Dedicato a Tony Dallara il secondo appuntamento di Tutte le stelle del Parco, la rubrica del M° Lino Rufo sui grandi personaggi che hanno conferito gloria e risonanza al territorio molisano in cui gravita il Parco Letterario Francesco Jovine
Lei che stile ha?
"Astratto, amo dipingere lo spazio inteso come quel vuoto oscuro che divide stelle e pianeti dove ognuno di noi cerca una traccia del divino. In silenzio, senza urlare, che per un urlatore è un bel paradosso". (La Repubblica – Spettacoli , 31 gennaio 2020).
Un’artista vero lo si riconosce dalla semplicità e dalla poliedricità espressiva, dalla timidezza e dal non voler esternare a tutti i costi il proprio talento con atteggiamenti altezzosi ed autoreferenziali.
Cantare, dipingere, danzare, raccontare, sono i vari aspetti della cultura che l’artista, via via, sceglie come proprio linguaggio per esternare il suo mondo.
Sì, perché l’arte è un mondo dotato di personalità unica, e non ha bisogno di promozioni spropositate, di pubblicità e di lavaggi di cervello, ma, soltanto di essere accolto e condiviso spontaneamente, da quante più persone vi si riconoscano, vuoi che sia di nicchia o universale.
L’artista è semplicemente se stesso, e, da questo sé, trae il proprio pensiero, suggestione, messaggio o quant’altro scaturisca dalla sua mente fertile, ancor meglio se con la complicità del cuore.
La generosità, infatti, è un ulteriore aspetto che contraddistingue il creativo ispirato e talentuoso dal parvenu. Nel mondo dello spettacolo ce ne sono tanti di arrivisti aridi e spietati, mitomani, persone prive di talento, che venderebbero la propria “madre al monte dei pegni” pur di essere classificati e riconosciuti con l’appellativo di “Artista”.
L’artista di cui vi voglio parlare oggi, ha condensato la sua storia, veramente importante, in un solo decennio di attività musicale, poi, a causa del cambiamento dei gusti popolari, si è dedicato alla pittura, facendo fluire in questa la sua arte e trasformandola nel suo “principale” lavoro.
Tony Dallara, pseudonimo di Antonio Lardera, nasce a Campobasso il 30 giugno 1936 da Battista Lardera, ex corista della Scala di Milano, e da Lucia, cameriera presso una potente famiglia di Milano.
Tony stesso, in un’intervista per La Repubblica – Spettacoli del 31 gennaio 2020, ci racconta i suoi inizi: "Sono nato a Campobasso, ma arrivai a Milano da bambino, zona popolare, in tempo per beccarmi un pezzetto di guerra, i bombardamenti e la fame. Per cui dopo le elementari finii subito a lavorare, facendo il fabbro, il lavamacchine, il benzinaio. Ma presto anche cantando, mio padre era operaio e corista alla Scala. Mi obbligò, da bambino, Don Cesare, il parroco di Santa Maria di Caravaggio, nel coro, poi passai ai palchi delle sale da ballo, mi ricordo “el Vott” di viale Tibaldi 8. Finché non sono arrivato al “Santa Tecla”, il club più in voga della Milano degli anni Cinquanta, ero specializzato nel cantare i Platters. Ma facevo anche il fattorino in una casa musicale, la Music".
Al Santa Tecla, frequentato anche da Celentano, Dallara canta dal ’57 al ’58 con I Campioni, “complesso” in cui, a metà anni sessanta, milita come chitarrista e corista un giovane Lucio Battisti. Il giovane Tony è attratto da Frankie Laine, ma soprattutto da Tony Williams, cantante dei Platters, band afro-americana che si caratterizza per quella particolare tecnica vocale conosciuta come doo-wop, che consiste nel rinforzare il canto solista con armonie vocali sincopate e cori utilizzati più come strumenti d'accompagnamento che come voci vere e proprie. I Platters raggiungono il grande successo nel 1955 con il brano Only You, che negli anni successivi influenzerà diversi artisti e gruppi dell’intero pianeta, fra i quali Tony Dallara e I Campioni.
Tony nel 1957 lavora come fattorino alla Music, quando il direttore Walter Guertler scopre la sua attività di cantante, lo ascolta al Santa Tecla e lo mette sotto contratto insieme al suo gruppo. Gli fa cambiare il nome in "Dallara" e produce il suo primo 45 giri, Come prima, una canzone scartata dal festival di Sanremo del 1955, che neanche al discografico piace, ma Tony la sceglie e decide di cantarla. Il disco viene pubblicato nel dicembre del 1957 e, nel giro di poche settimane, raggiunge la vetta delle classifiche di mezza Europa per più settimane, vendendo, solo in Italia, 300.000 copie, un record per l’epoca. La canzone diventa, così, un evergreen, un classico di tutti i tempi, cantato e ascoltato in tutto il mondo (anche Tony Williams riprenderà il brano in versione inglese) ancor prima di Volare di Modugno. Il grande successo è dovuto non solo alla bellezza del brano e degli arrangiamenti, in stile terzinato alla Platters, ma soprattutto alla tecnica vocale di Dallara, dovuta alla sua indole generosa e irruente, per la quale viene coniato il nuovo termine urlatore, rompendo la tradizione del canto melodico, impostato, all’italiana, di artisti come Achille Togliani e Luciano Tajoli.
Il suo modo di cantare è immediatamente riconoscibile, con la voce che aggredisce il brano nella parte iniziale, spezzando le vocali in modo ritmico (es. Ti-i-diròòòò, Ri-i-cordami, ecc.) con saliscendi che scoppiano dal basso, vanno in alto e poi ancora in basso, come un’intro di batteria, un fill che si stabilizza alla fine della progressione, dando un senso di equilibrio che, prima ti tranquillizza, poi ti fa sussultare di nuovo all’esplodere dell’urlo successivo.
Non è forse il senso della vita questa instabilità che alterna momenti di pace a insicurezze emotive? Forse è proprio quest’aspetto, nello stile di Dallara, lo specchio in cui ciascuno di noi si può riconoscere. Questo modo di cantare influenzerà tutta la successiva musica leggera italiana e verrà adottato (fra gli altri) da Celentano e Mina in Italia (cfr… “tutti urlatori, simbolo della gioventù dell’epoca che si ribellava al perbenismo dei genitori"), ma anche da grandi cantanti internazionali quali Van Morrison ed Eric Burdon.
Nel costume dell’Italia della “ricostruzione” è una vera e propria rivoluzione, consolidata nel 1960, quando Dallara vince il Festival di Sanremo con la canzone Romantica in coppia con Renato Rascel, e sono proprio le sue urla ritmiche che fanno breccia nel consenso popolare.
Rappresenta un fenomeno di rottura, di protesta sociale, un po’ come la roteazione del bacino di Elvis “the pelvis” Presley tempo prima e i capelli lunghi dei Beatles e dei Rolling Stones poco dopo, in seguito enfatizzati dai movimenti Beat e Hippie. Da questo momento, secondo la consuetudine dell’epoca, incide un 45 giri ogni due mesi, sfornando un successo dopo l’altro, Come prima, Ghiaccio bollente, La novia, Bambina bambina, Ti dirò, riuscendo ad avere ben sette canzoni, contemporaneamente, in classifica.
Non realizza grandi guadagni, nonostante il successo, in quanto interprete, anche se in qualche canzone è anche autore delle parole, ad esempio La novia, di cui firma il testo insieme a Mogol.
Sempre nell’intervista su La Repubblica – Spettacoli del 31 gennaio 2020, racconta alcuni episodi circa l’enorme credibilità acquisita nel mondo dello spettacolo: “Ma lei di incontri ne ha fatti tanti, uno per tutti la donna per eccellenza, Marilyn Monroe” "Conosciuta solo, purtroppo, ma stavo per farci un tour assieme. Ricordo ancora la scena. Ero a New York nel 1962, in una sala zeppa di addetti ai lavori, mi presentano questa donna piccola, minuta, non l’avevo neanche riconosciuta, avvolta in un foulard. Ma bastava guardarla pochi secondi per dare i numeri. Profumava di donna, uno sguardo sexy come non ne ho mai visti, le ho dato la mano e non me la sono lavata per una settimana. Qualche mese dopo, la trovarono morta. Però con Jane Russell, altra icona sexy, il tour l’ho fatto, nel 1961. Girammo assieme l’Italia, facemmo anche il veglione di Capodanno alla Bussola di Pietrasanta, tutto il pubblico le gridava 'Nuda! Nuda!'. Ma ne ho conosciuti all’epoca. Perry Como, crooner italoamericano popolarissimo da noi perché il suo show veniva trasmesso dalla Rai a canale unico. Mi guardò e mi disse: 'Ma tu sì famoso', lui, a me. I Platters, proprio i miei idoli, con cui ci scambiammo Come prima e Only you. E Dean Martin, che mi abbracciò e mi disse 'paisà!'. Ero un divo vero all’epoca".
Dopo un decennio costellato di successi, altre partecipazioni a Sanremo e tour in ogni parte del mondo, forse a causa dello spostamento dei gusti del pubblico verso il beat, forse per il fatto che non riesce più a entrare in classifica perché radio e televisione si stanno dimenticando di lui, nel 1972, dopo un’ultima partecipazione a “Un disco per l’estate” con la canzone Mister amore, si ritira dal mondo della musica. È così che si dà alla pittura, sua vecchia passione, che non aveva potuto coltivare da bambino perché frequentare l’Accademia di Brera, all’epoca, costava 10.000 lire all’anno, una cifra troppo esosa per la sua famiglia, che doveva provvedere a cinque figli. Espone i suoi quadri in molte gallerie, guadagnandosi l’apprezzamento e l’amicizia di celebri pittori e personaggi della cultura quali Renato Guttuso, Andy Warhol, Lucio Fontana, Dino Buzzati, Crippa, Baj. Oggi ha un suo atelier a Milano dove espone i suoi dipinti astratti.
Quand’ero bambino, mettevo i 78 giri di Tony Dallara sul giradischi di famiglia e, mentre ascoltavo Brivido Blu, Come prima, Ti dirò, sognavo ad occhi aperti di poter, un giorno, urlare anch’io da un microfono il mio disagio giovanile e, perché no, affrancare la mia condizione di soggetto “paffutello”, ottenendo una figurina con la mia faccia su un album Panini.
Alla fine degli anni ’70, mi sono recato diverse volte in Inghilterra. Qualcuno mi aveva detto che Tony Dallara, che io citavo spesso orgoglioso del fatto che fosse di Campobasso, aveva aperto un ristorante a Londra. L’ho cercato, ma, con mio sommo rammarico, non sono riuscito a trovarlo. Così, la cosa mi è passata di mente fino a quando un amico comune mi ha informato di avere un contatto con l’artista, il quale chiede da diverso tempo di suonare gratis nel suo Molise, ma viene puntualmente ignorato dalle istituzioni.
Si consideri che Tony Dallara ha 84 anni, è il più anziano vincitore di Sanremo in vita, ha fatto conoscere il Molise in tutto il mondo ed è sicuramente uno dei personaggi più importanti nella storia di questa piccola ma bellissima terra.
Faccio appello alle autorità regionali affinché Tony non diventi un secondo Fred Bongusto, ignorato negli ultimi anni di vita fino alla fine e poi ricordato con una statua, tante elucubrazioni e belle frasi, per salvare la faccia davanti alla comunità. Facciamo il possibile, e facciamolo in fretta, affinché Tony Dallara venga a cantare a Campobasso, magari organizzando anche una mostra dei suoi quadri, in una location che renda merito al talento di questo artista, prima che sia troppo tardi per i fatti e restino soltanto parole vuote dette per circostanza…
Lino Rufo