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The Heirs. Gli eredi di Fontamara. Ritorno alle origini dalla Florida Atlantic University

13 Settembre 2022
The Heirs. Gli eredi di Fontamara. Ritorno alle origini dalla Florida Atlantic University
In verità sono un'erede espatriata di Fontamara, figlia di uno dei fortunati contadini del Fucino che trovò l'amore e una via di scampo nell'ingenua turista italoamericana che festeggiava la sua laurea accompagnando sua cognata in Italia

Gli eredi di Fontamara (la versione italiana è a cura dell'autrice che ringraziamo di cuore.)

The Heirs of Fontamara (Please find the original English version attached )

Un'escursione o una vacanza è solitamente un viaggio in un luogo nuovo che riempie il viaggiatore di emotività, a volte incendia anche un senso di avventura alla ricerca dell'ignoto. Le mie dilette escursioni nei Parchi Letterari in Italia la scorsa estate hanno raggiunto ciascuno di questi obiettivi. Il mio itinerario prevedeva intere giornate vagando lungo i sentieri ermi beneamati da Ignazio Silone, Gabriele d'Annunzio, Ovidio, Giacomo Leopardi e Carlo Levi
Precedentemente immessa in questi luoghi che attraverso la loro letteratura ora testimoniavo la disposizione tridimensionale delle pagine dei loro testi. L'esperienza sensoriale ha risvegliato fili latenti del mio DNA, riunendomi con la trinità: l'immaginario connotativo, denotativo e visivo di notevoli autori e artisti italiani. A volte docenti addestrati guidavano rievocazioni d'epoca, altre indicavano manufatti d’epoca e lasciavano alla mia interpretazione la ricostruzione della trama e del territorio. Le parti più magiche di queste gite si sono svolte immediatamente al di là delle passeggiate curate, negli incontri dickensiani con gli spiriti del passato raffigurati in forme umane tangibili.
I miei amici e parenti italiani mi chiedevano perché preferivo saturare tante giornate in un mese di lavoro/vacanza con visite ai Parchi Letterari di Pescina, Anversa, Sulmona, Recanati e Aliano piuttosto che dedicarle alle mete turistiche della lista dei desideri. Ebbene, sarà stata la sensazione che avrei incontrato Nena Di Simone ai piedi delle scale che conducevano alla tomba di Silone o il solitario novantenne sul suo scooter elettrico che ci avrebbe accompagnato all'unico ristorante di Aliano. Queste due anime artigianali erano le vere gemme dei reperti che chiamano la loro casa e le finestre sulle anime delle eloquenti geometafore che mi hanno attirato in questi luoghi sacri.

 In verità sono un'erede espatriata di Fontamara, figlia di uno dei fortunati contadini del Fucino che trovò l'amore e una via di scampo nell'ingenua turista italoamericana che festeggiava la sua laurea accompagnando sua cognata in Italia, una visita che comprendeva anche un soggiorno nel paesetto natale di questa parente. Questa zona e la sua realtà, come spiega Silone stesso, sembravano essere l'antitesi delle terre incantevoli di cui si legge nella letteratura italiana, e addirittura un netto contrasto con la cittadina costiera di Senigallia da cui risalivano le radici di mia madre solo qualche decennio prima. Ma colpita dall'esotismo degli impianti idraulici all'aperto, dagli animali che ragliavano all'interno dei confini della casa famigliare e da un idioma che non corrispondeva in alcun modo al lessico e alla sintassi della sua precedente conoscenza dell'italiano, mia madre scelse quest'uomo come suo marito. Si sposarono nella parrocchia locale, in una messa celebrata dallo stesso sacerdote che aveva officiato i funerali di cinque dei nove fratelli di mio padre e dei suoi nonni; lo stesso prete che faceva il giro al momento della vendemmia, quando veniva prelevato il vino nuovo, per scremare i primi frutti dalle magre porzioni di questa famiglia che assiduamente condivideva bicchieri e posate a tavola. 
Mia nonna e le donne della famiglia, a parte mia zia maggiore, erano assente dalla cerimonia in chiesa. Stavano preparando il banchetto che si svolgeva nella casa di famiglia, completo di tutte i fronzoli: le sagnette, salsicce, frutta e vino di produzione propria. La festa era accompagnata dalla fisarmonica e coronata da una rissa prima di salutare gli sposini che partirono per una locanda del paesetto vicino in viaggio di nozze.

 Ricordi come questi suonano nella memoria fino ad oggi, sia per coloro che li hanno vissuti, che per coloro che hanno arricchiti, e cadono sulle orecchie di chiunque si presta all’ascolto. E’ vero che: “Sono comuni a ognuno i fatti veramente importanti della vita: il nascere, l'amare, il soffrire, il morire; ma non per questo gli uomini si stancano di raccontarseli” (Silone 19). Ironicamente, quando la nostra famiglia si trasferì in questo paese ai piedi del Monte Saviano negli anni '80 e il mio insegnante di lettere italiane di terza media affidò la lettura di Fontamara, partendo con un dettato della biografia di Ignazio Silone, scomparso solo pochi anni prima, il resoconto e il linguaggio non mi erano così estranei. Le prime pagine descrivono l'ambiente inventata di Fontamara come un villaggio che “somiglia dunque, per molti lati, a ogni villaggio meridionale, il quale sia un po' fuori mano, tra il piano e la montagna, fuori delle vie del traffico, quindi un po’ più arretrato e misero e abbandonato degli altri” (3), e somigliava al paese natale di mio padre nell’epoca della sua gioventù e, a dire il vero, presentava somiglianze allo stato attuale.

 Nonostante il temperamento ottimista di mio padre e i tentativi di ricordare i spensierati imbrogli della sua giovinezza quando eravamo in compagnia dei nostri compari in America, rimettere piede nella terra abruzzese suscitò in lui un pessimismo che lo invecchiava come le forme di formaggio giù in cantina cantina. Il fulcro della conversazione raramente si discostava dalla terra e dal bestiame. Questi erano preziosi e problematici come la propria famiglia.

Abbiamo avuto la fortuna di possederli entrambi, superando le possibilità economiche delle precedenti generazioni da sempre legate a un padrone. Ma la nostra realtà familiare, anche in questo spazio di privilegio, raffigurava l'osservazione di Silone: “Fra la terra e il contadino, dalle nostre parti, ma forse anche altrove, è una storia dura e seria, è come marito e moglie. È come una specie di sacramento. Non basta comprarla, perché una terra sia tua. Diventa tua con gli anni, con la fatica, col sudore, con le lagrime, con i sospiri. Se hai terra, nelle notti di maltempo tu non dormi; anche se stanco a morte, tu non riesci a dormire, perché non sai quello che sta succedendo alla tua terra; e al mattino corri subito a vedere. Se un altro ti piglia la terra, magari pagandola col denaro, è sempre un po' come se ti portasse via la moglie; e, anche venduto, un pezzo di terra conserva per molto tempo il nome del vecchio padrone” (70). Il messaggio di Silone in Fontamara mi ha addestrato a fare pace con questa realtà immutabile in cui, “[g]li anni passavano, gli anni si accumulavano, i giovani diventavano vecchi, i vecchi morivano, e si seminava, si sarchiava, si insolfava, si mieteva, si vendemmiava. E poi ancora? Di nuovo da capo. Ogni anno come l’anno precedente, ogni stagione come la stagione precedente. Ogni generazione come la generazione precedente. Nessuno a Fontamara ha mai pensato che quell’antico modo di vivere potesse cambiare”.

 Ma la mia generazione ha rotto questo ciclo. Ciascuno dei cugini ha conseguito una laurea; alcuni ruppero i legami con il paese espatriando in altre regioni. E io, residente in Florida, torno regolarmente per rendere omaggio alla terra sacra che ha segnato i miei anni formativi. Il pellegrinaggio del 2022 è stato particolare. Era il mio primo viaggio internazionale post Covid, e un ritorno al focolare paterno da dottoranda in studi italoamericani; esiti che superano ogni aspettativa per la figlia di quel contadino del Fucino che, da allora, ha guadagnato con orgoglio anche lui la cittadinanza americana e non si identifica più con la mentalità primitiva della sua madre terra. Assumo la responsabilità di mantenere viva la (sua)storia e documentarne il progresso per i nipoti che pur leggendo Fontamara, attraversando il Fucino, degustando gli arrostincini grigliati del famoso ovino di queste montagne, difficilmente avranno la sporcizia del Fucino incastonato nelle crepe della loro pelle, e mai si sveglieranno da un sonno profondo al suono dei lupi che attaccano il loro gregge.

 Affermare questi ricordi personali in connessione con la letteratura di Ignazio Silone su questa fascia demografica è stata l'attrazione per il Parco Letterario di Pescina. I curatori hanno fatto un lavoro straordinario nel rendere attuale l'ambiente in cui Ignazio Silone è cresciuto. La loro visita guidata tra gli spazi pubblici e privati di Silone ha comunicato le sue visioni per la giustizia sociale che erano alla pari con le menti letterarie del suo tempo. Sia io che lui ci siamo allontanati da questo spazio geografico, ma ciononostante ci restiamo legati. Dopo la nostra visita alla Casa Museo Ignazio Silone, io e mio marito (fotografo eletto) abbiamo effettuato la salita rocciosa alla tomba dello scrittore, una croce di ferro alla base dell'antico campanile di San Berardo. Da lì abbiamo contemplato l'ambiente circostante e mi sono identificata con le macroscopiche esperienze siloniane che lo hanno spinto all'estero, ma che lo hanno sempre ricondotto (nella sua letteratura se non sempre letteralmente) alla visione microscopica di questo suo angolo dell'Abruzzo, una prospettiva radicata nella solidarietà con i subalterni della zona.

 Alla riscesa alla nostra macchina abbiamo sbirciato nella chiesa di Sant'Antonio per una tregua dal caldo di mezzogiorno. Mentre ne uscivamo sulla piazzetta, ancora travolti dalla presenza tangibile di Silone e dei suoi protagonisti in questo luogo, una donna anziana si è avvicinata a noi e ha avviato una conversazione. La sua bocca sdentata pronunciava un misto di italiano e abruzzese che era solo un po' estraneo alle mie orecchie. Il suo comportamento era quello di mia nonna e deve aver interpretato il mio desiderio di riconnettermi con i miei antenati perché mi ha fatto cenno di uscire dal sole e di mettermi all’ombra e su questo suo palco ha iniziato a recitare la sua storia sin da bambina. Crescendo in questa frazione di Pescina, incontrava spesso Ignazio Silone durante le sue visite di ritorno. Riprendendo le parole dell'autore in L'avventura d'un povero cristiano, "In provincia segreti i hanno vita breve". Ci descrisse il paese e i suoi abitanti di vari ceti sociali, in ordine cronologico inverso, ricordando infine con genuino entusiasmo i rientri di Ignazio Silone. Era un celebre personaggio locale, amato dai bambini che intratteneva raccogliendo frutti dai mandorli e dagli albicocchi in collina. Ha narrato in dettaglio il pathos di un popolo che aveva ceduto al terremoto del Fucino nel 1915, si è separato dall'emigrazione, è stato calpestato dalla guerra, tradito dal proprio governo, dominato dal nord industrializzato e preso di mira da malattie e carestie inevitabili. La storia dei contadini nascosti che abitavano questo abisso è risorta nel suo racconto ed essi fanno parte della mia eredità.

 Riecheggio il pensiero di Silone: “Sono comuni a ognuno i fatti veramente importanti della vita: il nascere, l'amare, il soffrire, il morire; ma non per questo gli uomini si stancano di raccontarseli” (19). Infatti, nel percorso della nostra conversazione, ho scoperto che Nena Di Simone aveva già fatto da Cicerone per almeno un altro dottorando decenni prima, uno che sarebbe diventato un illustre professore di studi italiani e italoamericani portando anch’egli alla luce i visi impercettibili e le voci mute. Lei si lamentava di aver perso i contatti con questo studente da quando la comunicazione online ha sostituito la tradizionale lettera scritta.
Fortunatamente le ho potuto mostrare il suo profilo su Facebook, cosa che l’ha resa irradiante. Ben più di un'ora dopo, i due cani che Nena portava a spasso si sono stancati della nostra conversazione, molto prima di noi. Non avremo trovato una conclusione naturale al filo del nostro discorso. Rimpiango di non aver previsto di registrare la sua storia orale. Il nostro tempo insieme è stato una lezione di storia locale, politica, ecologia, dialettologia, cultura ed empatia, e ci siamo arricchite a vicenda. Con l'ospitalità abruzzese che le scorreva nelle vene, la signora ci ha invitato a casa sua per il pranzo, ma abbiamo gentilmente rifiutato e ci siamo salutate, lei stringendo per mano i guinzagli dei suoi cani e io stringendo al cuore la mia eredità.

Domenica Santomaggio Diraviam
Florida Atlantic University 

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