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La coltivazione dell’abete di Natale in Casentino. L'albero nella letteratura e nell’arte

23 Dicembre 2020
 La coltivazione dell’abete di Natale in Casentino. L'albero nella letteratura e nell’arte
In Casentino ben 150 ettari di terreno sono destinati all’attività vivaistica dell’albero di Natale. Una tradizione senza confini da Goethe a Dickens, dalla Perodi ad A. Dumas, da Elliot a Dino Buzzati. Di Alberta Piroci

In Casentino, vallata d’ispirazione per il capolavoro della scrittrice Emma Perodi, ben 150 ettari di terreno sono destinati all’ attività vivaistica dell’albero di Natale. Oltre un milione di piantine di abeti rossi (Picea abiens) ma anche di abete bianco o dei più costosi abeti di Nordmann o argentati, vengono coltivati in terreni marginali di mezza collina e di montagna altrimenti destinati all’abbandono con il conseguente degrado idrogeologico. Si tratta di una delle produzioni più importanti a livello nazionale. 

Il CANC (Consorzio di valorizzazione dell’albero di Natale del Casentino) si è costituito nel 1998 per tutelare il prodotto dalla disinformazione e diffondere la cultura di un albero coltivato nel rispetto dell'ambiente. Ogni anno, durante il periodo natalizio si rinnova costantemente la voce dei disinformati o troppo informati, che accusano i produttori di essere i “rapinatori ambientali” cioè di prendere quanto commercializzano direttamente nelle foreste andando così a impoverire le stesse, ma forse c'è anche la mano di chi è troppo informato e cura interessi diversi; in ogni caso molte sono le voci che spesso si accomunano nel grido di dolore per le foreste saccheggiate senza considerare che l'albero di Natale si coltiva e anzi, mantiene in vita un equilibrio ambientale fatto di stabilità geologica, flora, fauna. 
Il Consorzio si è posto la missione di tutelare il lavoro dei propri associati, sviluppare la coscienza del consumatore verso l'albero di Natale vero che è molto più ecologico di altre tipologie, diffondendone la provenienza e le tecniche di coltivazione, attraverso la conoscenza del proprio marchio. 

La tradizione dell’abete di Natale 
Sembra che la tradizione dell'albero di Natale, sia nata a Tallinn, in Estonia nel 1441, quando fu eretto un grande abete nella piazza del Municipio, attorno al quale giovani scapoli, uomini e donne, ballavano insieme alla ricerca dell'anima gemella. Questa usanza venne poi ripresa in Germania: una cronaca di Brema del 1570 racconta di un albero che veniva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. 
La città di Riga (Lettonia) è fra quelle che si proclamano sedi del primo albero di Natale: vi si trova infatti una targa scritta in otto lingue che ricorda come il "primo albero di capodanno" fu addobbato in questa città nel 1510. 
Una cronaca di Strasburgo del 1605 narra che: "Per Natale i cittadini si portano in casa degli abeti ('Dannenbaumen'), li mettono nelle stanze, li ornano con rose di carta di vari colori, mele, zucchero, oggetti di similoro"

L’idea dell’abete, pianta sempreverde, come rappresentazione della vita eterna, proviene dal mondo pagano e il cristianesimo ne fece il simbolo di Cristo stesso poichè la sua forma triangolare, rappresenterebbe la Santa Trinità. 
In origine la Chiesa ne vietò l'uso sostituendolo con l’agrifoglio che con le sue foglie spinose simboleggiava la corona posta sul capo di Gesù e con le sue bacche rosse le gocce di sangue. La tradizione dell’albero di Natale si perde nella cultura nordica, tra Germania e paesi scandinavi, sviluppandosi intorno al simbolismo dell’Albero Cosmico dei Celti e dei popoli germanici. 
 Per sua natura l’albero, in quanto essere vivente, si rigenera, si trasforma, ed è pertanto visto come il simbolo della vita, mostrando bellezza, tenacia e resistenza alle avversità:come tale diventa un elemento sacro per molte culture e molti popoli. 
I Vichinghi, che abitavano l’estremo nord dell’Europa dove il sole spariva per settimane, compivano riti solenni per auspicare il ritorno della luce. Credevano che l’abete, che non perdeva le foglie nemmeno durante il gelido inverno, avesse poteri magici. Decoravano le loro case con i rami di abete cui aggiungevano frutti. 

L’abete rosso (Picea Abies) era un albero sacro e ritenuto propiziatorio e strumento di comunicazione tra il cielo e la terra, simboleggiava la rinascita e l’immortalità. L’antenato dell’abete di Natale era l’abete solstiziale, era decorato con rappresentazioni del sole e con frutti, era un simbolo legato alla fertilità e all’abbondanza. Tra i suoi rami ospitava scoiattoli, uccelli, fate e folletti.  

Ma anche l’elegante agrifoglio, nei popoli nordici aveva un significato profondo legato all’immortalità. La cultura dell’albero sempreverde era presente anche in ambiente greco-romano. Per i Greci, l’abete bianco era il simbolo della dea Artemide, protettrice delle nascite. L’albero era sacro anche per Poseidone, dio del mare, perchè dal suo tronco si ricavavano gli alberi delle navi. 

Il Cristianesimo trasformò il culto pagano dell’albero sovrapponendovi un nuovo significato. Come il solstizio d’inverno era il Dies Natalis Solis Invicti, così il giorno della nascita di Gesù era il momento di rinascita dell’umanità. In questo nuovo clima culturale lo stesso albero sempreverde, icona di immortalità, diventava l’albero della nascita di Cristo, simbolo di salvezza e redenzione.   

Nel Medioevo gli alberi avevano un valore pubblico e venivano posizionati nelle piazze per festeggiare l’inizio del nuovo anno. Un’altra caratteristica che si sviluppava nel tempo era la presenza di luci, all’inizio candele sistemate sui rami, a simboleggiare la vittoria della luce sulle tenebre.    
Solo nel XVII secolo, principalmente in Germania, l’abete passò dalle piazze alle case arricchendosi di altri ornamenti come rose di carta, lamine metalliche, dolci.  
La cronaca di Strasburgo annota nel 1605: «Per Natale i cittadini si portano in casa degli abeti, li mettono nelle stanze, li ornano con rose di carta di vari colori, mele, zucchero, oggetti di similoro». Nel 1662 è documentato un albero illuminato con candeline ad Hannover. 
Nel 1816 il primo albero di Natale compare a Vienna e nel 1840 a Parigi; sempre nel 1840 a Londra, grazie al Principe Alberto Di Sassonia, consorte della Regina Vittoria che introdusse questa tradizione nel mondo anglosassone. In Italia l’albero di Natale giunge nella seconda metà dell’Ottocento. La regina Margherita di Savoia, moglie di Umberto I, ne fece allestire uno nel Salone del Quirinale.  

Nei primi anni del Novecento gli alberi Natale hanno un momento di grande diffusione, diventando immancabili nelle case dei cittadini europei e nordamericani. La tradizione dell’albero di Natale in Piazza San Pietro ha avuto inizio nel 1982 per volere di  Giovanni Paolo II, che quell’anno aveva ricevuto in dono un abete da un contadino polacco che lo aveva portato in dono fino a  Roma. Da allora è tradizione che ogni anno ogni regione europea doni un gigantesco abete proveniente dai propri boschi per essere poi issato al centro della piazza, accanto al presepe anch’esso offerto ogni anno da una diversa località del mondo. In riferimento a questa usanza, oggi acquisita anche da alcune famiglie cristiane, di addobbare un albero nel periodo natalizio, la Congregazione per il culto precisa: "A prescindere dalle sue origini storiche, l’albero di Natale è oggi un simbolo fortemente evocativo, assai diffuso negli ambienti cristiani; evoca sia  l’albero della vita, piantato al centro dell’Eden , sia l’albero della  croce ed assume quindi un significato cristologico. Sotto l'albero si possono aggiungere dei "doni"; tuttavia, tra i doni posti non dovrà mancare quello per i poveri: essi fanno parte di ogni famiglia cristiana."

La tradizione dell’albero di Natale nella Letteratura e nell’Arte   
Goethe descrive l’apparizione dell’albero di Natale nell’episodio de I dolori del giovane Werther ambientato nel periodo natalizio, descrivendo l’incontro fra Werther e Lotte: «Era occupata a mettere in ordine dei giocattoli che aveva destinato ai fratellini come doni di Natale. Egli (Werther) parlò del piacere che avrebbero avuto i bambini, e dei tempi in cui, all’inatteso aprirsi di una porta che lasciava apparire l’albero ornato con lumi, dolci e mele, egli era pervaso da gioia di paradiso». 

Charles Dickens, autore del «Canto di Natale», scrisse anche un racconto dedicato a questo simbolo natalizio: «Un albero di Natale» (1850) L’autore descrive l’atmosfera gioiosa di «un’allegra brigata di bambini riuniti attorno a quel bel giocattolo tedesco». Scrive ancora l’autore: «l’albero era piantato al centro di un gran tavolo rotondo e torreggiava alto sopra le loro teste. Era illuminato da una gran quantità di candeline e ovunque vi splendevano e ammiccavano oggetti sfavillanti. C’erano bambole dalle guance rosa nascoste tra il fogliame verde, c’erano orologi veri (…) appesi a innumerevoli rametti ».   

Alexandre Dumas nella «Storia di uno schiaccianoci», che poi ispirò il compositore Cajkovskij, comincia il suo racconto partendo da un albero di Natale. «Sorgeva splendido e carico in mezzo alla tavola coperta di bianco e dai suoi rami pendevano palle piene di riflessi e colorate e fiorellini di zucchero filato che avevano corolle di dolcissimi confetti e frutta di mandorle; tra i rami, le mille candele, lasciavano filtrare una luce suggestiva, che rompeva la penombra in modo imprevisto, come fanno i giochi per le luminarie per le grandi solennità. (…) Compunto e silenzioso, da un ramo dell’albero di Natale, un ometto serio e stravagante. Pareva che avesse atteso quel momento con docilita e sicurezza: e Maria, infatti, lo assorbiva tutto con gli occhi, rapita da questa sua scoperta.»  

Celebri alcuni versi della poesia del Premio Nobel  Thomas Eliott in «La coltivazione degli alberi di Natale» 
Vari gli atteggiamenti verso il Natale,
e possiamo alcuni trascurarne,
il mondano, l’apatico e quello commerciale,
il triviale, le bettole aperte tutta la notte,
e il bambinesco, ma non quello del bambino
per cui la candelina è una stella e l’angelo
dorato ad ali tese in cima all’albero
non è ornamento soltanto, ma è un angelo.»
Guarda il bambino all’albero di Natale:
fate che in lui continui questo spirito
del prodigio, (…)  

Nella saga contemporanea di Harry PotterD.J.K. Rowlling descrive le meravigliose decorazioni natalizie del Castello di Hogwarts: «La sala grande era uno splendore. Non solo era addobbata con una dozzina di alberi di Natale coperti di ghiaccio e con grossi festoni di Agrifoglio e di Vischio che andavano da una parte all’altra del soffitto, ma dall’alto fioccava anche neve magica, calda e asciutta.» 

The Christmas Tree, del 1916 , è un dipinto che il pittore Henry Mosler (1841 -1920) di origine tedesca nato a Tropplowitz, in Slesia, (l'attuale  Opawica in Polonia ) realizzò per celebrare l’albero simbolo del Natale. All’età di otto anni, Henry si trasferì con la sua famiglia a New York poi a Cincinnati. Successivamente tornò in Europa studiando pittura sia a Dusseldorf che a Parigi. Rientrato in America e specializzatosi nella pittura di scene di genere, documentò la vita americana. La sua è la storia tipica dell'artista e pittore accademico espatriato americano, che ha cercato formazione e carriera nei centri d'arte europei come Dusseldorf dove frequentò la Royal Accademy. 

Mosler tornò a New York nel 1894, svolgendo un ruolo attivo e tradizionalista nell'arte americana, società nella quale la tradizione dell’albero di Natale era molto sentita. Il pittore, nella tela che dipinge nel 1916, riesce a cogliere tutto lo stupore dei due fratellini che furtivamente ammirano l’albero addobbato da candeline accese sotto il quaIe scorgono i giocattoli portati in dono da Babbo Natale. Si tratta di una scena di famiglia nella quale si coglie tutta la curiosità tipica dei bambini nei confronti di un avvenimento magico quale è quello della festa di Natale. 
L’atmosfera fa pensare che la scena si svolga nella notte della vigilia di Natale quando l’attesa dei doni provoca insonnia nei bambini. Il pittore indugia sulle luci delle candeline accese il cui riverbero giunge fino alla camera da letto e il cui splendore è evidenziato dal contrasto con l’ombra del braccio appoggiato a terra del bambino che è inginocchiato mentre la sorellina è colta nell’atto di aprire un’anta della porta. Il tono intimo e domestico della scena evoca ricordi di un’esperienza legata all’impazienza generata dall’attesa di un avvenimento così importante quale è il Natale.

Il riferimento letterario all’opera di Goethe sembra perfetto là dove l’autore descrive le sensazioni e i ricordi del giovane Werther che “parlò del piacere che avrebbero avuto i bambini, e dei tempi in cui, all’inatteso aprirsi di una porta che lasciava apparire l’albero ornato con lumi, dolci e mele, egli era pervaso da gioia di Paradiso». 

Auguriamo Buon Natale a grandi e piccini con i versi che Dino Buzzati dedicò a questa festività 

E se invece venisse per davvero?
Se la preghiera, la letterina, il desiderio
espresso così, più che altro per gioco
venisse preso sul serio?
Se il regno della fiaba e del mistero
si avverasse? Se accanto al fuoco
al mattino si trovassero i doni
la bambola il revolver il treno
il micio l’orsacchiotto il leone
che nessuno di voi ha comperati?
Se la vostra bella sicurezza
nella scienza e nella dea ragione
andasse a carte quarantotto?
Con imperdonabile leggerezza
forse troppo ci siamo fidati.
E se sul serio venisse?
Silenzio! O Gesù Bambino
per favore cammina piano
nell’attraversare il salotto.
Guai se tu svegli i ragazzi
che disastro sarebbe per noi
così colti così intelligenti
brevettati miscredenti
noi che ci crediamo chissà cosa
coi nostri atomi coi nostri razzi.
Fa piano, Bambino, se puoi.

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