Avevo compiuto da poco sette anni e frequentavo la seconda elementare. A scuola, terminata l'interminabile e ossessionante stagione delle aste, sotto la guida severa ma competente del maestro Alfredo Salomone, iniziò l'esaltante avventura di imparare a leggere.
Entrai in un mondo misterioso e divenni testimone di uno stupefacente miracolo.
Dopo aver appreso, non senza fatica, a riconoscere i pochi incomprensibili segni dell'alfabeto, imparai a combinarli pazientemente fra loro e riuscii a leggere così centinaia di parole. Avevo la strana sensazione di vivere in un luogo magico. Mi inoltravo nella selva oscura delle parole, le facevo mie e, senza rendermene conto, procedevo verso la luce della conoscenza.
In quel tempo io e il mio cugino-gemello Giambattista, coetaneo e compagno di classe, lontano dalla scuola amavamo gareggiare nella lettura di ogni parola che ci capitasse davanti agli occhi. Per un po' si prestarono al nostro gioco infantile le insegne, allora rare, dei negozi o vecchi e stropicciati fogli di giornale, capitati in casa per caso e conservati chissà perché, dopo essere serviti ad avvolgere qualche indumento, un vecchio paio di scarpe o chessò io.
Nulla a che vedere, però, col fascino irresistibile che esercitava su noi due ragazzuoli una vezzosa vetrinetta, che nel negozio paterno metteva in bella mostra dei libri: I promessi sposi, I miserabili, Il conte di Montecristo, Il tallone di ferro, Le avventure di Pinocchio, il mitico Cuore di De Amicis, alcune opere di Salgari.
Si può facilmente immaginare il piacere che provavamo nello sfidarci a chi leggeva con maggiore prontezza le parole delle suggestive copertine. Non c'interessava capirne il senso e desideravamo soltanto comporre le lettere e pronunciare le parole. Un gioco fantastico che ci riempiva di soddisfazione e di orgoglio.
Un giorno apparve nella magica vetrinetta a più ripiani un libro nuovo. Non fu difficile leggere le prime due parole: “Carlo Levi”. Più ostica risultò la lettura della terza, L'orologio, per via di quella maledetta “g”! Con difficoltà sillabammo un nome strano in fondo alla copertina: Ei, ei-na-u-di. Quando finimmo, pensammo che ci fosse un errore: la frase corretta non doveva essere “Carlo leva l'orologio”?
Chiedemmo lumi a mio padre, il quale, sorpreso, sorrise alla nostra ingenua domanda. Poi ci spiegò che le prime due parole erano il nome e il cognome dell'autore, la terza invece il titolo del libro. Non mancò di dirci che Carlo Levi aveva scritto un libro importante, “Cristo si è fermato a Eboli”, in cui si parlava anche del nostro paese.
Aggiunse poi che aveva avuto la fortuna di conoscere il celebre scrittore e di parlargli qualche anno prima, quando era venuto a Stigliano e aveva pernottato all'albergo “Fiorano”. La cosa finì lì.
Passarono gli anni delle elementari e delle medie e arrivò il momento di partire. Non essendoci a Stigliano le scuole superiori, mi ritrovai nel Collegio “Calasanzio” dei Padri Scolopi ad Empoli. Frequentavo il quarto ginnasio al liceo “Virgilio”, quando il mai dimenticato Padre Rocchiccioli mi chiese se conoscessi “Cristo si è fermato a Eboli”, “un'opera meravigliosa -aggiunse- che parla della tua Lucania”.
Candidamente risposi di no, ma subito, come per miracolo, affiorò il ricordo delle parole di mio padre. Lessi tutto d'un fiato il libro che il buon sacerdote mi porse. Ne rimasi incantato. Non immaginavo che mi avrebbe tenuto buona compagnia per tutta la vita!
Passarono anche gli anni del liceo a Potenza e dell'Università a Napoli e approdai come insegnante ad Aliano. Conobbi da vicino il mondo che Carlo Levi aveva mirabilmente raccontato trent'anni prima. M'impegnai molto a far conoscere il suo capolavoro, di cui tutti parlavano e che pochi avevano letto ... Ma questa è tutta un'altra storia.
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dal Cristo si è Fermato ad Eboli