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WWW: what women want, what women write

03 Marzo 2021
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Dove sono tante autrici sommerse come ad esempio la Banti o la Mancinelli?Vado matto per queste due scrittrici ma nelle Antologie non ci sono. E nelle librerie, poco o per niente. E come loro, è successo a tantissime altre. Di Massimiliano Bellavista

Quando l’amico Massimiliano Bellavista mi ha chiesto di scrivere queste righe ne sono stato onorato. Sono Nick Marshall e sono americano, forse il mio nome non vi giungerà del tutto nuovo. Da tempo ormai ho perso il dono di sentire cosa pensano le donne, quella cosa che mi ha reso famoso per un po', assieme al mio lavoro di pubblicitario. Ma ormai non ne ho più bisogno. Né dell’uno, né dell’altro.
Io e la mia compagna Darcy siamo ormai nonni. Ci siamo trasferiti in Italia anni fa, per la precisione nel 2002. È stata una decisione d’impulso: il nostro sogno era di tornare nel Paese da cui, più di cento anni fa, alcuni dei nostri parenti sono partiti con poche lire in tasca. John, il nostro ultimo figlio, quello che abbiamo avuto insieme intendo, era piccolissimo mentre adesso frequenta il liceo in Italia. Col tempo siamo diventati padroni della lingua (italiana) e grandi frequentatori dei Parchi Letterari.

Amo la letteratura, non l’avrei mai nemmeno pensato vent’anni fa, ma adesso nelle nostre lunghe sere romane, allungate pigramente sul divano pagine e pagine di audiolibri, recitati da grandi attori, si alternano alla voce da crooner del mio amato, mitico Frank. I've got you under my skin. 

Cosa pensano le donne. Adesso direi cosa scrivono le donne. Su questo magazine, ho gustato degli articoli splendidi su Grazia Deledda, Emma Perodi, e altre autrici di cui assieme a Darcy, nel nostro instancabile girovagare per l’Italia, abbiamo più volte visitato i Parchi loro dedicati. Ho compreso col tempo che per capire cosa pensano davvero le donne, basta sfogliare i loro libri, o sentire le loro parole addolcire l’aria delle sere di questo strano inverno che dura da un anno.

Poi questa settimana, mentre prendevo qualche appunto per l’articolo, attorno a me sono successe alcune cose. Intanto, quattro giorni fa, c’era il Super Bowl. Beh, anche se l’Italia è il mio secondo Paese, fatemi essere almeno un po' patriottico. Quanto Amanda Gorman, con quella sua bella e radiosa faccia da ventenne ha recitato davanti a tutti i versi della suo nuovo poema, il Chorus of the Captains, il “Coro dei capitani”, dedicato a tre americani che si sono distinti durante la pandemia, mi sono commosso. Today we honor our three captains/For their actions and impact in/A time of uncertainty and need./They’ve taken the lead,/Exceeding all expectations and limitations,/Uplifting their communities and neighbors.

Il vecchio Walt, che di capitani se ne intendeva, ne sarebbe stato contento. D'altronde a ben vedere anche lui scrisse la sua poesia in un momento topico della storia americana. Ma non è questo il punto. Il punto è che si è data importanza alla poesia, alla letteratura. A versi scritti da una donna.

Il secondo fatto è legato a una semplice osservazione. La camera di John, come quella di tutti gli adolescenti, è un autentico disastro. La sua ‘Antologia della letteratura italiana’, mentre riordinavo con rassegnazione la camera, mi è caduta di taglio su di un piede. Ora dovete sapere che, quando le cose mi cadono addosso, per me è un segno. Dopo un po’ di ghiaccio e un paio di imprecazioni (non proprio in quest’ordine), mi sono messo a sfogliarla, proponendomi di realizzare un semplice conteggio: di quante scrittrici si parlava in quella antologia, a cominciare da quelle rappresentate nei Parchi Letterari?

Se volete sapere come è andata vi dico subito due cose. La prima. Ala fine mi sono comprato altre quattro antologie, per rendere più seria la mia ricerca. La seconda, che è poi anche la mia conclusione: le donne sono fuori dal canone. Quasi invisibili. O relegate e trattate come una scuola o al più un genere letterario. Dovreste fare qualcosa al riguardo. Ce ne sono poche nei volumi destinati ai primi anni del liceo e pochissime nelle antologie degli ultimi anni.

Il giorno dopo ho scoperto che un’autrice, Marianna Orsi, aveva già fatto, e assai meglio di me, questa stessa indagine (vedete l’articolo Donne invisibili – Come i manuali di Letteratura ignorano il contributo femminile, è disponibile in rete.) Concludendo ad esempio che Il Nobel ottenuto nel 1926 non basta infatti a Grazia Deledda per avere un capitolo a lei dedicato nei libri di testo in uso nelle scuole e nelle università italiane, nei quali di solito non le spetta più di un paragrafo o un breve testo, quando non è ignorata del tutto (compare solo in 2 dei 6 volumi per il triennio qui analizzati). Stupiscono le proporzioni.

Leggo i dati del rapporto autori/autrici in una delle antologie analizzate dalla Orsi (le altre non si discostano poi molto):

1A, Dalle origini al Trecento: 24 autori contro 1 autrice

1B, Quattrocento e Cinquecento: 33 a 4 autrici

2A, Seicento e Settecento: 45 a 0.

2B Il primo Ottocento: 40 a 4

3A Il secondo Ottocento e il primo Novecento: 51 a 2

3B, Dal Novecento a oggi: 75 a 7

Lalla Romano, Annamaria Ortese, Elsa Morante, Amelia Rosselli, Igiaba Scego, Alda Merini, Antonella Anedda sono le autrici citate in quel volume per il Novecento.

Dove sono tante autrici ‘sommerse’ come ad esempio la Banti o la Mancinelli? Vado matto per queste due scrittrici. Ma nelle Antologie non ci sono. E nelle librerie, poco o per niente. E come loro, è successo a tantissime altre.
Le donne muoiono, raccolta di quattro memorabili racconti, in un momento storico in cui si parla molto di gender equality e, ahimè, come si sa del tema odioso e socialmente incancrenito del femminicidio, sembra un libro profetico.

Anna Banti, scrittrice assai complessa, moglie del celeberrimo storico dell’arte Roberto Longhi, con la sua penna dura e acuminata, si era occupata in un saggio del 1953 del genere allora ancora molto in voga del romanzo rosa, definendolo come una letteratura scritta da «donne avvezze a praticare la docilità […] le quali libere, ormai, da freni moralistici troppo stretti, conservarono tuttavia un ossequio alle norme ed alla posizione soggetta della donna»; unica eccezione secondo lei, la Serao, pur con tutte le sue contraddizioni, quella stessa Matilde Serao che aveva scritto dell’inutilità di qualunque estemporaneo diritto concesso alle donne fino a che non si lavorava ad un disegno complessivo di società e quindi «Fino a che ogni uomo, padre, zio, avo, fratello maggiore può disporre del destino e della fortuna di una fanciulla: fino a che un marito può disporre di quanto la moglie possiede e nulla darle offendendo la giustizia e la morale: fino a che il divorzio non esista in Italia: fino a che la separazione coniugale sia quella forma odiosa e grottesca che è: fino a che una donna, non possa disporre di sé e di quel che ha: fino a che la sua parola non valga quella di un uomo».

Anna Banti voleva liberarsi dai cliché imperanti nella sua società e parlare in modo originale del mondo femminile, ma senza ricorrere al femminismo: voleva in altre parole investigare il ruolo, complesso, della donna nella società e il rapporto necessario, complementare, ma non subalterno, con l’universo maschile.

La Mancinelli invece è la narratrice e novellatrice di un Medioevo che sembra vero, come si legge sulla quarta di copertina dell’edizione Einaudi de I dodici abati di Challant del 1981. Ci sono altre molte donne nelle storie della Mancinelli, donne abili e intraprendenti, furbe, che danno agli uomini l’illusione di comandare.
Ne Il miracolo di santa Odilia di Odilie ce ne sono in realtà due: la prima badessa del convento, tutta zelo e santità, ma che santa non fu mai, anche se «Perché non fosse santa, era difficile dirlo il paradiso doveva esserselo conquistato di sicuro. Ma miracoli, niente».
Qui le pennellate atte a descrivere un personaggio in poche righe sono magistrali «Sapeva benissimo che tra le mura del convento la attendeva una vita più tranquilla…se fosse andata sposa a qualche signore dei dintorni, avrebbe corso il rischio di essere ripudiata con pretesto qualsiasi, e aveva la certezza di dover sopportare una gravidanza l’anno, mentre i giochi d’amore il suo signore e marito li avrebbe fatti con qualche altra donna». Sembra davvero di sentire la suor Teodora di Calvino «Dovete compatire: si è ragazze di campagna, ancorché nobili, vissute sempre ritirate, in sperduti castelli e poi in conventi; fuor che funzioni religiose, tridui, novene, lavori dei campi, trebbiature, vendemmie, fustigazioni di servi, incesti, incendi, impiccagioni, invasioni d’eserciti, saccheggi, stupri, pestilenze, noi non si è visto niente. Cosa può sapere del mondo una povera suora?».

La seconda Odilia è invece la nipote, che le succede alla morte, bella e amabile a tal punto, che tutto lascia supporre che «il velo le sarebbe pesato più di una corazza». Però sarà proprio lei a compiere alla fine del libro l’unico vero miracolo, un miracolo tutto umano.
E poi ci sono le donne capaci di trame, complotti e maneggi familiari orditi nell’ombra, dipinte pregevolmente in quell’affresco che è l’opera La sacra rappresentazione ovvero Come il forte di Exilles fu conquistato ai francesi del 2001, ambientato gli albori del 1700 quando la piccola comunità di Exilles è in fermento per la preparazione di una Sacra Rappresentazione in onore di San Rocco.
In questo piccolo centro, gli uomini, probi cittadini e stimati padri di famiglia, scivolano nottetempo «lungo i muri senza lume» diretti verso «i loro amori clandestini a qualche fienile». Le mogli, pensano loro, sono buone solo per fare figli.
Qui sembra di leggere il dialogo tra il principe e il confessore nel Gattopardo «Ma che volete da me? Sono un uomo vigoroso. E come posso accontentarmi di una donna che a letto si fa il segno della croce prima di ogni abbraccio, e che dopo non sa dire che "Gesummaria"? Sette figli ho avuto da lei, sette, e sapete che vi dico, padre? Non ho mai visto il suo ombelico».

Ma forse c’è ancora speranza per trovare tra donna e uomo sinergia e intesa nella diversità per certi versi analoghe, sempre per restare nell’ambito letterario, al vissuto personale della de Beauvoir, che pure ebbe il sodalizio intellettuale ed emotivo più forte della sua vita con un uomo così controverso come Jean-Paul Sartre. Insomma, le stesse autrici che ho citato ammettono che in fondo gli uomini in gamba sono ancora i più.

Mentre scrivo, penso ancora al Paese dove sono nato: lo scorso settembre Ruth Bader Ginsburg, giudice liberal e icona pop, seconda donna della storia americana a far parte della Corte Suprema, (dopo Sandra Day O'Connor) è morta all'età di 87 anni, per complicazioni legate al cancro al pancreas. La Ginsburg è stata prima di tutto un architetto legale capace di trasformare negli anni Settanta la lotta per l’emancipazione femminile in qualcosa di più strutturato e meno urlato di una rivendicazione.
Diceva spesso che era diventata avvocato quando le donne non erano desiderate nella professione legale, riuscì nell’impresa di far equiparare a discriminazione razziale a quella sessuale, aprendo la strada a un lungo dibattito legale e prima ancora sociale. Ma diceva anche che il marito e compagno di una vita Marty Ginsburg era l’unico uomo al quale importasse davvero che lei avesse un cervello.

Poi ci sono dei fatti davvero singolari che ho scoperto grazie ai libri. Le donne hanno un gran cuore, certo. Ma noi ne sappiamo pochissimo, su come è fatto. In senso metaforico, ma anche fisiologico. Valeria Gangemi, scrittrice e manager, nel suo Le donne lo fanno meglio, dice «E dopo una vita di stenti e noia, l’infarto può arrivare lo stesso. La differenza è che non sanno come curarci. Già, perché – assurdo ma vero – studi recenti sul tema hanno aperto il “vaso di Pandora”, scoprendo che alcune branche della medicina sottovalutano o non tengono conto delle condizioni di vita delle donne nella determinazione della diagnosi e del protocollo di cura. Per l’ischemia cardiaca, per esempio, le radiografie e i test sotto stress usati per la diagnosi sono “tarati” sul modello maschile e sono meno efficaci per le diagnosi nelle donne. Ancora, gli strumenti chirurgici come by-pass e angioplastica coronaria sono gli stessi di quelli usati per gli uomini e si presta poca attenzione al fatto che le donne hanno coronarie e vasi sanguigni più piccoli».

Adesso è tempo di terminare queste mie note. Non posso che concludere a mio modo, suggerendovi di saper ascoltare. Sempre. E, credetemi, per farlo non c’è alcun bisogno che un fulmine vi colpisca conferendovi strani poteri. Parlo per esperienza. Basta che leggiate. Che leggiate quello che le donne scrivono.

Foto di copertina credits: Pixabay

Riproduzione riservata © Copyright I Parchi Letterari


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