«Si sente – non è vero – che ieri sono stata da B. Ho dovuto andarci per non perdere, ancora una volta, il controllo della situazione. C’era una bruma di un rosa-lilla sui 14 campanili che si vedono dalle sue finestre… B. mi ha ridato, come altre volte, un pezzetto di terreno su cui posare i piedi». Così scrive la poeta e saggista Cristina Campo. Come lei, molti scrittori e scrittrici romane frequentano lo studio di via Gregoriana dello psicoanalista junghiano Ernst Bernhard.
Uomo coltissimo, nato a Berlino in una famiglia ebrea ortodossa, fugge la Germania nazista e arriva in Italia nel 1936, introducendo il pensiero di Carl Gustav Jung. Internato nel 1938 nel campo di Ferramonti di Tarsia a seguito della promulgazione delle leggi razziali, viene liberato grazie all’intervento dell’orientalista Giuseppe Tucci. Astrologo, legge la mano e l’I Ching, conosce le filosofie orientali e la spiritualità chassidica, interpreta i sogni dei suoi pazienti, disegna per loro mappe celesti.
Lo immagino ricevere nel suo studio Bobi Bazlen, letterato che fugge ogni apparire, cofondatore della casa editrice Adelphi, Federico Fellini, con i suoi sogni smisurati, Natalia Ginzburg affranta dopo l’uccisione del marito Leone, e ancora Vittorio de Seta, Bertolucci, Adriano Olivetti, Giorgio Manganelli e tanti altri.
Oh quanto avrei voluto essere una mosca e svolazzare nel suo studio arrampicato sui tetti di Roma, nell’ora dorata del tramonto e ascoltare i crucci e le fantasie che sono diventate lettere, memorie, poesie, film e romanzi. L’arte e la psicanalisi hanno una lunga storia di intrecci e reciproche influenze e Bernhard sapeva coglierle e trasformarle, quasi fosse un mago incantatore.
Le ferite, l’angoscia, il rimorso, le nevrosi, il dolore riescono talvolta a diventare bellezza.
A pochi metri dal suo studio, un luogo al quale è facile associarlo: la biblioteca Herztiana, nella storica sede di Palazzetto Zuccari, anche detta casa dei mostri per via della facciata ornata da un portone monumentale e due finestre decorate da teste di mostri con la bocca spalancata, ispirate al giardino di Bomarzo. È uno dei luoghi alchemici di Roma, così come la Porta Magica di piazza Vittorio che tanto attiravano i pazienti di Bernhard.
Luoghi energetici e misteriosi come la sua pratica analitica, che definiva psicologia del processo di individuazione. Figura di riferimento della Società junghiana che andava formandosi in Italia, Bernhard ebbe moltissimi allievi, animò instancabilmente incontri e seminari.
È morto a Roma, la sua città d’adozione, nel 1985.
Foto di Copertina di Carlotta Silvestrini
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