presso due alberi d’olivo: il primo, dono del Keren Kajemeth Leisrael, proveniente dalla Collina dei Giusti di Gerusalemme, il secondo della Sinagoga Ner Tamid del sud Serrastretta Italia.

Zew mi dice di essere venuto in Italia altre volte in cerca di “materiale da studio” e di Ferramonti: la prima volta, alla fine degli anni 70, si ferma a Roma in cerca di documenti, ma non trova nulla su Ferramonti. Ritorna in Italia alcuni anni dopo e, in macchina , arriva in Calabria sino a Ferramonti, ma trova il cancello chiuso e il campo incustodito. Si sofferma a guardare oltre il cancello, e tra le sterpaglie scorge alcune costruzioni utilizzate come stalle e, a sinistra della strada sterrata, vede l’unica baracca superstite alle intemperie climatiche e all’incuria degli uomini…Chiede notizie a qualche passante che gli conferma che lì c’era stato un campo di concentramento…

Ritorna a Ferramonti agli inizi del 2005 e vede un’altra realtà: il cancello è aperto, c’è un Museo con sale espositive e un salone per i convegni, persone gentili che accolgono, spiegano e mostrano libri che trattano di Ferramonti. Li acquista per poterli studiare.
Oggi è di nuovo qui, con maggiore consapevolezza e per realizzare il progetto di sua figlia. Irene e Marcelo, intanto, fotografano da varie angolazioni gli edifici un tempo uffici della Direzione del Campo e ora Museo della Memoria, dove Mariuccia, l’operatrice volontaria, ci aspetta per la visita guidata: attraversiamo le varie sale del Museo della Memoria e la ascoltiamo attentamente.
Zew si riconosce in alcune foto di bambini nati a Ferramonti o ivi giunti in tenera età. Dalla carpetta che estrae dal suo zaino, sceglie alcune foto e le confronta con quelle sistemate (da Simona e da Dina Smadar, altra bimba di Ferramonti e ora artista in Israele) sulle pareti della sala: sono eguali.
Lui sorride, noi tutti proviamo un moto di commozione. Passiamo nell’altra sala e sostiamo lì dove sono esposte le foto relative all’odissea del Pentcho.

Zew indica sulla mappa l’itinerario che Chaim e Ruth, suoi genitori, avevano fatto da Lesnow, il natio villaggio polacco, attraversando a piedi la montagna Tatra innevata, sino a Bratislava, per imbarcarsi sul Pentcho, un disastrato battello fluviale. Conosco l’odissea del Pentcho, sia nella Relazione (a posteriori) di Heinz Wisla raccolta e tradotta dal tedesco in italiano da Israel Kalk, sia dalle carte dell’archivio dei Carabinieri Reali rinvenuto a Rodi e studiato da Clementi-Toliou, ma chiedo a Zew di raccontare la “sua” storia, quella che i suoi genitori gli hanno testimoniato, quella “vissuta” da Chaim e Ruth!

Ci sediamo sulle panche e Zew In un comprensibile idioletto fatto di incerto italiano (“ridotto, ristretto come un caffè” – precisa lui) e di musicale tono spagnolo, ci dice di essere nato il 3 febbraio 1941, (registrato Aven Zeev Cutten anche nell’elenco stilato dal Governo di Rodi il 16 aprile1941 -507 e inviato alla Croce Rossa Internazionale) a Rodi. Lì erano giunti suo padre e sua madre, scappando dalla Polonia proprio prima della invasione nazista e dopo un periplo straordinario, coraggioso e rovinoso sul Pentcho: da Bratislava a Rodi.

Zew ci dice che ascoltava con attenzione, incredulità mista a meraviglia ed orgoglio per il coraggio dei profughi, quello che sua madre Ruth e il padre Chaim gli raccontavano:
- che gli imbarcati erano più di 500, ammassati su tre piani, schiacciati tra stive, gomene, in un esiguo spazio, capiente soltanto per 80 persone;
-che il viaggio era durato oltre 9 mesi, tra sofferenze inenarrabili, tra soste lunghissime e pericolosi controlli ai passaggi di frontiera, tra rifiuti di aiuto e mancanza di carburante e di cibo;
 - che infine i profughi “sbattuti dalla tempesta del mare e dal loro destino”, erano sbarcati sulle coste di Kamilonisi, un deserto isolotto, dove, però, per giorni avevano patito fame e sete
-che il 20 ottobre avvistati dal Camogli, una nave della marina militare italiana capitanata da Carlo Orlandi, furono soccorsi dai marinai (tra cui si distinse il siciliano Nino Marchetti) e condotti a Rodi (23 ottobre1941) nel campo di internamento San Giovanni;
-che nel febbraio 1942 furono trasferiti in Italia, a Ferramonti di Tarsia.

Zew fa una pausa e si guarda intorno. Siamo tutti rapiti dal suo racconto”scenografico”, fatto di sequenze precise, senza rancore, davvero affabulatorio. (Capisco ora il senso dell’ espressione riferitami in una mail da Irene: ”mio padre continua a fare lo psichiatra e … toma clases de magia”).
Zew riprende il discorso: A Ferramonti i profughi del Pentcho furono accolti dignitosamente perché padre Lopinot e Israel Kalk avevano “allertato”, la Croce Rossa, la Delasem , il Vaticano. I primi aiuti furono quelli della Mensa dei bambini,, dell’ospedale di Cosenza, del Rabbino capo Pacifici e del Papa.
Grazie alle donazioni, fu possibile erogare un sussidio mensile di 50 lire per tutti i bambini. Nonostante gli aiuti l’integrazione dei rodiesi non fu un processo facile: all’inizio i naufraghi non sembravano particolarmente interessati a chiedere di lavorare, di trovare una occupazione a Ferramonti perché buona parte di essi pensava di poter riprendere presto il viaggio verso Eretz Israel: in essi, dopo essere scampati al naufragio, era rifiorita la speranza di raggiungere la Palestina.
Poi compresero che nell’attesa di una occasione propizia dovevano dare un senso alla loro vita: si impegnarono a tal punto da diventare la componente più volontariamente disciplinata della vasta comunità ebraica di Ferramonti: ebbero una propria sinagoga, frequentarono la scuola ebraica e, in puro spirito sionistico, riuscirono a testimoniare fratellanza, a proseguire nell’educazione nazionalista e a spiegare agli altri l’importanza del loro progetto di raggiungere la Palestina per una vita nuova.

Anche Ruth e Chaim, col piccolo Zew volevano raggiungere la Palestina, e quando il campo di Ferramonti fu liberato, cercarono di organizzare il viaggio della salvezza: percorsero alcune città, tra cui L’Aquila ( 24-8-1943) e Bari (16-8-1944), in cerca di parenti per trovare insieme un rifugio sicuro dove vivere, ma fu tutto pericolosamente difficile.
Zew fa una pausa come per riordinare cronologicamente le varie tappe del viaggio della salvezza che tante volte aveva ascoltato dai suoi genitori… E intanto sentiamo voci allegre di ragazzi che escono dalla sala A del Museo, accompagnati dai loro insegnanti e da Angelo -l’altro operatore volontario- che indica Zew come “il bambino” di Ferramonti.

I ragazzi, alunni della scuola media di San Demetrio e di Rogliano, attorniano festosi il nostro gruppo, chiedendo educatamente a Zew di poter fare qualche foto insieme e di porgli alcune domande. Zew accetta volentieri di dialogare con le scolaresche precisando e chiarendo adeguatamente, che alla fine di tante traversie, nel 1949 la sua famiglia riuscì sbarcare in Argentina e a “costruire” una vita normale; che lui ha potuto studiare, diventare psichiatra, sposarsi ,avere dei figli e …”aiutare gli altri” - aggiunge la figlia Irene-“ non solo in Ospedale, ma anche nello studio privato”.

Il racconto a due di Zew e di Irene è, purtroppo interrotto dall’autista del pullman che ricorda agli insegnanti e agli alunni che è tempo di ripartire e da una telefonata del Sindaco, che ci aspetta per i saluti ufficiali.
Un ultimo sguardo a Ferramonti, un saluto alle guide ed entriamo in macchina per raggiungere l’ameno borgo di Tarsia. In Comune il Sindaco ed alcuni assessori accolgono Zew e i suoi familiari con rispetto affettuoso, come degnamente si conviene ai “testimoni”. Si conversa amabilmente, scambiando notizie, auguri e piccoli doni: la riproduzione del gagliardetto sportivo del Campo, una nuova pubblicazione su Ferramonti, copie del progetto filmico di Irene, una gigantografia della foto di gruppo dei bambini di Ferramonti (quella in cui Zew si era riconosciuto).

Qualcuno scatta qualche foto-ricordo e dopo reciproche promesse di mantenere vivi i rapporti usciamo dal Comune. Accompagno la famiglia Kuten in albergo e lungo il tragitto chiedo a Zew di darmi ulteriori notizie circa la sua professione di psichiatra-psicanalista in Argentina.

Con semplicità Zew mi dice di essersi impegnato non solo nell’ospedale di Lanùs, dove ha lavorato tanto quando, in momenti socialmente difficili aveva avuto inizio processo di demanicomializzazione, ma anche nel suo studio dove ancora accoglie immigrati, esclusi e perseguitati. Irene interviene, chiarendo la portata dell’impegno sanitario del padre: “Zew ,formatosi alla Scuola del grande psichiatra-psicanalista Mauricio Goldenberg, è stato uno dei pionieri del rinnovamento ospedaliero in Argentina, partecipò, infatti, all’importante esperienza di “Movimento sociale” che ebbe inizio nell’Ospedale Evita nella città di Lanùs de Buenos Aires . Esperienza medica incentrata non solo su dinamiche creative di lavoro di squadra e in progressi concettuali relativi alle terapie di gruppo e di psico- drammi, ma soprattutto sull’inserimento dei pazienti psichiatrici nella comunità.

Mentre Irene con entusiasmo mi riferisce ciò , mi sento “avvolgere” da uno strano sentimento, un misto di ammirazione e di tenerezza: per il rapporto intenso tra padre e figlia, per un professionista dedito agli altri perché capace di capirne il portato di sofferenza del vissuto e, nel contempo , capace di fare ...l’apprendista –mago, di usare cioè la magia e la fantasia per “raccontare” con verità e tocco leggero, ai propri nipoti la Shoah, il buio del “secolo breve” e il dramma personale.

Ci salutiamo amichevolmente: li invito a tornare presto a Ferramonti per la presentazione del cortometraggio e auguro loro un buon viaggio di ritorno a casa. Anche io torno a casa. Felice per un incontro così significativo.

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