La storia della poesia ebraica è senza dubbio una storia unica e straordinaria, se non altro per la caratteristica di essere stata per lungo tempo poesia d’esilio. Nei secoli della diaspora essa non ha tuttavia perso le sue peculiarità, e questo nonostante il grande apporto di stili, temi e metri nuovi presi in prestito dalle culture “ospiti”, che hanno invece contribuito a renderla variegata sulla base della loro localizzazione geografica. Un esempio certamente felice è quello della fioritura della poesia ebraica nella Spagna musulmana, dove all’ebraico viene adattata la metrica araba e si inizia a passare a temi più mondani rispetto alla tradizionale dimensione religiosa che caratterizza la lirica ebraica. Ma la cosa più curiosa, e certamente più importante, da notare nell’ambiente sefardita è appunto questo attaccamento alla lingua ebraica: se infatti tendenzialmente la produzione intellettuale avveniva in arabo e poi nel corso del tempo la si è tradotta in ebraico, e di questo Maimonide e lo stesso poeta Yehuda Ha-Levi sono esempi rilevanti.
L’ambiente ashkenazita invece è forse conosciuto per una poesia essenzialmente legata alla sfera religiosa, seppur non vengano a mancare esempi di poemi secolari di grande originalità e valore artistico. La nota interessante di molta poesia ashkenazita è costituita dal fatto che essa è scritta talvolta in lingua Yiddish, oltre che in ebraico, ed è in Yiddish che si vede, a partire dal 1500, l’influenza dei temi della letteratura europea dell’epoca: ad esempio Bovo-bukh del grammatico ebraico rinascimentale Elia Levita, che scrisse una traduzione e un adattamento yiddish del poema cavalleresco Buovo d’Antona, a sua volta basato sul romanzo anglo-normanno di Sir Bevis of Hampton.
In entrambe le realtà, sefardita e ashkenazita, la presenza femminile è certamente minoritaria, anche se non mancano esempi di grande rilievo letterario: dalla Spagna musulmana ci rimangono, tramandati dagli antologisti al-Suyuti e al-Maqqari, alcuni versi in arabo di Qasmuna bint Isma’il, vissuta con tutta probabilità nel XII secolo; nel mondo ashkenazita nel XVI secolo troviamo invece Rebecca bat Meir Tiktiner, che scrive il Eyn Simchas Touro Lid (“Una canzone per Simhat Torah”), poema dal tema messianico ambientato in un banchetto, e Rachel Akerman, autrice del Geheimniss des Hofes (“I segreti della corte”), un poema sugli intrighi cortigiani.
Per vedere la piena diffusione della poesia ebraica scritta da donne, bisognerà aspettare l'età dell'emancipazione, che non solo produrrà un'epoca di sviluppo intellettuale senza precedenti in Europa durante la Haskalah, l'Illuminismo ebraico, ma trasformerà l'ebraico in una lingua letteraria contemporanea. A questo proposito, merita una menzione Rachele Luzzatto Morpurgo (1790-1871), cugina del noto rappresentante della Haskalah italiana Shmuel David Luzzatto. Morpurgo è "l'ultima poetessa italiana a scrivere in ebraico", come ha scritto lo storico Arnaldo Momigliano nel suo straordinario volume Gli Ebrei d'Italia. Nelle sue poesie, la poetessa triestina racconta la sua vita interiore, il suo amore per la Terra d'Israele e la vita ebraica nella diaspora. Vittorio Castiglioni, noto studioso triestino e rabbino capo della comunità ebraica di Roma, rimase così colpito dalle sue poesie che le fece pubblicare in un 1890 con il titolo Ugav Rahel ("Arpa di Rachele"). Il rabbino Castiglioni parlerà della Morpurgo come di una "scrittrice pronta, che con i suoi piacevoli scritti ha aggiunto bellezza e gloria alla nostra lingua santa".
Un impulso storicamente importante alla poesia e alla letteratura in lingua ebraica si ebbe con l'avvento del movimento del sionismo, che sosteneva il ritorno del popolo ebraico nella sua patria ancestrale. Dopo aver conosciuto quest'ultimo, Eliezer Ben-Yehuda giunse alla conclusione che la rinascita della lingua ebraica in Terra d'Israele avrebbe unito gli ebrei di tutto il mondo. Con questo obiettivo in mente, egli elaborò il primo dizionario di ebraico. Man mano che il movimento sionista prendeva slancio, si assisteva alla nascita di grandi poeti che scrivevano in ebraico, come Nahman Bialik (riconosciuto come poeta nazionale d’Israele) e Naftali Imber (autore dell’inno nazionale d’Israele), che "riscoprivano" l'antica lingua di Israele. Ma è con le ondate di Aliyah, cioè l'immigrazione di ebrei dalla diaspora alla Terra d'Israele, che la poesia ebraica entra in una fase straordinaria, legandosi indissolubilmente alla storia della creazione dello Stato ebraico. Una delle figure femminili più importanti emerse in questo periodo è Hannah Senesh.
Chi era Hannah Senesh? Non è facile rispondere a questa domanda, perché la sua attività poetica fu breve quanto la sua vita straordinaria ed eroica. Nata a Budapest nel 1921, decise di emigrare con la famiglia nel Mandato britannico in Palestina nel 1941. Qui divenne membro del Kibbutz Sdot Yam, vicino a Cesarea, dove si unì anche all'Haganah, la forza paramilitare che fu la base dell’attuale esercito di Israele.. Nel 1943, fu arruolata dal British Special Operations Executive (SOE) e addestrata come paracadutista. La comunità ebraica in Palestina (Yishuv) aveva espresso il desiderio di cooperare con le forze alleate nella lotta contro il nazifascismo e il SOE era incaricato di organizzare missioni di spionaggio e sabotaggio attraverso le linee nemiche. Hannah Senesh si offrì volontaria come molti altri ebrei dell'epoca, tra cui il sionista socialista italiano Enzo Sereni, che organizzò l'unità di paracadutisti ebrei di cui Hannah faceva parte per queste rischiose missioni. Nel marzo 1944, insieme ad altri due volontari, fu paracadutata in Jugoslavia e poi tentò di entrare nell'Ungheria occupata dai nazisti. Al confine, fu arrestata dai gendarmi ungheresi, che trovarono la sua trasmittente militare britannica che usava per comunicare con il SOE e altri partigiani. Fu portata in una prigione dove fu spogliata, legata a una sedia e picchiata per tre giorni. Successivamente fu trasferita in una prigione di Budapest dove fu ripetutamente interrogata e torturata, ma si rifiutò di fornire qualsiasi informazione, a parte il suo nome, anche quando fu arrestata anche sua madre. Nel novembre 1944 fu processata per tradimento in Ungheria da un tribunale nominato dal regime filonazista e antisemita delle Croci Frecciate e giustiziato a da un plotone di esecuzione all'età di ventitré anni.
Hannah Senesh è stata una personalità dotata di una forza straordinaria, un’eroina della lotta al nazismo e al contempo una pioniera dei kibbutz, ma non bisogna cadere nell’errore di leggere la sua vita sulla falsariga di quei “poeti-guerrieri” che hanno costellato gli ultimi due secoli del precedente millennio: Hannah non fu una d’Annunzio o una Avraham Stern, né tantomeno una versione ebraica di Goffredo Mameli, il principale poeta-combattente del Risorgimento italiano. La caratteristica della poetessa ebrea fu quella incarnare un ebreo nuovo, votato al lavoro dei campi e alla difesa del suo popolo. La poesia della Senesh rispecchia certamente tutto questo, ma è peculiare nel fatto che lo fa attraverso il filtro dell’emozione individuale e delle sensazioni catturato mentre ammirando la natura di Eretz Yisrael: la poesia di Hannah Senesh è una poesia fotografica unita ad un travolgente slancio emotivo che la rende non semplicemente la poesia di una ragazza dalla vita breve e intensa, ma un album che ripercorre una vita straordinaria più attraverso il sentimento che attraverso gli eventi. La sua poesia più famosa, “Una passeggiata a Cesarea”, è diventata un simbolo della memoria della Shoah in Israele, quasi a ricordare che l’ebreo nuovo incarnato da Hannah combatte per la sua libertà:
Mio Dio, Mio Dio,
Possa non finire mai,
la sabbia e il mare
il fruscio dell’acqua
il lampo del cielo
la preghiera dell’uomo.
Quando ci immergiamo nei versi di Hannah entriamo nel mondo delle sue emozioni personali e l'epoca storica - i primi kibbutzim e le sfide che hanno affrontato, così come la loro volontà di prendere le armi durante la Seconda Guerra Mondiale per aiutare le forze antinaziste e salvare la loro gente che veniva massacrata in tutta Europa - diventa uno sfondo. L'ultimo tema scritto dalla sua mano, che riassume la sua vita di pioniera sionista prima e di combattente poi, non è altro che quello del sacrificio. La sua ultima poesia, intitolata "Benedetto il fiammifero", scritta pochi giorni prima del suo arresto, può essere letta come un testamento inequivocabile della sua vita:
Benedetto il fiammifero consumato nell’accendere le fiamme,
Benedetta la fiamma che arde nei segreti dei cuori,
Benedetti i cuoriche hanno saputo fermarsi con dignità,
Benedetto il fiammifero consumato nell’accendere le fiamme.
Nell'ora della morte, attraverso il tema del sacrificio, la vita interiore ed esteriore di Hannah Senesh si fondono, quasi ricomponendola nella sua totalità: il poeta diventa la ragazza del kibbutz e la ragazza del kibbutz diventa la sostenitrice della libertà disposta a combattere per il suo popolo. È in questi ultimi versi che troviamo la risposta alla domanda "Chi era Hannah Senesh?": ella ha dedicato la sua vita non solo al popolo ebraico, ma dimostra anche che qualsiasi persona dotata di spirito di sacrificio può alla fine prevalere rimanendo fedele alle sue idee più alte e alle emozioni più profonde.
Vittorio Mascarini
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