Testo originale in inglese /Read the English version
È inevitabile che con il passare del tempo si diventi parte integrante dell'ambiente in cui si è cresciuti arrivando a somatizzarne anche le più lievi alterazioni. Un trapiantato osserva attentamente e si adatta in modo precario al nuovo ambiente, ma non acquisterà mai la stessa sensibilità di un nativo. Quando l'ambiente è ultraterreno come il paesaggio "lunare" di Aliano, caratterizzato da ulivi secolari in bilico tra burroni instabili di argilla bianca, presenta opportunità e sfide uniche di adattamento e sopravvivenza. L'artista è predisposto a tradurre le sfumature monocromatiche dell'argilla in dipinti che si fondono con i visi consumati della gente del posto. Il poeta rende udibile il visivo narrando con meccanismi retorici lo sgretolamento della fragile ghiaia sotto il peso di uomini e bestie che trascinano il loro fardello di miseria su e giù per colline e calanchi. Il romanziere compila un libro di memorie che trasmette le perpetue lotte della comunità meridionale contro le inique circostanze sociali e naturali.
Nel frattempo, l'abitante del luogo, amalgamato per generazione all'argilla, ai burroni e agli ulivi, trova queste forze della natura ineluttabilmente incorporate nella sua pelle rugosa, nelle sue mani screpolate e nella sua voce amara e tremante. Se si presenta l'occasione, il nativo la coglie e fugge senza titubare, ma nella mia esperienza di visita al Parco Letterario di Carlo Levi, c'è un apparente magnetismo che lo riconduce ad Aliano. Questo è stato il percorso di due figure che hanno plasmato e sono state plasmate da Aliano: lo scrittore, artista ed intellettuale antifascista Carlo Levi confinato ad Aliano tra il 1935 e il 1936, e l'artista italoamericano di seconda generazione di origini alianesi, Paul Russotto (1944-2014).
Nella tarda primavera del 2022 ho visitato il Parco Letterario Carlo Levi di Aliano nell'ambito di un pellegrinaggio attraverso gli spazi naturali italiani che hanno ispirato celebri figure letterarie. La mia ricerca è stata quella di visualizzare la terra e le circostanze che hanno spinto gli italiani a partire in massa durante la Grande Migrazione e di valutare qualitativamente il progresso delle generazioni successive e di coloro che sono rimasti. Il mio camino è iniziato in Abruzzo, la regione delle mie radici paterne. Dal Parco Letterario dedicato a Ignazio Silone a Pescina ho proseguito nel Parco Ovidio a Sulmona fino a quello dedicato a Gabriele d'Annunzio di Anversa degli Abruzzi. Ho poi attraversato il confine regionale per assaporare la cultura letteraria delle mie radici materne seguendo il percorso del Parco Letterario Giacomo Leopardi di Recanati. Mi sono poi diretta verso il meridione d'Italia e ho programmato una visita ad Aliano durante un breve soggiorno a Matera. Ognuna di queste esperienze di visita è stata unica come lo fu lo scrittore che ha onorato il paesaggio geografico che ha influenzato le sue opere letterarie. Ho percepito il legame metaforico che li univa a questi luoghi e la forza che l’ambiente ha esercitato su di loro. Le guide dei tre Parchi Letterari hanno infine trasformato sotto i miei occhi la flora, la fauna e l'ambiente geologico in echi di prosa e poesia.
“Si snoda il colle in un timido verde / e si distende sotto il sole; chiusi / son gli orizzonti”, i versi iniziali della Poesia XVIII di Carol Levi sono stati i primi sussurri che ho percepito imboccando la strada principale a solo due corsie di Aliano, arsa dal sole, verso una piazza desolata. Alberelli curati e vasi di piante verdi accudite dai proprietari delle piccole botteghe fiancheggiavano la via ma non nascondevano lo sfondo dominante composto da burroni e gruppi dispersi di ulivi che circondano il villaggio. Giunsi alla piazza di fronte alla chiesa San Luigi Gonzaga, dove aspettavano le guide del Parco Letterario. Non ebbi alcun dubbio che fossero loro, perché, a parte un signore anziano seduto su uno scooter (con cui avremmo poi parlato), noi quattro eravamo le uniche anime in giro quel lunedì. E' stato impressionante percorrere le strade di Aliano che ai miei occhi sembravano immutate da quella del romanzo di Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli.
L'occhio della mia mente mi ha riportato al presente vedendo i murales commissionati agli studenti delle scuole superiori italiane sulle pareti imbiancate. Le colorate esposizioni evocavano un'immagine di gioviale convivialità tra i giovani talentuosi che (ri)immortalavano le loro interpretazioni semiotiche della terra che Levi descrisse "senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà, su un suolo arido nella presenza della morte" (Cristo si è fermato a Eboli), e mi ha confortato perché mi sono resa conto che la giustizia sociale per cui Levi si batteva è qui ancora molto viva.
Riconosco che le mie interpretazioni sono inevitabilmente condizionate dalla mia passione per Carlo Levi come romanziere, poeta, artista e attivista sociale. Il mio legame con Aliano si limita all'analisi delle memorie di Levi, alla sua trasposizione cinematografica, ai suoi ritratti dei contadini e di Giulia la santarcangiolese, e ai suoi versi poetici che raccontano la ciclicità di questa comunità. È stato l'incontro fortuito con un alianese che ha alleggerito il mio pregiudizio soggettivo e ha aggiunto un protagonista all'eredità di Levi. Il nome di quest'uomo anziano che avevamo visto all'inizio della giornata sul suo motorino rimane un mistero. Era un abitante del luogo in cerca di un pubblico, desideroso di condividere la sua storia come noi di ascoltarla. Nato nel 1930, questo novantenne ci ha raccontato ricordi che si allineavano a ogni strofa della poesia di Levi "Mistica della prosa". In un dialetto fitto che emanava da un sorriso sdentato incastonato in un volto stanco e rugoso del colore del pantano sterile della prima strofa, abbiamo appreso che era emigrato da Aliano in Germania dopo la Seconda Guerra Mondiale, indigente e disoccupato. Era orgoglioso di essere riuscito ad ottenere un lavoro all'estero grazie alle sue competenze avanzate: sapeva contare fino a cento. Ci ha raccontato la storia di un Marchigiano in condizioni simili con cui ha fatto amicizia. Poi è diventato molto cupo ricordando il suo ritorno a casa. A quanto ho capito, aveva saputo dell'infedeltà della sua amata e aveva ripreso la sua vita precedente di contadino. Con il suo motorino ci ha accompagnato all'ombra e ha continuato a raccontare la sua vita, con singhiozzi intermittenti ha raccontato la sua disperazione Mi vennero in mente i versi di Levi, “come il passato, un altro anno. / Eternità vuota. / senz’erba né voce di sposa / è la straziante ruota / mistica della prosa”. Era difficile decifrare se si ritenesse fortunato o sfortunato per aver raggiunto un'età così avanzata, soprattutto vivendo nell'inevitabile presenza quotidiana degli anfratti e degli abissi, metafore geografiche dell'oblio.
Questa conversazione che durò fino all'ora di pranzo (un pasto che merita un conto a parte) ha evocato nella mia mente le immagini della conversazione tra Levi e il becchino del cimitero fuori dal paese.
“II terreno era disseminato di ossa, che affioravano dalle vecchie tombe, che le acque e i soli avevano consumato; vecchie ossa bianche e calcinate. Per il vecchio le ossa, i morti, gli animali e i diavoli erano cose familiari, legate, come lo sono del resto, qui, per tutti, alla semplice vita di ogni giorno. - Il paese è fatto delle ossa dei morti, - mi diceva, nel suo gergo oscuro, gorgogliante come un'acqua sotterranea che esca improvvisamente fra le pietre; e faceva, con quel buco sdentato che gli serviva di bocca, una smorfia che torse era un sorriso. Se cercavo di fargli spiegare che cosa intendesse dire, non mi ascoltava, ma rideva, e ripeteva, senza mutarla, la stessa frase, rifiutando di aggiungere altro: - Proprio così, il paese è fatto delle ossa dei morti -. Aveva ragione, il vecchio, in tutti i modi, sia che lo si dovesse intendere in modo figurato e simbolico, sia che lo si dovesse prendere alla lettera.”
Anche se sicuramente l’avevo letto per la prima volta in italiano in terza media, al momento riecheggiava in inglese:
“The ground was littered with calcified bleached bones, flowering out of the graves and worn away by wind and sun. To the old man these bones, the dead, animals, and spirits were all familiar things, bound up, as indeed they were to everyone in these parts, with simple everyday life. ‘The village is built on the bones of the dead,’ he said to me in his thick jargon, gurgling like a subterranean rivulet suddenly emerging among the stones, and twisting the toothless hole that served him for a mouth into what might have been meant for a smile…. The old man was quite right, whether he meant these words literally or symbolically, as a figure of speech.” (Levi, Carlo. Christ Stopped At Eboli. New York: Ferrar, Straus, and Giroux, 1974).
Ero così affascinata da questa immagine che non vedevo l'ora di continuare l'esplorazione. Ero curiosa di visitare il cimitero dopo pranzo, secondo l’abitudine di Levi che si recava in questo angolo del suo universo sia per dipingere che per cercare sollievo nelle ore più torride della giornata. Desideravo visitarlo mentre la conversazione attuale e le parole dello scrittore bisbigliavano ancora fresche nella mia mente. Ma in questo luogo dove nulla accade in maniera affrettata, il pasto, preparato in una cucina casareccia, si prolungò per tutto il primo pomeriggio con diverse portate di salumi, formaggi e pasta di produzione locale e verdure raccolte nell'orto accompagnate da una caraffa di vino artigianale. I vari antipasti, il primo, il secondo e i contorni furono seguiti da ciliegie succose e i dessert più gustosi, a ricordare che anche in questo paesaggio aspro e spietato esistono succulenza e dolcezza.
Prima di recarmi al cimitero ho visitato la galleria dedicata all'artista Paul Russotto le cui radici materne risalgono ad Aliano. Il suo lavoro, come quello di altri artisti che condividono la sua esperienza ibrida e generazionale, mostra i suoi legami con Aliano intrecciati con i suoi legami culturali con l'America. Nei dipinti astratti ci sono elementi che onorano il colore e la consistenza del luogo in cui trascorreva le sue estati da giovane, ma c'è anche un innegabile riguardo per gli anni formativi di Russotto in America e forse l'intenzione di lasciarsi alle spalle la miseria. A differenza dell'uccello di passaggio rimpatriato di Levi, che ostenta il suo giradischi e si vanta delle fortune acquisite all'estero, Russotto cerca di restituire alla comunità e rafforza l'eredità di Levi, quella dell'outsider che ritorna. L'arte di Russotto e il suo lavoro meritano un discorso a parte. Nella loro qualità astratta, i suoi dipinti rivelano tratti mistici insiti nella fede lucana. È un gesto nobile da parte dell'artista ritirare queste sue opere d'arte dalle luci della ribalta della scena artistica di New York per salvaguardarle in uno spazio isolato (off the grid) come Aliano. Con questo gesto Russotto mostra anche il tradizionale rispetto familiare conservando queste opere d'arte nella città natale di sua madre e conferendole un perenne onore.
La mia visita al
Parco Letterario è iniziata dall'imponente belvedere dietro il monumento a
Carlo Levi, ed è proseguita attraverso i meandri delle strade adornate da
tableaux, visite e scorci che hanno dato vita alle parole e alle immagini dello
scrittore. Si è concluso con una riflessione solitaria al cimitero. Al di là
dei cancelli in ferro battuto e dei murales colorati sulle mura esterne, mi sono aggirata in un labirinto di targhe, soffermandomi sui nomi e sulle date incise, immaginando
coloro che Levi aveva incontrato durante il suo anno di esilio imposto nel
villaggio. Quei segni assegnavano un'identità distinta a quella popolazione
anonima di cui aveva preso a cuore le circostanze; individui che nell'arco di
un anno avevano talmente segnato la sua anima che il torinese scelse di essere
sepolto tra loro. Ho anche contemplato gli antenati di Paul Russotto, con mani
screpolate e corpi deformi e malnutriti, che hanno trascorso la loro vita a
dissodare ciclicamente un terreno avvilito e inflessibile, affinché decenni
dopo l'artista potesse usare le sue mani dotate per dipingere e rimpatriare un
prodotto duraturo di eredità culturale. E naturalmente il mio pensiero era
rivolto all'abitante del luogo che avevamo incontrato, un monumento vivente nel
villaggio che Levi aveva descritto come un luogo in cui sembrava che “the whole earth had died”. Egli resisteva con una storia da
raccontare, in un vernacolo autentico, che incorniciava l'essenza di un tempo e
di uno spazio che Cristo aveva
dimenticato, ma che il Parco Letterario Carlo Levi salvaguarda in modo
straordinario.
Domenica Diraviam, PhD
Florida Atlantic University
Immagini di Domenica Santomaggio Diraviam
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Testo originale in inglese.
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