Per andare alla Scala dei Turchi, che si specchia di bianco nel mare d’Africa fra Porto Empedocle e Realmonte, non si deve usare la macchina, come fanno i tanti turisti che sguaiatamente la risicano poi sulla stretta litoranea. Va intrapreso invece il percorso a piedi, come si faceva un tempo alla ricerca avventurosa della lontananza e del silenzio assoluto - quello che, se non c’è, il mare smette di parlare.
Per capire la Scala dei Turchi bisognerebbe magari aver letto qualcosa, per esempio un libro di Camilleri, di Pirandello o di Sciascia, gli scrittori nati qui, insomma e che di questi luoghi parlano. Ma più che i loro percorsi letterari, bisognerebbe scrutare le pagine alla ricerca di quel viottolo, di quello sguardo sul mare, di quella scarpata su cui a un tratto ondeggerà uno scialle.
Servirebbe ancora di più il libro che non è stato ancora scritto, la Spoon River della nostra marina, e la descrizione a tinte forti dei personaggi che qui hanno vissuto. Per esempio vi ho frequentato un suonatore Jones, diversi malati di cuore, certamente un chimico, e perfino Ella e Kate morte entrambe per errore: creature di questi luoghi, dove spira il vento caldoumido d’Africa e non avemmo abbastanza stanze dello scirocco entro cui ripararci.
E anche se i “personaggi”, molti in cerca d’autore, ora che siamo ben omologati non esistono più e la Scala se la portano via i turisti pezzetto di marna per pezzetto di marna (ché l’argilla, dicono, fa bene alla pelle), bisogna sapere che, giunti alla Scala dei Turchi dopo un lungo percorso sulla battigia, parlavamo a bassa voce e qualcuno aveva portato con sé un libro. Io una volta portai l’Antologia di Spoon River, e oggi vorrei tanto il libro ancora non scritto.
Vittorio Alessandro