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Uno sguardo su letteratura, arte e territorio

18 Febbraio 2025
Uno sguardo su letteratura, arte e territorio
Una delle concause più rilevanti della metamorfosi e della crisi del romanzo in età moderna va individuata ancora una volta, come già avvenuto nel passato, nella forte influenza esercitata sulla letteratura dalle arti figurative

Negli ultimi tempi sembra stia tornando in auge l’arte narrativa, e con essa la letteratura in genere, dopoché molti nel passato a più riprese ne avevano registrato il declino e preconizzato addirittura il definitivo tramonto. In particolare, è tornato alla ribalta il romanzo, di cui si hanno poche tracce nella letteratura antica greca e latina. Per quanto riguarda la prima fra i pochi romanzi a noi giunti interi pare che il più antico sia quello di Caritone, Le vicende di Cherea e Calliroe, mentre in lingua latina si ricordano il celeberrimo e originalissimo Satyricon di Petronio e le Metamorfosi, o Asinus aureus, di Apuleio. 

 In realtà, si tratta di opere difficilmente catalogabili come romanzi nell’accezione moderna, essendo esse il risultato della evoluzione in prosa degli antichi poemi epici. Quel che va subito segnalato è che nell’antichità greca e latina, in ossequio alla precettistica della autorevole Poetica di Aristotele, la prosa narrativa fu sempre collocata in una posizione di antagonismo e subalternità rispetto alla poesia non solo lirica, ma anche epica e tragica.

Il primo ingresso ufficiale del termine “romanzo” nella storia letteraria avvenne in Francia nell’età medioevale. Ma non servì a modificare la gerarchia dei valori la comparsa sulla scena della narrativa italiana di Franco Sacchetti con il Trecentonovelle e soprattutto di uno scrittore geniale come Giovanni Boccaccio, che nel Decameron rappresentò con arte impareggiabile la effervescente società comunale e ne ritrasse gli innumerevoli interpreti, seri o giocosi, tragici o comici, virtuosi o ribaldi, che in vario modo recitavano la loro parte sul palcoscenico della vita. 

Nei secoli successivi i canoni aristotelici continuarono ad essere adottati dai maggiori teorici dell’estetica umanistica e favorirono l’affermazione dell’epica cavalleresca, una sorta di narrativa in versi, che espresse opere di indiscutibile valore, le quali riscossero un notevole successo a livello popolare. Ne è prova eloquente la perdurante fama dei poemi Orlando innamorato del Boiardo e Orlando Furioso dell’Ariosto in Italia e il grande capolavoro di Miguel de Cervantes El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha in Spagna.

Si dovette, però, attendere il Settecento perché il romanzo facesse la comparsa nella sua veste moderna e ricevesse piena dignità letteraria. Non è senza significato la pubblicazione nel 1796 di Wilhelm Meister, che Goethe scrisse dopo il ritorno dal Grand Tour in Italia. Friedrich Schlegel, celebre fautore di una nuova filosofia dell’arte capace di armonizzare poesia classica e moderna, ne fece un’analisi attenta, ricca di profonde e organiche riflessioni sulla funzione e sul valore dei romanzi, da lui felicemente definiti «i dialoghi socratici del nostro tempo».

La loro supremazia letteraria fu certificata nel secolo successivo, quando divennero il genere narrativo per eccellenza. Da allora i narratori rimasero a lungo legati alla estetica realista. Con le diverse forme di romanzo storico, naturalista, verista, decadente, neorealista essi rappresentarono la realtà storica e sociale, spesso ricorrendo a opere cicliche, che registravano e rivelavano i costumi e le consuetudini di un Paese in un particolare periodo storico attraverso la descrizione accurata e sapiente degli ambienti sociali, dei grandi eventi, ma anche dei piccoli fatti della vita quotidiana.

All'inizio del Novecento con la crisi della società europea, che culminerà nello scoppio del primo conflitto mondiale, il romanzo si discostò dagli archetipi ottocenteschi, ridimensionò l’attenzione verso gli aspetti sociali e mirò piuttosto a mettere in evidenza il disagio esistenziale ed interiore, rappresentando il contrasto sempre più forte tra l’interiorità del personaggio e la società che lo circonda. Si avvertì, insomma, l’esigenza di seguire altri percorsi rispetto ai grandi narratori del secolo precedente, che avevano realizzato degli affreschi straordinari della società francese, russa, tedesca o italiana con opere imponenti, divenute ben a ragione patrimonio della letteratura universale.

Si può dire, in definitiva, che il romanzo in circa due secoli e mezzo ha mutato spesso sembianze riguardo ai contenuti, allo stile e alle finalità, ha conosciuto anche crisi ricorrenti e ha assistito a significativi passaggi di testimone fra autori di grande prestigio. Per limitarci ad alcuni dei nomi più noti e indicati senza un ordine preciso, basti ricordare che in Europa si passò da Goethe, Walter Scott, Tolstoj, Dostoevskij e dai francesi Hugo, Balzac, Zola, Maupassant a Joyce, Musil, Huysmans, Sartre e Solgenitsin; in Italia da Manzoni, Nievo, Fogazzaro, Verga e De Roberto a Borgese, d’Annunzio, Svevo, Papini e Pirandello. 

Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, ad esempio, la stagione neorealista fu rigogliosa per la narrativa italiana e il romanzo ebbe molte funzioni. Servì a testimoniare gli orrori dei lager nazisti con Primo Levi; a celebrare l’epopea della Resistenza con Fenoglio, Cassola e Pratolini; a evidenziare il disagio degli intellettuali durante e dopo la guerra con Silone, Pavese, Moravia e Sciascia.

Un caso letterario a sé rappresentò, allora, il libro Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, da alcuni ritenuto erroneamente un romanzo, in cui l’autore evocò la sua esperienza di confinato politico in Lucania durante la dittatura fascista, fece conoscere al mondo le miserrime condizioni di vita dei contadini lucani e ripropose con forza la grave questione del divario fra Nord e Sud dell’Italia. Per i suoi molti pregi diventò un classico, e non solo della letteratura meridionalistica.

Conclusa la fortunata stagione neorealistica, con l’avvento della Neoavanguardia, che propose l’adozione di tecniche formali nuove e di nuovi contenuti, il romanzo divenne un genere letterario elitario. Nel contempo molti altri scrittori, disillusi, rifuggirono dalla realtà e sembrarono dare vita a una nuova età arcadica o, comunque, preferirono ritrarsi in sé stessi, sottraendosi a ogni forma di impegno civile. Narrativa e poesia, insomma, subirono forti mutamenti e assunsero forme di forte intimismo o di pura evasione.

A questo punto corre l’obbligo di sottolineare che una delle concause più rilevanti della metamorfosi e della crisi del romanzo in età moderna va individuata ancora una volta, come già avvenuto nel passato, nella forte influenza esercitata sulla letteratura dalle arti figurative, che si erano andate man mano indirizzando verso l’astrattismo e l’informale, assumendo marcate forme intellettualistiche. Negli ultimi decenni del ventesimo secolo, insomma, si è verificato un fenomeno simile a quello registrato nello scorcio finale dell’Ottocento, quando i pittori impressionisti in Francia determinarono una svolta importante nella storia della poesia e del romanzo, favorendo la nascita di una nuova letteratura, avversa alle regole dal naturalismo.

A distanza di circa un secolo, dunque, diventa fattore di cambiamento letterario l’arte pittorica moderna, che, come autorevolmente sottolinea Salvatore Battaglia, è fondata su «un’opera di analisi e scomposizione», accentuatasi sempre più con l’affermarsi del cubismo e dell’arte astratta, fino al punto che «l’arte verrà a costituire un “modello interiore”, alieno dagli oggetti e dalle forme conosciute. Non è difficile pensare al procedimento dei simbolisti.

Su questa via si ha una netta separazione dell’arte (di tipo astratto) dalla natura come matrice di mimesi». In realtà, si deve prendere atto che si tratta pur sempre di un tentativo del tutto velleitario, perché «Tanto l’arte astratta quanto l’informale insegue un miraggio, una chimera. Brama di giungere all’essenziale del mondo, della natura, della forma, abolendo il mondo, la natura, la forma. Muove da un anelito cosmico, ponendosi al di fuori del cosmo». (1) 

È accaduto, inoltre, che l’industrializzazione, la tecnologia e i mass-media con la introduzione di gusti e modelli artistici nuovi hanno dato vita a una produzione di oggetti estetici legati alle ciniche regole di un capitalismo senza regole e di un consumismo sfrenato. Il romanzo, allora, è sembrato dover soccombere di fronte all’ascesa inarrestabile della civiltà delle immagini, che con forme più accattivanti di comunicazione e di arte faceva presa sul grosso pubblico e instaurava un dominio pressoché incontrastato.

La cultura e l’arte di massa, dunque, si sono preoccupate solo di proporre merce di consumo, in grado di soddisfare bisogni a breve termine e non di lunga durata. L’arte, in modo particolare, si è data come scopo primario, se non esclusivo, il divertimento, inteso nel senso etimologico di distrarre, vale a dire di distogliere l’attenzione della gente dai molti e assillanti problemi politici, sociali, economici della vita quotidiana.

Nel contempo, come rileva in un suo saggio Pio Rasulo, si è finito per assistere «al progressivo abbandono del criterio della lunga durata quale valore fondamentale dell’arte e all’avanzare di valori sempre più effimeri anche se incisivi». A partire dal secondo dopoguerra «i media si sono appropriati dell’arte» e alla fine, «l’oggetto artistico resistente, inteso in senso tradizionale, cioè quello creato con nessuna altra intenzionalità estetica, è diventato un oggetto inutile». (2)

Insomma, l’arte tradizionale, che aveva sempre rivendicato per sé la prerogativa di creare valori estetici duraturi, è scomparsa, travolta dal fascino irresistibile del consenso immediato, seppure effimero. Alla fine il giudizio critico, formulato dopo una lunga e attenta riflessione, è stato brutalmente soppiantato dai facili like espressi all’istante da fruitori superficiali sulle tastiere dei computer. È, questo, un fenomeno emblematico del sovvertimento di valori etici ed estetici, che ha segnato la società del nostro tempo.

Una prova ulteriore dei forti mutamenti dell’arte contemporanea è data dal fatto che da qualche tempo nelle grandi città metropolitane come nei minuscoli paesi appenninici stanno dilagando moderne forme di arte visiva, i murali in modo particolare, che in alcuni suscitano forti perplessità, in altri sentimenti di profonda avversione, in altri ancora convinti apprezzamenti, perché, per questi ultimi, tali manufatti svolgerebbero una importante funzione pedagogica oltre che estetica, almeno quando possiedono evidenti pregi artistici.

Senza voler prendere posizione fra detrattori prevenuti e apologeti ad oltranza, qui preme solo precisare che, a nostro sommesso parere, deve essere assolutamente bandita l’idea, da taluni accreditata, che a siffatte opere possa essere attribuito un potere salvifico per tutti quei piccoli paesi, che si vanno lentamente spopolando e sono esposti a un reale rischio di estinzione.

A tale proposito, piuttosto, bisogna avere la consapevolezza che un reale riscatto delle aree meno sviluppate può essere determinato solo da una programmazione economica seria, che sia ispirata ad una visione organica dei bisogni sociali e culturali dei territori e che rifugga da iniziative estemporanee e fini a sé stesse. Si tratta in tutta evidenza di un processo che, se avviato e portato avanti, necessita di tempi molto lunghi per essere pienamente attuato. E, comunque, va perseguito, perché in alternativa non ci sono altre ricette attendibili.

Quel che, perciò, è deprecabile e va con forza denunciato è che, in un tempo in cui si intravedono eventi epocali, dai mutamenti climatici alla rivoluzione tecnologica, in Italia e in Europa si continui ad adottare politiche sociali ed economiche demagogiche e inadatte a dare risposte concrete alle istanze e alle sfide che all’alba del nuovo millennio si sono affacciate all’orizzonte. Né, soprattutto, si può pensare di risolvere i gravi problemi che assillano l’umanità, alimentando i conflitti in ogni angolo del pianeta.

È auspicabile, infine, che nell’ambito delle loro competenze e dei loro poteri le Amministrazioni regionali, provinciali e comunali non si riducano a dare vita a manifestazioni estemporanee ed effimere, ma adottino strategie in grado di creare opere strutturali, per elevare di fatto la qualità della vita. Sarebbe utile a tal fine il coinvolgimento di associazioni di volontariato, che mettano a disposizione risorse umane, per gestire e valorizzare le risorse del territorio.

Questa idea, peraltro, indusse Stanislao Nievo a concepire la nascita dei Parchi Letterari, che, grazie all’impegno intenso e incisivo del Presidente Stanislao de Marsanich, in un quarto di secolo sono diventati quaranta, disseminati in Italia e nel mondo. Sono validi Presidi culturali, che attraverso un’opera costante mirata alla scoperta, tutela e valorizzazione dei beni storici e ambientali cooperano allo sviluppo dei luoghi sottratti dalla letteratura a un oscuro anonimato. Senza, per questo, nutrire propositi velleitari di dare risposte risolutive a problemi difficili e complessi, che competono alle Istituzioni locali e nazionali.

Piace qui ricordare, solo a mo’ di esempio, tre iniziative assunte nell’anno appena trascorso dal Parco Letterario Carlo Levi. Con il Centro Tule è stata organizzata la terza edizione del Convegno Internazionale sul turismo letterario nei luoghi di confino, esilio e prigionia, che ha coinvolto eminenti studiosi di molte Università italiane e straniere. Con iniziative di vario genere, poi, è stata supportata la ricandidatura a capitale della cultura italiana per il 2027 di Aliano. Per ultimo, ma solo in ordine di tempo, va ricordato il progetto, portato avanti di concerto con l’Amministrazione comunale, di allestire una sala museale intitolata a Guido Sacerdoti, uno dei nipoti di Carlo Levi e come lo zio medico e pittore. 

Così, grazie a una generosa donazione di Carlo Sacerdoti, figlio di Guido, Aliano presto accoglierà in mostra permanente trentatré dipinti, ventidue del padre, nove della nonna Lelle, sorella dell’autore del Cristo e due di Carlo Levi. L’accordo è stato ufficializzato il 3 gennaio scorso nel cinquantesimo anniversario della morte dell’autore del Cristo si è fermato a Eboli e l’inaugurazione è stata programmata per il prossimo 26 maggio. Anche questa data ha una forte valenza simbolica, dal momento che ricorre l’89° anniversario della partenza di Carlo Levi da Aliano dopo circa dieci mesi di confino in Lucania.

È innegabile che si tratti di una iniziativa straordinaria per il valore inestimabile delle opere pittoriche, che presto arricchiranno il cospicuo patrimonio artistico di Aliano. Ma essa assume un significato ancor più rilevante, se si considera il lungo e intenso rapporto, che ebbe con la comunità alianese Guido Sacerdoti, in particolare negli anni in cui fu Presidente della Fondazione Levi. Molto, infatti, si adoperò perché il paese, che aveva ospitato lo zio Carlo come confinato politico, continuasse a tenerne viva la memoria. Lo fece evidentemente non solo per ragioni di ordine sentimentale, ma al nobile scopo di dar vita a un programma, che potesse contribuire concretamente alla crescita della comunità alianese.

I Parchi Letterari, dunque, sono la viva testimonianza che l’integrazione fra scienza, arte, letteratura e una sana politica può essere feconda di risultati per lo sviluppo economico e il riscatto civile anche di quelle popolazioni, che nell’ultimo mezzo secolo sono state fortemente penalizzate dall’avvento della globalizzazione e dalla pratica dilagante del consumismo sfrenato. Vale a dire da due dei maggiori mali della modernità, che con lucida lungimiranza Pier Paolo Pasolini, Natalia Ginzburg e altri illuminati scrittori profeticamente annunciarono. Rimanendo a tutt’oggi inascoltati.

Angelo Colangelo

[1] S. Battaglia, Mitografia del personaggio, Rizzoli, Milano, pp. 326-327
[2] P. Rasulo, L’oggetto estetico contemporaneo, In primo piano editrice, Taranto, 1976, pp. 83-85, passim


Immagini (su concessione di Carlo Sacerdoti ad Angelo Colangelo)

Guido Sacerdoti, Carlo Levi ritorna ad Aliano, 1975
Guido Sacerdoti, Marcella Marmo, olio su tela, 1971

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