Per descrivere il paesaggio fisico-sociale abruzzese al tempo dei racconti del d’Annunzio, bisogna studiare e ben guardare le stesure dei suoi versi in poesia e in narrativa, dove si concentrano i richiami a tradizioni e riferimenti storici, che rappresentano il tessuto sociale del tempo. Nel contesto del Parco letterario Gabriele d'Annunzio di Anversa degli Abruzzi (Aq), la descrizione di tali ambientazioni rivive in diverse opere letterarie, che sostituiscono ed anzi prefigurano quelle che saranno poi le matrici del cambiamento socio-economico dell’intero contesto.
L’Abruzzo descritto dal d’Annunzio è imbevuto da tradizioni, riti, usi e consuetudini di una società ancora legata a retaggi culturali impregnati da riferimenti e misticismi molto cari allo stesso artista. Nel contesto montano che fa da cornice a viaggi fatti da lui stesso nella Majella,si respirano le radici di una tradizione millenaria che accompagnava le scelte di vita pratica e non solo degli uomini del tempo. Sovviene il testo de "La fiaccola sotto il moggio” dramma storico-biografico, intriso dalle connotazione della tragedia scritta nel 1905, rappresentata sempre nello stesso anno, ambientata proprio ad Anversa degli Abruzzi.
Descritta dallo stesso d’Annunzio come la “perfetta delle mie tragedie”, viene “localizzata” presso le Gole del Sagittario e descrive in tono drammatico e nefasto le vicende della nobile famiglia dei Sangro durante la notte che precede la Pentecoste. Gigliola, figlia di Tibaldo, decide di vendicare la morte della madre, uccisa un anno prima da Angizia, attuale moglie dei suo padre. A cornice della vicenda assurda e paradossale, vi è anche Simonetto fratello di Gigliola, ignaro del tutto, anche dell’uccisione della madre, creduta ingenuamente deceduta per malattia. Tibaldo è preda delle cattiverie di Angizia e verrà punita del suo operato, quando, offrendo ospitalità al padre della stessa Angizia, “serparo” della festa dei serpenti di Cocullo (paese delle montagne abruzzesi), Gigliola riesce a farsi donare da quest’ultimo una sacca piena di serpenti. Fattasi mordere da uno di questi, si reca da Angizia per ucciderla prima di morire anche lei per il veleno che le sta circolando nel corpo dopo il morso letale del serpente, ma si rende conto che la matrigna è già morta per opera di suo padre.
Nella storia raccontata dal d’Annunzio c’è tutto, il paese, il dramma, il misticismo dei serpenti, anzi per meglio dire il culto dei serpenti nella tradizione cristiano cattolica, la disgrazia della nobiltà del tempo, le vicende non sempre chiare delle famiglie ricche di possedimenti, ma povera dell’umiltà benevola delle classi più povere. Il personaggio del “serparo”, raccoglie in esso le leggende e la tradizioni di questi luoghi, che ci arrivano ancora oggi con tutte le loro caratterizzazioni piene di simbologie e significati. La festa dei serpenti, descritta dal d’Annunzio, simboleggia all’interno della sua “storia raccontata”, un atto di estrema venerazione, un’estasi tipica dei lineamenti della tragedia, dove tutti i valori negativi, dell’inganno, della perfidia, della vendetta si ritrovano a banchettare con il misticismo e profetico delle vicende popolari del tempo.
Lo stesso titolo della tragedia è una rappresentazione dell’operato “non chiaro” dell’uomo: il moggio era un tino adoperato dai contadini per misurare le quantità di grano. Il tenere la fiaccola sotto il moggio, significa la volontà di occultare la verità. Il racconto pieno di sotterfugi e minacce messi in bocca a tutti i personaggi dallo stesso artista, fanno da cornice alle tradizioni reali e letterarie, che il d’Annunzio descrive nelle loro tipiche esaltazioni, della condizione vissuta dal popolo intorno i paesaggi di Anversa. Un classicismo raccontato in tragedia con la realtà delle storie popolari e credenze religiose, che fanno da combustione alle realizzazioni di drammi e dialoghi perennemente in contrasto fra di loro, ma che a ben guardare sono la faccia della stessa medaglia.
La festa dei serpenti è ancora oggetto di culto nel paese montano abruzzese che lo ospita, Cocullo: Ogni 1 maggio si svolge la festa dedicata a San Domenico Abate, in un contesto paesaggistico pittoresco, quasi fiabesco. La festa religiosa richiama miriadi di persone e turisti, provenienti da tutta Italia e anche dall’estero, per assistere a questa manifestazione folkloristica religiosa-pagana veramente particolare. Fin dalle prime ore del mattino questi uomini “serpari”, girano per la piazza del paesello, con diversi e svariati tipi di serpenti, invitando i turisti ad avere contatto con il rettile, arrivando ad accarezzarlo, toccarlo, al fine di vincere la paura e la repulsione che l’animale incute. Si arriva a farsi fare collane o bracciali con gli esseri striscianti vivi e vegeti, da mettere al collo o intorno al braccio e nel frattempo si svolgono ulteriori rituali propiziatori in chiesa. Si suona la campana, si raccoglie del terriccio, si levano preghiere.
Secondo una tradizione locale, il Santo, cavandosi un dente e donandolo alla popolazione, fece scaturire una fede che andò a soppiantare il culto pagano della Dea Angizia, protettrice dei veleni, tra cui quello dei serpenti, Alla Dea venivano offerte all’inizio del raccolto, delle serpi come atti propiziatori, cosa rimasta poi nel tempo, anche per il Santo cattolico. La prima fase della festa, avviene addirittura mesi prima e consiste nella ricerca e cattura dei serpenti da parte di persone esperte, chiamati appunto “serpari”, che utilizzano tecniche di caccia dei loro antenati. La processione avviene con la Statua del Santo avvolta dalle serpi, sfilando tra le vie del paese, suscitando lo stupore dei presenti. Il frutto di questa pratica religiosa, è come le serpi avvolgeranno la Statua, al fine di capire se il futuro sarà buono o cattivo.
Al termine della manifestazione i serpenti vengono riposti nel loro territorio e nelle loro tane. Certamente l’aria che si respira intorno alla celebrazione è certamente impregnata di misticismo, religiosità ritualizzata, sensazioni veramente particolari. Infatti la stessa religione, qui è vista come amuleto dei “segni” che il destino vorrà compiere, dedotto dal movimento particolare dei serpenti, certamente non curanti della fede, ma piuttosto spaventati dal loro uso improprio.
Insomma le tradizioni pagane a servizio della cristianità ritrovata nel classicismo dei racconti. D’Annunzio con la sua proverbiale capacità, ci racconta “un momento” storico, che in realtà dura ormai da secoli. E’ durerà ancora, per sempre.
Foto di copertina: © Libreria Oreste Gozzini snc (Firenze, FI, Italia)
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"Ad Anversa restano i ruderi di un palazzo edificato da un De Sangro. Scritto al Sindaco per sapere se tra le pietre vi sia lo stemma gentilizio della famiglia. (Esiste un'iscrizione già nota). Un signor Di Gusto mi risponde che non si trova alcuna traccia di stemma. Ora, tu che sai tutto, potresti indicarmi lo stemma ..."