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Il soggiorno di Shelley a Este. Paolo Gobbi intervista Francesco Rognoni

12 Dicembre 2022
Il soggiorno di Shelley a Este. Paolo Gobbi intervista Francesco Rognoni
di   Foto: Paolo Gobbi Paolo Gobbi

Nel bicentenario della morte di Percy Bysshe Shelley (1822 - 2022) è doveroso ricordare la figura del più importante poeta inglese dell’Ottocento, inquadrandola soprattutto nel periodo che coincide con il soggiorno a Este, in provincia di Padova.

Nel bicentenario della morte di Percy Bysshe Shelley (1822 - 2022) ritengo doveroso ricordare la figura del più importante poeta inglese dell’Ottocento, inquadrandola soprattutto nel periodo, breve ma particolarmente intenso per creatività poetica, che coincide con il soggiorno a Este, in provincia di Padova.

 Siamo ai piedi dei Colli Euganei, nella parte meridionale di questa celebre area collinare che emerge (ma sarebbe più giusto scrivere affiora) improvvisa nel mezzo della pianura veneta. L’antica città di Este conserva tra i suoi tesori i resti di un castello medievale, che vede le mura di cinta innalzarsi sopra un colle che domina il centro storico. A poca distanza dai torrioni e dalla cinta posti a est che si prolunga verso l’alto si trova la casa che ha ospitato Shelley per un paio di mesi, tra l’ottobre e novembre del 1818. Questa villa, in pieno stile neoclassico, era stata affittata da Byron un anno prima, quando il poeta aveva voluto rendere omaggio al Petrarca andando a visitare il vicino paese di Arquà, dove si trovano la casa e la tomba dell’illustre poeta italiano. Una visita che rientrava già da molti anni nelle scelte quasi obbligate di molti interpreti del Grand Tour, a cui non poteva sottrarsi certo l’eccentrico e geniale poeta inglese. La villa è circondata da un parco rigoglioso, e in punto dello stesso, ancora oggi ben riconoscibile e protetto forse più di altri dai rumori provenienti dalla casa o dai lavori agresti, Shelley si ritirava a scrivere. Attività che ebbe proprio in quel breve periodo un notevole slancio creativo, forse anche per le suggestioni derivanti dall’ambiente storico, così adiacente, e dalla vicinanza con i luoghi petrarcheschi, da lui senz’altro visitati in una delle numerose escursioni – a piedi e a cavallo – nei Colli Euganei. 

Qui scrisse il poemetto “Versi scritti fra i Colli Euganei” (che venne pubblicato un anno più tardi e che conteneva una precisazione importante, e cioè che l’ispirazione derivò da una scampagnata fino alla cima del Monte Venda, il rilievo più alto dei Colli Euganei), e concepì e cominciò a scrivere altri capolavori, il Prometeo Liberato e Giuliano e Maddalo. È probabile che nello steso periodo anche la moglie di Shelley, suggestionata dal paesaggio euganeo e dal castello che poteva ammirare quotidianamente dalla sua casa, abbia cominciato a scrivere il romanzo Valperga, che contiene delle pagine interamente dedicate al castello di Este e ai dintorni collinari. 

Purtroppo quel soggiorno venne addolorato dalla morte della loro figlia Clara; tuttavia è da credere che proprio la tranquillità offerta dal luogo, assieme alle molteplici escursioni nei Colli Euganei, abbiano potuto in parte lenire un dolore così grande. 

Per ricordare quel soggiorno, e dare ulteriore risalto a una delle figure poetiche più rilevanti del Parco letterario Francesco Petrarca e dei Colli Euganei, abbiamo voluto coinvolgere il professore Francesco Rognoni, docente di letteratura inglese all’Università Cattolica di Milano e traduttore dell’opera omnia del poeta, ponendogli alcune domande su questo momento rilevante del percorso artistico e umano di Shelley e dell’amico Lord Byron. 

Francesco Rognoni ha vissuto a lungo negli Stati Uniti, studiando alla Yale University. Ha insegnato per anni all’Università di Udine e ha tenuto corsi al Barnard College della Columbia University, N.Y. Attualmente insegna Lingua e letteratura inglese e Antropologia e cultura anglo-americana all’Università Cattolica di Milano e di Brescia. Ha scritto su vari autori inglesi e americani (J. Milton, J. Keats, R. Browning, F. O'Hara, R. Lowell ecc.) e curato edizioni di classici e contemporanei, fra cui la Pléiade Einaudi-Gallimard delle "Opere" di P.B. Shelley (Premio Betocchi per la traduzione poetica, 1995), al quale si aggiunge l’ultimo e maggior omaggio dedicato a Shelley italiano, due Meridiano Mondadori, Opere poetiche e Teatro, prose e lettere.

***** 

Paolo Gobbi (PG): A quando risale il tuo interesse per il poeta Shelley? Te lo chiedo perché la “doppia traduzione” segnala un interesse per questo autore che sembra andare oltre un normale lavoro di traduzione: è come se Shelley ti abbia talmente coinvolto da diventare una sorta di felice ossessione.
Francesco Rognoni (FR): L’ossessione, ahimè, c’è stata senz’altro, e non so quanto la definirei felice! Entrambe le traduzioni, però, sono nate da occasioni editoriali, sono state, direi quasi, “commissionate”. Nei miei anni di studio all’università di Yale, mi ero occupato molto di poesia romantica inglese, sotto la guida di Harold Bloom e altri esperti. Così, appena tornato in Italia, avevo proposto ad Einaudi una traduzione della tragedia I Cenci; ma in casa editrice, accorgendosi di non avere alcuna opera di Shelley in catalogo (i miei interlocutori erano Piero Gelli e Guido Davico Bonino) mi fu controproposto di allestire una grossa antologia. Cosa che feci. In prima battuta, il lavoro sarebbe dovuto essere accolto nella NUE, poi entrò nella ‘Pleiade italiana’ (una collana che, come noto, ebbe breve vita). Avendo dedicato tanti anni – e in ‘epoche’ diverse della mia vita – a tradurre e commentare Shelley, inevitabilmente il mio rapporto con lui adesso è di odio-amore!

PG: Veniamo al rapporto del poeta con i Colli Euganei: possiamo considerare Shelley (insieme all’amico Byron) l’iniziatore di una moda del Grand Tour che prevedeva come tappa obbligata la visita alla tomba e alla casa del Petrarca ad Arquà?
FR: Credo che la moda fosse ben diffusa anche nel 700. Diciamo che Shelley e Byron le hanno ridato freschezza dopo la parentesi delle guerre napoleoniche, durante la quale il tradizionale Grand Tour europeo era stato ‘sospeso’ per ragioni di forza maggiore.

PG: A questo proposito, mi potresti dire che cosa ha rappresentato la figura del Petrarca per Shelley e per Byron?
FR: Per entrambi Petrarca è stato, naturalmente, un poeta grandissimo – ma meno significativo, meno inevitabile di Dante. Byron ne fa gran lodi in Childe Harold, la sua opera più ‘romantica’; ma in diari e lettere – e nel Don Juan, il suo capolavoro – le frecciate sono più frequenti degli apprezzamenti. Prima di aver mai messo piede in Italia, aveva definito il sonetto come «il genere di composizioni più stenterelle, paralizzanti, il più stupidamente platoniche», affermando subito dopo: «detesto il Petrarca a tal punto che non vorrei neppure essere stato l’uomo che ha ottenuto i favori della sua Laura, come non è riuscito a quel vecchiaccio rimbambito astruso e frignone» (diario, 18 dicembre 1813). Ma anche dopo aver visitato (più di una volta!) la tomba di Petrarca, non sarà disposto a lasciarsi troppo incantare: nel Don Juan, il poema meno ‘petrarchesco’ che si possa immaginare, Petrarca è definito “il ruffiano platonico di tutta la posterità,” e la sua monotona produttività è vista come direttamente proporzionale alla “non disponibilità” della donna: «Think you, if Laura had been Petrarch’s wife, / He would have written sonnets all his life?» (canto V, st. I e VIII). Shelley – che, a differenza di Byron, amava la forma del sonetto, e ne ha scritti di bellissimi – era molto più in sintonia. Nella Difesa della Poesia dice che i versi di Petrarca “sono come incantesimi che schiudono le più profonde e magiche sorgenti del piacere racchiuso nelle pene d'Amore. È impossibile sentirli senza entrare a far parte della bellezza che contempliamo” (ma anche lui, subito dopo, afferma che “Dante comprese i segreti dell'amore ancora meglio di Petrarca”).

PG: Sono bastati due mesi per consentire a Shelley di impossessarsi delle peculiarità morfologiche e geologiche di questo eccentrico e originale territorio collinare: le "isole in fiore” viste dalla laguna e il vulcanismo (“questi monti parvero torreggiare come da onde in fiamme”). Tutto questo deriva dalle famose cavalcate sulle spiagge del Lido e, immagino, lungo i sentieri degli Euganei? È il frutto di una poesia en plein air? Cos’altro di questa realtà paesaggistica può aver intrigato il poeta?
FR: Direi che la tua domanda contiene già la sua risposta. Shelley viveva in modo “accelerato”: leggeva, scriveva, si sposava, viaggiava, mangiava più velocemente di tutti noi (anche perché era vegetariano e in realtà mangiava pochissimo!). E sì, amava fare tutte queste cose (e altre ancora) en plein air; e in tal modo entrava subito in comunicazione con il genius loci, che gli svelava i segreti del suo luogo!

PG: E per chiudere allora, veniamo al soggiorno nella villa di Este affittata da Byron: un intrico non semplice e chiaro tra gli ospiti di quella vacanza euganea, se pensiamo ai rapporti piuttosto complicati tra alcuni di loro, con Byron sullo sfondo. Come la racconteresti questa breve ma entusiasmante esperienza?
FR: Hai proprio ragione, è una vicenda intricata. Qui basti dire che fra le ragioni del viaggio di Shelley in Italia, nella primavera del ‘18, c’era anche quella di portare a suo padre Allegra, la bambina che Byron aveva avuto dalla sua riluttante relazione con Claire Clairmont, sorellastra di Mary Shelley (quindi cognata, e forse talvolta amante di Shelley): un (dis)amore iniziato a Londra, e consumato nella celebre estate del 1816, sulle rive del lago di Ginevra – dove, intanto che Claire si faceva mettere incinta da Byron (ma forse era già successo a Londra), Mary concepiva il suo Frankenstein... Purtroppo, insieme alla bambina, Byron aveva ben presto concepito anche una terribile avversione per la madre: quindi, quando Allegra nacque nel gennaio del 1817, a Bath in Inghilterra si dichiarò disposto a riconoscerla e ad allevarla, ma senza – non dico sposare o convivere – ma neanche mai più rivedere Claire.

Come ho accennato, il viaggio in Italia di Shelley ha come sua prima motivazione appunto quella di accompagnare Allegra da Byron. Dapprincipio gli Shelley sperano che Byron, che da un anno e mezzo viveva fin troppo allegramente a Venezia, metta giudizio e li raggiunga sul lago di Como; poi devono rassegnarsi che il Lord fa sul serio, vuol prendersi la bambina (anche per compensare alla perdita della figlia legittima, Ada), ma della madre non vuol proprio saperne. Perciò – anche contro il parere di Shelley, che anteponeva gli affetti naturali ai presunti vantaggi di un titolo nobiliare – Claire decide di cedergliela, con tanto di bambinaia, affidandola all’uomo di fiducia che Byron aveva mandato apposta a Como per prelevarla. Quindi gli Shelley si spostano in Toscana, con l’intenzione di svernare a Roma o a Napoli. Il Veneto, insomma, non era nei programmi.

Ma dopo tre mesi è evidente che Claire non riesce a reggere a una privazione così innaturale, anche perché da Venezia arrivano notizie piuttosto allarmanti sulla salute e l’umore di Allegra. A questo punto – siamo nella seconda metà di agosto – Shelley e Claire, lasciando Mary coi due figli piccoli e i servitori a Bagni di Lucca, partono alla volta di Venezia. L’idea è di chiedere a Byron il permesso che Allegra segua la famiglia “materna” a Firenze, almeno per quell’autunno. La controproposta di Byron, che tutto il gruppo – tranne egli stesso, ovviamente, incompatibile con Claire – si faccia una vacanza nella sua villa di Este, “I Cappuccini”, per una settimana che si prolungherà fino alla fine di ottobre. La “vacanza” darà frutti magnifici (Shelley inizierà a Este non solo per poesia già ricordate, ma anche il Prometeo liberato), ma che sarà anche, indirettamente, causa di una tragedia: Clara, la figlia minore degli Shelley, una bambina di poco più di un anno, si ammalerà durante il viaggio assai stancante da Bagni di Lucca e Este e morirà poche settimane dopo, a Venezia, dove era stata trasportata per le ultime disperate cure mediche.

Paolo Gobbi

Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari

immagini a cura del Parco Letterario Francesco Petrarca e i Colli Euganei

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Francesco Petrarca e dei Colli Euganei
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Francesco Petrarca e dei Colli Euganei

Colli Euganei (Padova)

“Se solo potessi mostrarti il secondo Elicona che per te e le Muse ho allestito sui Colli Euganei, penso proprio che di lì non vorresti mai più andartene”. Francesco Petrarca, Epistole varie, 46, a Moggio Moggi di Parma (20 giugno 1369)

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