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Dalla pesca all’agricoltura. Il prosciugamento del Lago di Fucino

01 Agosto 2024
Dalla pesca all’agricoltura. Il prosciugamento del Lago di Fucino
Nel cuore dell'Abruzzo, ai piedi imponenti del Monte Velino, si estende la Conca del Fucino, un'ampia pianura che fino alla metà dell’Ottocento ospitava il terzo lago più grande d'Italia.

Dalla pesca all’agricoltura attraverso il più grande artefatto dell’antichità, il prosciugamento del Lago di Fucino

Nel cuore dell'Abruzzo, ai piedi imponenti del Monte Velino, si estende la Conca del Fucino, un'ampia pianura che fino alla metà dell’Ottocento ospitava il terzo lago più grande d'Italia per superficie, una distesa di acqua azzurra di 155 km², che drenava un'area di 842 km², creando uno scenario naturalistico spettacolare e ricco di biodiversità. 
Le sue acque moderavano il clima locale, garantendo «una svariata e rigogliosa vegetazione: bosco, seminativi, salici, canneti, erbe officinali, olivi, vigneti, caratterizzavano la cospicua ricchezza della biocenosi botanica che prosperava attorno» (Natalia, 2017: 9). Forniva, altresì, una fonte gratuita di proteine sotto forma di pesce, circa 300.000 kg annui. 
 “N’è un clima salubre, purissima e ridente l’aere, le sorgenti cristalline, la superficie territoriale delle terre culte come nelle altre vestite di alberi fruttiferi di dolci soave frutta, di vigneti, di oliveti e nelle diverse terre a pascolo gentile, a spessi boschi ed a luoghi ermi e deserti, fa 1.250,656 moggi legali. A tante varietà di clima e di zone terrestri corrisponde altresì la varietà della vegetazione; [...] questa classica terra in breve presenta un panorama di sorprendente bellezza”., recitava il canonico Giacinto Ciccotti nel 1843. 
 Si trattava di un bacino idrografico endoreico, privo di sbocchi naturali per il deflusso delle acque provenienti dalle montagne circostanti, in una regione in cui le precipitazioni superavano di gran lunga l'evaporazione. Questa condizione causava un significativo aumento del volume del lago, che provocava violenti straripamenti dalle conseguenze assai disastrose.
Gli antichi romani tentarono più volte di drenare il lago, ma solo nel 52 d.C., sotto l’imperatore Claudio, ottennero un certo successo con la costruzione dei cunicoli aventi funzione di emissario. Tuttavia, col passare del tempo, senza un’adeguata manutenzione, le opere ingegneristiche fallirono e il lago tornò al suo stato naturale.
Furono molteplici i tentativi di rinnovare o sostituire il sistema di drenaggio romano, ma le iniziative non andarono oltre la fase di valutazione a causa dei continui sconvolgimenti politici, della mancanza di finanziamenti e delle radicate obiezioni dei pescatori locali e dei loro padroni, che ricevevano un consistente profitto dalla suddivisione del pescato.
Nel 1852, Thomas d’Agiout, uomo d'affari francese residente a Napoli, fondò una società di investimenti per finanziare il prosciugamento del bacino d’acqua. In cambio avrebbe acquisito la proprietà delle terre emerse. Le azioni di tale società furono successivamente acquisite dal duca Alessandro Torlonia, che divenne l'unico proprietario del progetto. L'investimento del banchiere fu considerevole; Torlonia era fermamente determinato a portare a compimento il lavoro e intenzionato a trasformare il nuovo Fucino nel granaio di Roma. Celebre la sua frase: «O io asciugo il Fucino, o il Fucino asciuga me». 
 La bonifica richiese quasi ventitré anni di lavori e quattromila operai al giorno, e rappresentò l’impresa di ingegneria più ambiziosa dell’epoca alla quale presero parte professionisti arrivati dalla Francia. Completata nel 1878, la spesa totale fu stimata in 43 milioni di lire, equivalenti a circa 180 milioni di euro attuali.
Furono realizzati 210 km di strade, divenute praticabili soltanto dopo la riforma agraria del 1950, 100 km di canali, 648 km di fossati, oltre a numerose fattorie per rendere la piana abitabile. Il prosciugamento del lago e la conseguente appropriazione delle terre emerse trasformarono radicalmente le attività locali, tanto da assumerne un carattere di naturalità.
Ciononostante, la scomparsa del vasto e antico lago non fu un passaggio indolore per la popolazione marsicana: la perdita del consistente bacino d’acqua causò la rottura degli equilibri climatici e la diminuzione della diversità floristica, provocando dissesti ecologici irreversibili.
All’indomani del prosciugamento del lago, il prof. Raffaele Nardelli descriveva una scena desolata, raccontando di «nebbia che si stende come un lugubre lenzuolo su tutta la pianura». 
Gli inverni divennero improvvisamente più rigidi e le estati più torride, e sparirono mandorli, frutteti e uliveti, fonti di un ottimo olio, come denunciò La Gazzetta dell’Aquila nel giugno del 1882. 
 Gli abitanti della Marsica persero la loro principale fonte di sostentamento e, da pescatori, si ritrovarono costretti a lavorare la terra in affitto, mentre i Torlonia e gli altri grandi proprietari terrieri ne ricavarono immensi profitti. 
Costantino Felice, nel suo libro “Verde a Mezzogiorno” (Cap. 4, Sez. 4: 180-185), fornisce una discussione approfondita di questa controversia, descrivendo le lacune del sistema, i limiti di Torlonia e la sua riluttanza a migliorare le condizioni generali prima che degenerassero. È ancora acceso il dibattito sui costi e i ricavi complessivi del prosciugamento e, più specificamente, sul ruolo del banchiere.
Nel 1875, Vittorio Emanuele II conferì a Torlonia il titolo di principe del Fucino e confermò i suoi diritti di proprietà sulle terre emerse dal lago per un periodo di novant'anni. L'intento originale era quello di suddividere i terreni in lotti da 25 ettari ciascuno, per un totale di 497 appezzamenti. Tuttavia, per una molteplicità di ragioni, il risultato fu un sistema misto in cui l'Amministrazione Torlonia gestiva direttamente 2.800 ettari, una piccola area di 900 ettari venne affidata ai mezzadri, mentre i restanti 9.400 ettari furono dati in concessione ai grandi affittuari. (Felice: 181). 
Le terre, dunque, non vennero date in locazione direttamente ai contadini dei paesi circumlacuali, bensì ai gabellotti fucensi, rappresentati da notabili locali accuratamente scelti. Questi subaffittavano i campi al doppio del prezzo corrisposto a Torlonia, imponendo servigi ai fittavoli, che accettavano passivamente pur di rinnovare il contratto o dilazionare i numerosi debiti accumulati per saldare la pigione. Si pagava con il sistema del baratto, ma i prodotti erano spesso insufficienti a coprire i debiti e persino il fabbisogno familiare. Di conseguenza, i contadini dovevano ricorrere a prestiti usurai, subendo ricatti di vario genere. 
All’inizio del XX secolo, ogni contadino si ritrovò a lavorare un ettaro di terra, pagando una pigione moltiplicata più volte attraverso una selvaggia catena di subaffitti (Felice: 182). 
Questo sistema generò, nel giro di qualche decennio, importanti ripercussioni sociali. Il malcontento tra i contadini fece sì che alla famiglia Torlonia subentrasse l’Ente Maremma e Fucino.
Furono trasformate le strutture territoriali, regolamentata la distribuzione delle risorse ai contadini, circa 11.248 affittuari, e introdotte tutte quelle logiche di sistema che tutt’oggi caratterizzano la piana del Fucino. Ma ci volle un lungo processo di identificazione delle risorse ambientali e naturali, nonché la realizzazione di infrastrutture territoriali funzionali al diretto utilizzo della comunità, prima di registrare un progresso nelle condizioni agronomiche e conseguentemente nell’aumento del reddito dei contadini locali, che consentisse loro una migliore qualità della vita.
Tali cambiamenti portarono lavoro e ricchezza attraverso la coltivazione e la grande distribuzione organizzata dei prodotti agricoli, ma anche mediante lo sviluppo e l’innovazione tecnologica avviata con la realizzazione del più importante “teleporto” al mondo per usi civili, il Centro Spaziale del Fucino che, nel 1986, inaugurò un nuovo capitolo dell’era digitale, quando l’Italia si collegò per la prima volta a Internet. Ma questa è un’altra storia. 

Alina Di Mattia

Bibliografia 

Lear E., Viaggio attraverso l’Abruzzo pittoresco, Adelmo Polla Editore, Cerchio, 2001.
Ciccotti G., Sull’impresa di disseccare il lago di Fucino, Stamperia Salvatore De Marco, Napoli, 1843. 
Nardelli R, Clima e vegetazione nella Marsica (prima e dopo il prosciugamento del lago), Avezzano, Adelmo Polla Editore, Cerchio, 1984.
Felice C., Verde a Mezzogiorno, Donzelli Editore, Roma, 2007.
Linoli A., Fucino: The Draining of a Major Lake in the Second Half of the XIXth Century" (2005). 21st European Regional Conference.
Natalia S., Ambiente e storia: il prosciugamento del lago del Fucino e le sue conseguenze, Abruzzo Contemporaneo 2016-2017, XXXII-XXXIII nn. 45-46.
Nardelli, R., Clima e vegetazione nella Marsica, Tipografia Marsicana V. Magagnini, Avezzano, 1883. 
Dumas, A., Viaggio nel Fucino, a cura di Beppe Millanta. Prefazione di Dacia Maraini. Ianieri Edizioni, Pescara, 2023.

Immagini a cura di Alina di Mattia

Ignazio Silone
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