Mi chiedo cosa rappresenti per noi la terra e cosa significhino per tutti noi i terreni con la loro forza, la loro energia, i loro nutrimenti con cui veniamo a contatto, e cosa ci trasmettono come valore, e sensazioni dopo tutti questi anni in cui le nostre esistenze si sono cristallizzate, in cui molte persone sono rimaste chiuse in città, fra l’asfalto e l’angoscia. Si è potuto viaggiare di meno e abbiamo sofferto e ancora stiamo tutti soffrendo per gli effetti di questa pandemia che ancora non è purtroppo conclusa. I Parchi letterari continuano a tessere i loro legami in maniera sentita e intensa ed è proprio l’elemento terra (e quello dei terreni come la cultura ancestrale a loro collegata) che, unito alla forza degli scambi umani sono capaci di tenere legate e connesse le comunità e di far comunicare realtà diverse fra loro grazie ad antichissimi alfabeti comuni. La terra è il nostro comune denominatore, primordiale e consumato, quell’elemento su cui camminiamo avvertendone l’odore intenso composto di semi e di continua rigenerazione. L’Italia è un paese prevalentemente agricolo e anche i Parchi letterari sono uniti fra loro da questo legame prezioso dato che alcuni sono stati fondati e tutelano, fra l’altro, paesaggi agricoli di rara unicità e preziosità.
Recentemente è nato un progetto a metà fra arti e agricoltura, attinente al tema del terreno, depauperato e sfruttato, coltivato senza più quelle accortezze lente del mondo di un tempo, di un mondo contadino che qualcuno sta tentando di recuperare garantendone la rigenerazione. Anche tutti noi ci dovremo un giorno rigenerare con i nostri umori, a nostra volta, calmierando le nostre disperazioni e sofferenze esattamente come i terreni dopo una coltivazione troppo intensa. E il tempo sarebbe il miglior alleato per tornare alla vita in questa società che del tempo ha fatto un bene più prezioso dei diamanti nel rarefarlo all’osso. Siamo tutti conigli bianchi usciti dalla fiaba immortale di ‘Alice nel paese delle meraviglie’, di Lewis Carroll. ‘I’m late, I’m late. Sono in ritardo, sono in ritardo’.
Gli artisti devono saper fare anche questo: avere l’abilità di condurre il fruitore in mondi nuovi scortandolo con ferma gentilezza, in dimensioni talmente nuove che, come in questo caso, sono mondi arcaici e primordiali, e portarlo come in questo progetto a risentire l’importanza della terra con tutte le sue risorse e le implicazioni, spesso messe a repentaglio.
Game over-Future C(o)ulture, ideato e promosso da VILLAM e realizzato con Arshake, grazie a Anita Calà e Elena Giulia Rossi, è un progetto che, come spiega Elena Giulia Rossi, ‘mira ad essere nuova linfa vitale al sistema economico e culturale ripartendo dalla terra. Eccellenze provenienti da diverse discipline (i.e. fisica, bio-robotica, AI, agricoltura, medicina, discipline umanistiche e altro) sono chiamati assieme in dialogo con l'azienda Quinto Sapore dove Alessandro Giuggioli porta avanti una ricerca sulla biodiversità e dove è custode di semi antichi per il CNR di Perugia. Prende forma una squadra trans-generazionale, fino a raggiungere i più piccoli che si proietta con molta gradualità nel futuro e lo fa guardando all'innovazione ripartendo dalla terra. La finalità è quella di far dialogare mestieri e saperi molto spesso sono distanti tra loro, metterli in correlazione per individuare nuove soluzioni alle grandi sfide che ci aspettano nei prossimi anni, partendo dalla formazione e dalla terra’.
E ascoltando le parole di Andy Warhol: “Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d'arte che si possa desiderare”
Ginevra Sanfelice Lilli
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