Sta per volgere a termine l’anno 2024, in cui ricorre il 450 anniversario della morte di Giorgio Vasari, figura poliedrica di artista, noto al grande pubblico soprattutto per Le Vite, primo testo di Storia dell’Arte, dato alle stampe a Firenze nel 1550 per i tipi dell’editore ducale Lorenzo Torrentino. Il testo è arricchito da aneddoti che riguardano le biografie degli artisti e incuriosiscono il lettore.
Non è documentata la conoscenza diretta da parte di Emma Perodi del testo vasariano, né è dato sapere se la scrittrice toscana conoscesse Il Trecentonovelle di Franco Sacchetti, sta di fatto che in una narrazione del suo capolavoro Le novelle della nonna, la Perodi riporta l’aneddoto degli scarafaggi che Sacchetti aveva raccontato nella novella CXCI dedicata alla personalità del pittore Buonamico Buffalmacco e che Vasari aveva puntualmente ripreso dedicando una biografia al pittore fiorentino.
Allievo del pittore Tafo, (Andrea di Riccio o Andrea Tafi, nato a Firenze nel 1213 e morto nel 1294) Buonamico Buffalmacco, era un personaggio burlesco e creativo. Franco Sacchetti, letterato italiano e novelliere, vissuto a Firenze nel XIV secolo, nella novella a lui dedicata, narra che il pittore, che viveva in casa con il suo maestro Tafo, non sopportando più di essere svegliato al mattino di buon’ ora per lavorare, pensò ad una burla che distogliesse il suo maestro da tale abitudine: ”Buonamico, uomo che averebbe voluto piú presto dormire che dipignere; pensò di trovare via e modo che ciò non avesse a seguire; e considerando che Tafo era attempato, s’avvisò con una sottile beffa levarlo da questo chiamare della notte, e che lo lasciasse dormire. Di che un giorno se n’andò in una volta poco spazzata, là dove prese circa a trenta scarafaggi e trovato modo d’avere certe agora sottile e piccole e ancora certe candeluzze di cera, nella camera sua in una piccola cassettina l’ebbe condotte; e aspettando fra l’altre una notte che Tafo cominciassi a svegliarsi per chiamarlo, come l’ebbe sentito che in sul letto si recava a sedere, ed egli trovava a uno a uno gli scarafaggi, ficcando li spilletti su le loro reni e su quelli le candeluzze acconciando accese, gli mettea fuori della fessura dell’uscio suo, mandandoli per la camera di Tafo. Come Tafo cominciò a vedere il primo, e seguendo gli altri co’ lumi per tutta la camera, cominciò a tremare come verga, e fasciatosi col copertoio il viso, ché quasi poco vedea, se non per l’un occhio, si raccomandava a Dio dicendo la intemerata e’ salmi penitenziali; e cosí insino a dí stava in timore credendo veramente che questi fossono demoni dell’inferno.”
Così non essendo riuscito a dormire per la paura provata, Tafo non aveva svegliato di buon’ ora neppure l’allievo e anzi in conseguenza dell’accaduto, era deciso a trovare un’altra casa dove andare a vivere e lavorare. Nelle sere successive, Buffalmacco continuò a mandare gli scarafaggi nella camera di Tafo che sempre più si convinceva di dovere cambiare casa credendola piena di spiriti demoniaci. L’allievo allora consigliò il maestro di affidarsi ad un prete, al quale aveva raccontato tutto, il quale avrebbe trascorso la notte in quella casa benedicendola così da scacciarne i demoni. Tafo acconsentì e gli spiriti non fecero più la loro comparsa durante la notte; inoltre il maestro seguì il consiglio del religioso di non continuare a dipingere nottetempo. Fu così che Buonamico riuscì nel suo intento di non essere svegliato troppo presto per lavorare.
Vasari, nella biografia che dedica a Buonamico Buffalmacco riprende la narrazione del Sacchetti oltre a precisare che il pittore era “uomo burlevole celebrato da messer Giovanni Boccaccio nel suo Decamerone, fu come si sa carissimo compagno di Bruno e di Calandrino pittori ancor essi faceti e piacevoli, e, come si può vedere nell’opere sue sparse per tutta Toscana, di assai buon giudizio nell’arte sua del dipignere”.
Ritornando ad Emma Perodi, va ricordata la novella “La gobba del buffone” nella quale la scrittrice, riporta l’episodio degli scarafaggi in un contesto narrativo nuovo. La storia che Emma propone, ha rimandi precisi ai testi citati nonostante proponga una trama diversa che riguarda la vicenda di un buffone con la gobba, al quale dà il nome di Riccio, ossia lo stesso del maestro di Buffalmacco. Il buffone aveva il compito di far sorridere la contessa Berta, che lontana dalla corte, dopo il matrimonio con il conte Alessandro di Romena, stava morendo di nostalgia: “Col giullare era entrata davvero l’allegria nel castello di Romena e quando egli vedeva che la Contessa era pensierosa, si permetteva di far burle d’ogni genere, e raccontava storielle così ridicole da costringerla a ridere … a Romena tutti eran pazzi di Riccio. Il solo che non potesse vederlo era un certo messer Lapo, un poetastro lungo e secco come una pertica, e noioso … questo tale non rideva mai alle facezie del gobbo e lo schivava quanto più poteva …. Questo messer Lapo era un uomo alquanto pauroso; aveva paura degli animali, dei morti, delle streghe e soprattutto degli spiriti."
La Perodi continua la sua narrazione descrivendo alcune burle che Riccio organizza per spaventare Lapo, compresa quella degli scarafaggi: ”Riccio cavò a uno a uno gli scarafaggi dalla cassetta ove li aveva riposti, adattò loro un moccolino sulla schiena e poi li portò davanti all’uscio di ser Lapo, e, accesi che ebbe i moccolini, spinse gli scarafaggi dentro la camera del poeta … Ser Lapo al mattino, più morto che vivo … fece un fagottino e se ne andò da Romena.”
Come sempre Emma compone la sua narrazione mescolando con creatività e fantasia, testi di Letteratura e storie ambientate in Casentino. Numerose risultano le fonti d’ispirazione della scrittrice e la sua abilità nell’ amalgamarle con sapienza è sicuramente una delle sue più straordinarie caratteristiche. La novella perodiana termina con una saggia osservazione che si avvicina ad un proverbio: ”L’allegria non si paga”!
Chi meglio di un buffone poteva affermare ciò?
L'allegria fa campare, la passione fa crepare: questo proverbio trova conferme nelle più recenti ricerche scientifiche che affermano come la risata sia un alleato prezioso del benessere psicofisico, anche grazie alla sua capacità di contrastare la paura e il dolore e alla sua forte funzione comunicativa che aiuta a stare bene con gli altri. La Giornata Mondiale del Sorriso, che ricorre il 4 ottobre, istituita nel 1999 da Harvey Ball, l'artista grafico che ha creato il celebre smiley giallo, oggi simbolo universale di felicità e ottimismo, ci ricorda alcuni buoni motivi per sorridere quotidianamente, contribuendo così a proteggere la nostra salute globale, che passa per la felicità. Un semplice sorriso può supportare il benessere emotivo, fisico e relazionale, migliorando la qualità della nostra vita e di chi, attorno a noi, ci vede sorridere. La risata favorisce il rilascio di sostanze chimiche e neurotrasmettitori, come la dopamina, la serotonina e le endorfine, tutte sostanze naturali che migliorano l’umore.
Alberta Piroci Branciaroli
Immagine:
Carlo Vitoli Russo (Modena 1907 – 1965) pittore e illustratore
Illustrazione de La gobba del buffone
Emma Perodi, Le novelle della nonna, Salani Editore, Milano 1961