Pubblichiamo la terza parte de : "Ernst Bernhard. Conversazioni sull'ebraismo. Le ultime parole di un saggio. Un messaggio di intelligenza e di speranza di respiro europeo" (leggi la prima e la seconda parte: "Introduzione" e "Biografia" )
"Il professore Alessandro Orlandi,
La Lepre Edizioni
Caro Alessandro ,
Ti mando il contributo che Stanislao de Marsanich mi ha chiesto per i Parchi Letterari. Io sono molto lieta di contribuire a questa impresa che penso utilissima e appropriata per il nostro tempo. Si tratta di un passaggio delle conversazioni con Ernst Bernhard, il grande psicoanalista collega e continuatore di Jung del quale, portò il pensiero nel nostro paese tra gli anni 40 e gli anni 60 aprendo alla limitata cultura italiana di allora i grandi orizzonti della cultura europea. Queste pagine sono la registrazione delle ultime parole di quest'uomo illuminato e sereno, e indicano una strada diversa dalla continua contrapposizione tra fratelli nemici nella quale abbiamo continuiamo a cadere fino adesso,
Luciana Marinangeli
Roma lì 20 gennaio 2021"
Ernst Bernhard. Conversazioni sull'ebraismo. Sogni. Jung. Ferramonti*
Sogni
Alcuni
sogni importanti
Il mio
primo sogno è del 30-31 dicembre del 1932. Mi viene detto in sogno che la mia
vita è benedetta come quella di Tobia e che io sentirò la mia vita come lui
l’ha sentita. Allora io di Tobia non sapevo niente. Posso dire che in questo
sogno è contenuta tutta la mia vita fino ad oggi; io non ho mai fatto altro che
tentare di realizzare ciò.
Un altro sogno, del novembre 1935: Abramo scaccia Ismaele dalla sua casa nel deserto. Ismaele è un magnifico leone, con il quale io mi sento identificato che, dopo aver camminato circa 12 metri, defeca descrivendo un grande arco contro la porta di casa dove sta ancora Abramo, e se ne va fieramente nel deserto. Questa era la mia reazione all’espulsione hitleriana. Io sono stato mitologicamente identificato con Ismaele. Ismaele, non Isacco, il fratello, è presente nei nomadi arabi, gli Ismaeliti. Da questo sogno risulta che la mia posizione mitologica è identificata con Ismaele ed io sono, come si vede, un ribelle, non sono Isacco, non sono buono come lui; sono piuttosto Esaù, non Giacobbe. Questo è il mio rapporto con il mondo arabo, con il deserto e per me Gesù di Nazareth era un beduino.
Quel sogno di Tobia ha una certa importanza. Allora non sapevo cosa rappresentasse Tobia. Conoscevo solamente due o tre quadri di Rembrandt non particolarmente significativi. Mi sono solo successivamente occupato di Tobia. Adesso non voglio entrare nell’analisi del sogno, ma voglio solo dire che proprio l’altro ieri, leggendo il Bultmann, ho trovato dove lui parla della presenza di Dio come una caratteristica diciamo ebraica, anche di Gesù, che cita proprio Tobia come un esempio per la presenza e per la personale cura di Dio dell’uomo. Cita proprio Tobia, e dice che la storia edificante di Tobia e del suo figlio Tobias, fa vedere come la provvidenza divina guida la vita miracolosamente.
Il crollo degli ebrei dell’Est è dovuto al fatto che si sono identificati con una fase che si chiudeva e non hanno saputo realizzare una nuova fase. Non si può dire che Hitler ha colpa; queste sono delle concezioni più o meno superficiali, sono terribili. Gli ebrei devono capire perchè questo è capitato loro, perchè Dio ha chiamato Hitler per distruggerli; si deve dire così, e non che questo lo hanno fatto i tedeschi.
Sogno del Philodendron:
21-22/VI/1934
Vengo esaminato da un
professore che mi interroga sul Philodendron. Coltivo da anni un Philodendron
nella mia stanza e dico che il Philodendron ha il difetto che deve radicare su
altri tronchi, segno di mancanza di indipendenza; invece ha la qualità di
produrre foglie così diverse, e questo è segno della sua facoltà di
adattamento.
Il sogno del filodendro è la vera essenza ebraica, di cui fino ad oggi il rappresentante più caratteristico e riuscito sino all’ultimo è Gesù di Nazareth.
Jung
Ho
fatto, all’inizio dell’analisi junghiana [1],
un sogno molto strano anche nella formulazione, non solo sul rapporto con la
donna, ma sul mio processo di individuazione. Questo sogno ha a che fare centralmente
anche con il rapporto con la donna – lo porterò anche nella Mitobiografia.
Questo sogno dice: “ Mi viene detto in sogno che la mia vita è benedetta come quella di Tobia e che ora sentirò la
guida di Dio come lui l’ha sentita”. Dire che la mia vita è benedetta come
quella di Tobia significa – Tobia alla fine guarisce il padre dalla cecità –
arrivare all’individuazione, superare le difficoltà che nella leggenda di Tobia
sono un po’ addolcite. Qui infatti non vi è tanto un elemento drammatico come
in altri miti; di fatto la storia di Tobia è piuttosto una leggenda, una fiaba e non un vero mito,
ma io su questo non sono d’accordo perché il problema è il motivo basale e
questo è sincero, chiaro, essenziale.
Questo
mio problema personale era già detto nel sogno di un italiano con una faccia
indiana, poi era nei sogni della Santa Sindone [2],
nei sogni di Jung [3],
poi il beduino vivo [4],
poi il quadro che ho fatto della pesca dove Gesù come viene tirato fuori con la
rete [5];
nel grande sogno dove io abbandono i miei genitori [6],
che ha a che fare con la fase di distruzione della vecchia posizione ebraica.
I sogni iniziali della mia analisi junghiana: uno l’ho trascurato completamente e l’altro l’ho, diciamo, sospeso. Questi sogni ora prendono un nuovo colore; adesso non voglio dare un’interpretazione definitiva perché è difficile, non so neanche se è il caso di includerli per la difficoltà di dare un’interpretazione convincente per altri. Voglio dire questo: il primo giorno che sono andato da Jung ho sognato che andava al mio posto la mia ospite, dove io stavo, la moglie. Lei andava da lui con il mio mandala, e quando lei arrivava il mio mandala era sparito in una cartella blu scuro. Questo mandala per me era il risultato molto importante della mia spiegazione del problema ebraico-cristiano perché era capitato dopo il sogno del phiilodendron [7] e aveva come parte più esterna del temenos proprio i fili del filodendro, e poi nel mezzo, questa è una mia soluzione, ho visto la stella di David, sospesa per aria, che ho sempre interpretato come segno di giustizia, sintesi fra gli opposti, però piuttosto con un certo dinamismo razionale di equivalenza. Mentre io quando ho tentato di capire i simboli, ho dovuto in un certo momento - a Berlino era questo - mettere al centro di questa stella di David un centro rosso e fare intorno un cerchio, e questo per me significava l’amore divino che si unisce alla giustizia e alla sintesi dei contrari. Questa esperienza era per me molto importante, l’ ho vissuta molto profondamente, era veramente un momento molto importante del mio cambiamento psicologico quando ho capito questo. Poi ho circondato questo con quattro fili di piante, fiori … i primi erano campanelli con margherite che si riferiscono al mio rapporto con una mia amica a Berlino; i secondi erano crescioni di cappuccini che erano legate a Dora; il terzo era l’Anima che avevo proiettato sulla (nome inintelligibile) e che un’altra volta ho proiettato su un’altra amica collega junghiana ebrea, però non ho mai potuto realizzare questo; e questo intorno è la Grande Madre di amore, cioè la Natura, il filodendro, che è caratteristico per il mio destino ebraico. Ho portato questo mandala a Jung, gliel’ho fatto vedere, e lui ha osservato che il campanello sotto era molto più grande di quello sopra, cioè c’era un forte squilibrio verso l’inconscio. Ha detto che sarebbe la Shakti, cioè l’anima, il principio femminile, come Shiva-Shakti indiani, che hanno protetto questo centro e hanno formato la periferia. E questo è vero, è molto interessante, questi rapporti con queste uno, due, tre e questa sophia.
Queste
sarebbero le foglie, la shechinà
ebraica, la Madre Natura che manca nell’ebraismo, che ha proprio la forma del
filodendro, che deve crescere su tronchi d’albero estranei. E questo
caratterizza il mio rapporto con la donna, i miei rapporti con la donna erano
protezione per lo sviluppo per la individualità; nell’atmosfera di queste donne
io ho potuto sviluppare la mia individualità, e la donna alla fine diventa
l’Anima, la funzione trascendente, la Grande Madre, comunque si vuol
chiamarla. E’ specificamente tutto
ancora ebraico. E’ interessante che la mia prima moglie era una donna tedesca,
non ebrea, Dora era mista, e questa era una donna ebrea, e poi intorno il
filodendro.
Adesso
il problema è: perchè questa donna mia ospite porta il mandala in vece mia; questa donna era una donna cattolica che
voleva avere un flirt con me, che non
mi è interessato per tanti motivi. In questo sogno risulta già che il mio problema in fondo è un problema
cristiano, del cristianesimo, va
identificato con questo; il mio problema era arrivare con questo mandala che sentivo estremamente
ebraico, già sintetico, da Jung con questa mia anima cattolica, anche ipocrita.
Potrei anche dire che il fatto che io sia andato con questo mandala da Jung, ha fatto di me, della
mia Anima, sulla base dell’influenza di Jung, questa donna. Si può anche dire
che questa donna è un’Anima di Jung, un problema di Jung, che io gli ho
portato; io ho portato in realtà il mandala della conciliazione ebraica e
cristiana, mentre Jung era molto lontano, non ha mai capito il senso
dell’ebraismo e tutti i guai che mi sono venuti da lui dipendono dal fatto che
lui di questo mio processo non solo non
ho mai capito niente, ma anzi non voleva
capire niente, perché lui in questo periodo – questo risulta poi dai
prossimi sogni- mi era assolutamente ostile, e anche ostile per la situazione
ebraica: è veramente in questo momento imbevuto dall’atmosfera antisemita
nazista.
La seconda parte era il sogno del mio incontro con Jung davanti alla mia tenda, dove lui era mio ospite. Questo sogno finiva con una scena dove mio cugino Max Zeller, che era il figlio di una sorella di mio padre, che era un’anima di mio padre, che lo ha educato idiotamente così come mio padre ha fatto con me, e mio padre stesso ha fatto anche la sua parte per sopprimerlo questo ragazzo che aveva una situazione molto imbarazzante perché gli avevano dato una salsa troppo forte per fargli i dispetti. Jung ha preso questa cosa molto su di sé, nel senso positivo, gli ha detto: “Ovviamente Lei ha bisogno di una salsa un pochino forte”. Di fatto è andata così: il mio lavoro con Jung è stato caratterizzato dal fatto che Jung mi ha veramente maltrattato, maltrattato come Super-Io, maltrattato in quanto antisemita, maltrattato in ogni senso. Questo maltrattamento è capitato in una maniera che vorrei qui dire, ma non ho intenzione di dare al pubblico in ogni modo. Un giorno entra Jung nel suo studio e mi dice “Senta collega, è vero che Lei a Berlino non ha pagato a Kranefeldt le sue sedute con lui?” Io gli chiedo: “Ma cosa c’entra questo, come Le risulta?” e lui mi dice che Kranefeldt gli ha scritto una lettera parlando di me in senso negativo. Il fatto era che io sono stato da lui una o due o tre volte, non abbiamo mai parlato di pagamento, non ho mai ricevuto un conto né un monito da parte sua. Io ero in piena persecuzione e non avevo denaro. Allora ho detto: “Badi, io non ho pagato perché non avevo denaro”, e Jung: “Allora come è venuto a Zurigo?”, gli ho detto: “Il denaro per Zurigo me lo ha prestato mio padre” e lui:”Allora Lei non è a Zurigo, è suo padre in analisi da me, se Lei non paga da sé non serve a niente”. E voleva direttamente licenziarmi! Io mi sono molto difeso contro questo e ho detto: “Badi professore, credo che Lei sia caduto in una calunnia contro di me, questo mi spiace molto. E non posso neanche capire con che diritto Kranefeldt osa scriverle queste cose, cosa c’entrano queste cose con il mio lavoro con Lei. Se lui vuole denigrarmi posso dire solo una cosa, che ho mandato mia moglie in analisi da Kranefeldt perché volevo fare una cosa buona, e ho saputo che lui si è pronunciato molto negativamente perché mia moglie non avrebbe dovuto sposare un ebreo. Che la posizione di Kranefeldt sia sicuramente una posizione molto soggettiva … io spero che Lei non aderisca a una tale impostazione. E questa è stata la mia prima grande delusione da Jung, la prima lotta; lui poi si è ritirato un pochino, non ha più detto niente. Questo è capitato dopo che lui mi aveva già offerto di rimanere come suo assistente a Zurigo. In realtà tutta questa storia che è andata male –grazie a Dio è andata male, questo è un altro problema- è da mettere sul conto del sig. Kranefeldt, per antisemitismo nazista a Berlino; lui poi ha fatto la stessa cosa con mia figlia Silke, che aveva otto o nove anni: è andato a casa di mia moglie come conoscente e ha detto che lei dovrebbe vergognarsi di avere un padre ebreo.
Comunque
voglio solo dire che si deve capire bene questa strana cosa: io malgrado questo
sono ancora rimasto. E in tutto questo lui era tanto offeso, quando io gli ho
detto che se è vero che io ero tanto indifeso vuol dire farmi incontrare buona
gente e lui era così fuori di sé da volermi dare una lezione. E davvero me l’ha
data, con un sadismo incredibile, con una mancanza di responsabilità in un
certo senso veramente grave. Io ho subito queste cose, non ho potuto fare a
meno di subirle, tenuto duro finchè la cosa è finita. Però ora non voglio raccontare,
ti ho già detto di quando mi sono licenziato e gli ho chiesto se lui mi
consigliava di trattare i miei pazienti così come lui mi aveva trattato, e
tutta questa discussione.
In ogni modo, questa sua posizione antisemita – antisemita tra virgolette, naturalmente-, la sua completa ignoranza, il non poter capire una posizione ebraica, se non come una cosa superata dal cristianesimo, è davvero un’assurdità. Un ebreo come Neumann mi ha detto che non ha mai parlato una sola volta sul problema ebraico con Jung, è sempre stato senza ogni speranza. Devo dire però che anche Neumann non ha risolto questo problema, non l’ha affrontato a fondo. Una volta io gli ho raccontato la mia visione di Ismaele.
Comunque, il sogno tanto importante di diventare un’onda d’acqua, per me era davvero importante perché era la fine della mia speranza di tornare in Israele, cioè la fine del sionismo, ma molto più il grande volgimento verso un’altra soluzione, verso l’accettazione del sogno del filodendro che infine è sfociato nella mia teoria ebraico-cristiana.
Ho mandato a Jung il materiale per me più importante, cioè la teoria di Lawrence nei “Sette Pilastri della Saggezza”, sul problema della migrazione nel deserto. Si sa che gli ebrei, come stirpe, si è trovato il loro nome –ora l’ho dimenticato -, lo si è trovato nel sud del deserto arabo, mentre loro erano usciti dal deserto verso nord e hanno occupato Canaan. Lawrence dice che il deserto ha questo strano circuito, che i beduini del deserto sovrappopolano il deserto, cioè anche il deserto può nutrire un determinato numero di persone; riferisco le sue parole, possono anche esserci motivi psicologici: i beduini del deserto premono verso la città, al margine del deserto, verso la costa, vogliono anche loro diventare sedentari, come hanno fatto gli Israeliti quando hanno occupato Canaan. Poi questi stati-città ai margini del deserto, nuovamente sovrappopolati, espellono una parte dei contadini di nuovo nomadi nel deserto. Quando ho letto questo sono rimasto enormemente impressionato, perché questo è proprio il mito ebraico: paradiso, espulsione dal paradiso, ricerca del paradiso, questa continua ricerca da un paese all’altro di una nuova patria. Questo l’ho collegato come mito basale dell’ebraismo; potevo dare a ciò, attraverso la teoria di Lawrence, una prova concreta nella storia dei beduini, del deserto e delle città vicine. Ho scritto una lettera a Jung, mandando una copia di questa citazione di Lawrence, dicendo che questa è la base della mia concezione del problema ebraico. Lui non mi ha mai risposto e non si è mai interessato di questa cosa, sicuramente non ha capito, e ad ogni modo l’ha perfettamente trascurato; questo atto mio era ancora tanto stupido che ancora pensavo si doveva fare qualcosa. Ad ogni modo devo sviluppare questa idea con le mie e basta; non ho mai avuto bisogno della sua approvazione.
Jung
ha rappresentato per me, come cristiano, un Super-io ebraico, in quanto nella
chiesa cattolica e protestante è tutto un Super-Io di Dio contro i peccatori; e
oltre questo ha rappresentato un Super-io antisemita contro la mia essenza
ebraica.
E’
interessante anche che Jung abbia detto: “Ma cosa vuol fare con gli italiani?
Con gli italiani non si può fare niente perché sono disordinati, non fidati,
donnaioli”, mentre a me ha fatto grande impressione che i napoletani e gli
italiani mangiano cipolle, sono disordinati, parlano con le mani come gli
ebrei. Vale a dire io ho ritrovato la radice mediterranea degli ebrei qui in
Italia: è una cosa incredibile. Io sono stato educato da tedesco: non si parla
con le mani, non si mangiano cipolle, si è ordinati, controllati. Qui invece è
la Grande Madre Mediterranea che nell’inconscio anche gli ebrei hanno
conservato, nonostante abbiano avuto una civiltà patriarcale. In Italia io ho
potuto sviluppare la mia anima mediterranea soppressa, che ha cominciato a
vivere qui.
Qui
c’è in primo luogo il mio sogno iniziale con gli italiani, dove io faccio
un’iniziazione comune con un italiano – è il primo sogno che ho fatto appena
entrato in Italia[8]:
io incontravo un italiano malandato, in stracci, l’abbracciavo come un
fratello, andavamo in osteria, e bevevamo ognuno un bicchiere di vino rosso
come iniziazione a una fratellanza.
Poi c’è il sogno della notte d’amore con quella contessina; questo è molto interessante perché io non volevo fare l’amore con questa donna immediatamente, volevo prima leggere un libro con lei. E c’era tra noi un piccolo cane nero, come ancora parte nera, ombra, dell’istintività. Io posso dire: agli italiani farebbe bene leggere prima un libro, agli ebrei farebbe bene un cane nero. Questa sintesi l’ho trovata, come ti ho già raccontato, in quella bella storia di Thomas Mann su Rachele, dove Giacobbe si lamenta che ha perso questa donna con cui poteva far l’amore e nello stesso tempo discutere, parlare. Allora questa sintesi, con questo cane nero e con questo libro, rappresenta i miei rapporti con la donna italiana, in un certo senso.
C’è
un sogno, durante il mio lavoro con Jung, che era un incontro imbarazzante con
lui, perché sognai che il mio ospite, il marito di questa donna, giocando a
carte con me, mi aveva imbrogliato. Era davvero un problema complicato, perché
io tendevo a credere che uno strato primitivo, stupido, burocratico, materiale,
svizzero, nel rapporto di Jung con me, mi aveva imbrogliato; mentre Jung
interpretava lo svizzero imbroglione come una figura endopsichica mia, nel
senso che lui si sentiva imbrogliato da me. Oggi posso dire che sia quest’uomo
sia questa donna, hanno, come figure, molto più a che fare con Jung che con me,
hanno a che fare con l’Ombra [9]
degli svizzeri e con la mia spiegazione di questa problematica con la quale
sono entrato in contatto in una strana maniera.
Voglio
ancora dire su Jung che lui prima mi voleva come assistente, poi voleva
addirittura interrompere il lavoro psicologico quando ha saputo da Kranefeldt
che io non avevo pagato il conto e sicuramente gli ha detto brutte cose di
me; anche mia moglie era andata in
analisi da lui. Comunque io mi sono ripreso nel rapporto con Jung, tant’è che
lui poi mi ha fatto fare tre conferenze [10]
dopo questo. Poi lui mi ha offerto di avere un permesso per guadagnare
lavorando in Svizzera come psicoterapeuta; abbiamo deciso che avrei preso la
residenza vicino a Zurigo e tentato di avere un permesso per lavorare come
chirologo; sono stato da un avvocato raccomandato da Jung. Sono tutte cose
reali, non inventate da me.
Quando poi io gli ho domandato una cosa lui era molto reticente, allora io gli ho detto che aveva il diritto di cambiare opinione su di me, ma non aveva il diritto di non dirmelo, perché io in Germania ero perseguitato, rischiavo la morte tornando, e dovevo almeno sapere se potevo restare o dovevo tornare, e dovevo fare i conti con questo. Accettavo che lui avesse cambiato opinione, ma doveva dirmelo. Allora lui mi ha detto che se volevo lavorare a Zurigo avrei dovuto avere come pazienti solo emiigrati ebrei: questa è una cosa incredibile! Dopo questo ho lasciato perdere perché ho capito che non c’era speranza e che era al di sotto della mia dignità.
La
fine del rapporto con Jung è stata così: io gli ho chiesto la prognosi di
questa donna che lui mi aveva “messo sulle spalle” e lui mi ha detto che se io
riuscivo a spiegarmi con questa donna, allora avrei potuto compiere la mia opera
di maestro; un invito piuttosto seducente. Io sono andato persino a Monaco dai
suoi genitori per sposarla, l’ho portata a Berlino, un disastro … Allora alla
fine gli ho domandato la prognosi, gli avevo detto che secondo me era una
psicosi, non una nevrosi: era sua paziente da cinque anni! Infine lui mi ha
detto che il lavoro con lei sarebbe durato minimo cinque anni, e non era certo
che lei avrebbe scampato questo destino psicotico. Gli ho chiesto se lui mi
suggeriva di trattare i miei pazienti così come mi aveva trattato lui:
incredibile, davvero! Non si poteva parlare di analisi, non era nulla di serio,
era come in quel sogno di Max Zeller, di darmi una salsa piccante per morire.
Infine
lui mi ha detto: “Ma quando è arrivato Lei era tanto ottimista!”. Io non gli ho
risposto, non era il caso, sai cosa avrei dovuto fare, no?
Ad ogni modo lui alla fine mi ha detto : “A volte bisogna buttare una persona in una situazione di pericolo; se si salva bene, altrimenti non meritava di essere salvata”. Dunque lui mi aveva buttato dentro con tutte le sue possibilità in un pasticcio e se fossi perito voleva dire che non meritavo di essere salvato: mi sono salvato da me, in effetti.
Ho
resistito a tutti i miei conoscenti che hanno osservato la situazione da
vicino, ed erano fuori di loro per il fatto che io continuassi. Ma io mi sono
difeso, ho detto che non meritavo di
abbandonare tutte le sue cose; era un
mio problema; ho chiesto loro di non darmi un conforto superficiale perché
dovevo vedere cosa questo avesse a che fare con me, elaborare; non mi era utile
accusare Jung. Sono riuscito, ma mi è costata una brutta depressione. Poi c’è
stata Berlino, il caos, la persecuzione. Prima pazienti, denaro, poi pericolo
di vita, l’emigrazione. Alla fine in queste condizioni sono sbarcato in Italia.
Alla
fine Jung mi ha dato un motto per la mia
vita: Homo hominis lupus, l’uomo è il lupo dell’uomo, i grandi mangiano
i piccoli. Questo mi rimanda all’amore: tutto ciò con cui ero andato da lui,
lui ha voluto distruggerlo. Alla fine per dire una cosa gentile mi ha detto: “Questa volta abbiamo fatto
ombra, la prossima facciamo oro”. Non so da quale suo angolo è spuntata questa
cosa, però ciò che per me è importante è che quando io sono tornato da lui dopo
la guerra, prima di fare il viaggio ho fatto il sogno che tu conosci: tornavo
da lui, in una grande camera con il pavimento di linoleum, dovevo andare verso
di lui attraversando questa lunga camera, forse più grande della mia oggi;
vidi, con grande meraviglia, che c’erano le orme di polvere delle mie scarpe di
quando ero andato via e guardando più da vicino vidi che le orme erano d’oro.
Mi sono ben guardato dal raccontargli il sogno, perché me lo avrebbe subito
rovinato.
Poi
ho avuto il sogno [11]
del filosofo ebreo che diventa onda, e lui
come interpretazione mi ha detto solamente: “Collega, lei ha ancora
molto da chinarsi nella vita”. Una tale mancanza di comprensione, una tale
cattiveria …
Malgrado tutto io sono rimasto fedele alla sua impostazione, all’impostazione positiva; sono rimasto junghiano, ho tentato di rimanere in rapporto con lui, finché ho fatto quei fotoritratti di lui e quando sono tornato a Zurigo da lui, portando dieci allievi da Roma, lui si è conciliato con me, era da parte sua una conciliazione, un riconoscimento; ma di me non ha davvero capito niente. Questa è la mia storia con Jung, la mia storia con la chiesa, con l’ebraismo. Una bella, lunga storia.
Ed
oggi sono ricorso ai Salmi, perché sto rivedendo il mio lavoro con Jung.
Ti
ho raccontato del suo antisemitismo, ed è incredibile come non lo abbia fino ad
oggi visto con questa chiarezza. Io sono stato davvero un ingenuo, un ingenuo
come è scritto nei Salmi che l’uomo deve essere ingenuo: io sono stato nella
tana dei lupi, senza accorgermene, e il destino non mi ha fatto mangiare,
malgrado volessero mangiarmi, infatti mi hanno fatto davvero male.
Essenzialmente volevano distruggermi. Ma mi sono salvato e mi sono salvato con
questa ingenuità e con questa fede in Dio che è il grande scandalo che ho
provocato in Jung.
Quando
sono andato da lui la prima volta, nel ’34, non per il lavoro sistematico,
avevo solo un’ora con lui e ho portato
un mandala che avevo dipinto (dobbiamo tirarlo fuori, voglio anche fotografarlo
a colori come gli altri mandala). E’ un mandala al centro sta un Puer completamente nudo , emana raggi
d’oro dalle braccia e sta con i piedi su sette pianeti. Era un vero Puer di
diciotto, venti anni ; quando Jung lo vide disse che era un’immagine
tipicamente tedesca del momento, alludendo al positivo del nazismo. Io gli ho
risposto: “Senta professore, io sono ebreo, e anche un ebreo consapevole,
vero”. Lui disse: “Non fa niente!” e aggiunse che essendo io completamente
nudo, dipendevo dall’incontrare sempre gente buona ; io gli ho risposto che se
questo era vero, e io non potevo giudicarlo,
Dio avrebbe fatto in modo che io incontrassi sempre gente buona . Allora
lui si scandalizzò davvero e disse: “Senza speranza, senza speranza …”. Questo
è stato il mio primo incontro con lui; in quell’occasione gli ho raccontato
anche della chirologia, che avevo trovato le sue funzioni( nota: sensazione,
sentimento, razionalità e intuizione, v. Jung, “I Tipi Psicologici”) nella
chirologia. Comunque io sono stato probabilmente in una certa “inflazione” in
questo primo incontro, ma non fu così grave; lui è stato formalmente gentile
con me.
Quando sono tornato gli scrissi che volevo lavorare con lui e lui mi scrisse che non aveva tempo, sarei potuto andare a Zurigo e lavorare con uno dei suoi assistenti e incontrarlo qualche volta. Io risposi che non avevo bisogno di questo perché avevo bisogno di lavorare con lui, lo pregavo di prenotarmi e se ci voleva molto tempo avrei aspettato il necessario, ma avevo bisogno di lavorare con lui. Allora lui mi ha scritto immediatamente che potevo andare ad ottobre, subito: questo è tipico di Jung. Lui prende molto sul serio la reazione, il comportamento di un paziente , così come faccio io. Se una persona insiste, mi dice che sa che io posso aiutarlo, allora lo prendo: è l’impegno, è il simbolo, è l’espressione simbolica della vera realtà; se un paziente è dubbioso, mi fa complicazioni con il denaro, per pagare, allora qualcosa non va. Si deve vedere la realtà così com’è, e orientarsi verso la realtà; realtà tra virgolette, dal punto di vista del Tao, della Provvidenza, della vera realtà.
Ti
ho raccontato come Jung mi ha trattato. Quando sono andato via lui mi disse:
“Io Le dò per la sua vita questo motto: homo
hominis lupus”. E questa è una cosa così brutta, così incredibile, perché lui
avrebbe dovuto sapere che homini lupus vuol
dire essere mangiato dalla balena, è l’inizio del processo di individuazione,
del viaggio di Nettuno(nota: in realtà, del Sole) sotto il mare. Come si può
rimanere in una realtà concretistica! Allora finisce tutto! Voglio dire, ogni
morte, anche una morte “mangiati da un uomo lupo”, è sempre una possibilità di
rinascita; è incredibile … Mi è venuto adesso in mente, e due giorni fa ho
scritto sul mio diario: homo hominis
lupus e ho scritto deus autem – autem vuol dire però -, cioè Dio però è
la speranza, l’aiuto, la liberazione dell’uomo [12].
Questo sentimento è ebraico, e quello prima è svizzero.
Solo
adesso io ho aggiunto a homo hominis
lupus, deus autem, protettore, medicus, amor. Allora così si crea
l’equilibrio, questo è ebraico cristiano.
Volevo
trovare le parole latine, che conosco in tedesco e in ebraico, allora ho preso
il libro dei Salmi, dove questo è chiaramente descritto – dice: “Tu sei la mia
speranza, Tu sei il mio scudo …” .
In questa maniera oggi mi sono scritto sul mio diario una ventina di concetti così. Ho riletto i Salmi e sono stato profondamente colpito dalla loro verità intrinseca e dall’espressione religiosa ebraica che è esattamente la mia: tra virgolette i Salmi li avrei potuti scrivere io oggi.
Dora
ha fatto un sogno molto interessante: lei era con un gruppo junghiano sottola
mia guida, nella stanza di Jung. Le finestre erano di vetro dipinto e
rappresentavano la Passione di Gesù. Lei pensava che io soffrissi di essere
nella sua stanza in assenza di Jung - io certamente non soffrivo di questo
(risate) – La cosa interessante, era che questa casa di Jung era diventata una
stazione ferroviaria. Io ho visto in questo sogno di Dora una participation mystique con i miei
pensieri di questi giorni, dove ho
pensato che Jung è rimasto bloccato nel cristianesimo, in un atteggiamento cristiano, specialmente
nella Passione di Gesù, e la psicologia junghiana è solo una stazione
ferroviaria per arrivare ad un altro punto, e questo è davvero caratteristico
della mia impostazione attuale.
Ho anche pensato: perchè Jung aveva la Santa Sindone nella sua camera, come io ho sognato, e come ho trovato la prima volta? L’ho capito ora il perché. Lui l’ha avuta, ed ha rappresentato un conforto per lui ; lui ha realizzato la sua crocifissione nei momenti nei quali stava perdendo e cedendo contro il collettivo, nella realizzazione del contenuto della sua individualità in questa vita. Jung ha avuto terribili delusioni nella sua vita e ha avuto questo grave conflitto: era un ribelle , molto ribelle, ed è andato oltre le sue possibilità, come sempre. Si vede, anche dal suo oroscopo, che aveva tratti terribilmente conservatori: aveva la Luna nel Toro, Marte e Mercurio nel Cancro nella VI casa, che sono disperatamente tradizionali; alla fine lui ha fatto tante concessioni: è tornato in famiglia, dalla moglie, ha tradito la Wolff [13]; ha acconsentito che nella sua autobiografia con la Jaffé non si parlasse della Wolff – un piccolo accenno che lui avrebbe dovuto al suo rapporto con una donna. Ricordo vagamente che è finito in manicomio quando aveva questi allagamenti … [14]. Comunque, lui ha in qualche modo rinnegato la sua vita.
Questo
non lo sa nessuno, lo so solo io: quando è morto, Jung aveva fantasie,
immaginazioni – me lo ha raccontato la Jaffé che era presente – , aveva sempre
visioni di grandi paesaggi dove viaggiava; ma, immediatamente prima della morte
, ha avuto la visione del diavolo: lui lo aggrediva. Se a me capitasse questo
prima della mia morte sarebbe un disastro. Ora ho tentato di morire, o sono
stato invitato a morire…ma ci mancava che mi apparisse il diavolo alla mia
morte.
Per
me questo è un segno molto grave per Jung: lui non è mai uscito dal moralismo,
il bene e il male era sempre scisso, c’era sempre Dio e il diavolo. Questo è un
terribile errore, c’è solo l’amore divino. E’ infantile rimanere bloccati nel
bene, nel male, nel peccato. Malgrado lui abbia creato la psicologia
dell’essere completo, invece che
perfetto è rimasto dentro.
Praticamente
lui con il processo di individuazione, cui aderisco al cento per cento, ha
trovato tutto questo, ma non lo ha realizzato.
La differenza tra noi è proprio su questo punto: io come temperamento ebraico non posso scindere Dio in bene e male secondo il giudizio umano. Come posso io permettermi? Come è scritto nel Libro di Giobbe, Dio dice a Giobbe: “Come puoi tu permetterti un giudizio su di me? Tu non hai mica creato il cielo, la terra, il sole, la luna …” e allora Giobbe si mette un dito sulla bocca, e tace, perché si arrende alla realtà divina non afferrabile per l’uomo. E’ sempre relativo quello che noi possiamo capire di Dio; come posso farmi io giudice che Dio ha fatto bene o male, come in fondo fa Jung?
Secondo
me il concetto di bene/male è un
concetto umano, terrestre e deve essere superato in una maniera del
tutto diversa, al modo del Tao, della
individuazione, dove il negativo vale come il positivo, come nel Rabbi che
ringrazia Dio per tutto quello che gli ha dato, anche per le cose negative.
Per
il mio temperamento questi concetti del bene e del male sono inaccettabili e,
se volessimo dire come lui ha detto a me,
si dovrebbe dire che sono infantili. Nel caso di Jung non direi
infantili: direi inconsci.
Malgrado lui abbia capito il senso di molte cose, malgrado abbia introdotto il concetto dell’archetipo del senso, a un certo momento lui è stato vittima del cristianesimo non digerito e della borghesia svizzera non digerita; su questo non c’è dubbio.
Mi sono battuto con Jung per nient’altro che questo: lui, con la sua teoria del bene e del male, ha sempre detto che il concetto cristiano Deus summum bonum è un infantilismo e il negativo, l’istinto. Questo gli ebrei non l’hanno mai fatto.
Ferramonti
Quando sono andato nel campo di concentramento[15] volevo capire il significato individuale per non essere costretto a fare semplicemente un’identificazione con un destino collettivo ebraico: io ho visto immediatamente che avevo un’occasione molto comoda di spiegarmi di nuovo con il problema ebraico, questa è la prima cosa; e dato che il disgraziato capo napoletano del campo [16] mi ha fatto da subito, dal secondo giorno, capo del campo per la parte ebraica, ho avuto un’enorme possibilità di studiare la situazione, di vedere; inoltre ho avuto clandestinamente un libro di Jeremias [17] (nota: , sulla storia del vecchio Oriente. Ho osservato gli ebrei in tutte le sfumature e cercato di capire questo mio destino; questo mi ha liberato da questa identificazione, altrimenti sarei morto, sarei rimasto come tutti gli altri, mentre dopo un anno, per destino, sono potuto uscire dal campo, per questa intensità di voler assimilare e realizzare una situazione individuale. Così come ho fatto ora con il mio infarto: si potrebbe dire che l’ho sfruttato al massimo per la penetrazione individuale di questa situazione.
C’era
quel sogno [18]
in cui c’era un italiano che mi salvava dopo il mio suicidio volontario, che
aveva la faccia indiana. E qui di nuovo
India; India vuol dire Tucci, che non conoscevo allora; io l’ho anche
interpretato concretisticamente che io sono stato davvero salvato da un
italiano che si occupava dell’India. Fino a che punto questo è vero non si può
dire, non si possono portare le prove; il fatto è che ciò è davvero avvenuto.
Tucci mi ha fatto uscire dal campo di concentramento. Quando un suo amico, Senise, è diventato presidente della polizia a Roma, dopo quindici giorni ho avuto il telegramma che potevo tornare a Roma. Dora e un’altra mia paziente avevano parlato di me con lui, e lui senza conoscermi, come allievo di Jung, ha fatto questo. Poi ci siamo conosciuti. Poi io ho avuto anche una paziente che ho mandato da lui per imparare il cinese per tradurre l’I Ching [19], Veneziani; questa mia paziente era una nipote di Veneziani, anche lui collegato con questa azione di tirarmi fuori dal campo di concentramento con l’aiuto di Tucci.
[1]
Mitobiografia, pag.3, 30-31 dicembre 1932
[2]
ibidem, pag.193
[3]
ibidem, pag.9
[4]
ibidem, pag 12
[5]
ibidem, pag 153-154, 19-20 febbraio 1951
[6]
ibidem, pag 7
[7] ibidem, pag. 5-7, 21
giugno 1934
[8]
senza data, Mitobiografia, pag.148
[9] la parte rifiutata coscientemente dalla personalita’
[10] a Zurigo, sulla chirologia
[11]
15-16 ottobre 1948, Mitobiografia, pag. 144
[12] Anche il teologo inglese
John Owen, negli Epigrammata,
scriveva “Homo homini lupus, homo homini
deus”.
[13]
Toni Wolff, “anima” ed ispiratrice di Jung
[14] nota: illazione di Bernhard
non confermata altrove
[15]
Campo di internamento di Ferramonti, in provincia di Cosenza, in Calabria, nel
1940.
[16]
Paolo Salvatore. Cfr. E. Bernhard, Lettere a Dora dal campo di internamento di
Ferramonti, 1940-1941, a cura di L. Marinangeli, Nino Aragno editore, Torino
2011
[17]
J. Jeremias, teologo, orientalista ed esegeta biblico (1900-1970), sulla storia
del vecchio Oriente
[18] 11-12 ottobre 1935,Mitobiografia pag 7
[19] l’I Ching, il
libro divinatorio cinese fatto tradurre da Bernhard in italiano per l’editore
Astrolabio. Vedi il commento psicologico al testo cinese dettato da Bernhard
nel 1960 a Carka vasio e pubblicato inL. Marinangeli, I Ching di Ernst
Bernhard, “La Lepre editore”, Roma 2015.
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*Sul prossimo numero : "Una risposta alla psicosi collettiva: assimilare consapevolmente i miti". Di Ernst Bernhard . A cura di Luciana Marinangeli
Leggi il numero dedicato a Ferramonti di Tarsia
In foto. Via Gregoriana a Roma dove era lo studio di Bernhard
Ernst Bernhard nel Campo di Ferramonti
Ernst Bernhard nel suo studio a Roma