In un freddo e nevoso febbraio del 1866 a Pescasseroli, piccolo paesetto tra le montagne abruzzesi, nasce Benedetto Croce, massimo filosofo italiano del '900, al quale è dedicato il Parco Letterario ospitato dai tre comuni abruzzesi di Pescasseroli, Raiano e Montenerodomo e dai Parchi Nazionali d'Abruzzo, Lazio e Molise e della Maiella.
L’infanzia di Croce è segnata dall’inquietudine di un giovinetto solitario, assorto, trasognato. Come ha scritto nel suo libro intitolato Memorie della mia vita: “Quando torno alla mia più lontana fanciullezza per ricercarvi i primi segni di quel che poi son diventato, ritrovo nella memoria l’avidità con la quale ascoltavo ogni sorta di racconti, la gioia dei primi libri di romanzi e di storie che mi capitavano fra le mani”.
A poco più di nove anni Croce entra in un collegio cattolico, dove ha “fuggevoli impeti di ascetismo, o piuttosto brevi propositi di vita devota, e qualche tormento per non riuscire a mettere in piena pratica le massime religiose, in particolare quella che mi comandava di amare Dio e non solo di temerlo”. La crisi è seguita da un periodo di indifferenza e presto da un completo abbandono di ogni fede tradizionale. Nel 1883 un profondo sconvolgimento segna definitivamente la sua fanciullezza: il terremoto di Casamicciola a Ischia dove perde i genitori e la sua unica sorella; lui stesso rimane sepolto sotto le macerie e ferito in più punti, ma sopravvive. Guarito alla meglio, insieme al fratello si trasferisce a Roma, in casa di Silvio Spaventa, che accetta di diventare suo tutore. Qui viene influenzato da una società molto diversa da quella che fino ad allora lo ha circondato: si trova in casa di un uomo politico autorevolissimo, tra deputati, professori e giornalisti, tra dibattiti di politica e discussioni di diritto, di scienza; subisce le suggestioni della lotta politica, poiché la casa è situata in via della Missione, accanto al palazzo di Montecitorio.
Passa a Roma due anni (1884-85) fra i più malinconici della sua vita, “i soli nei quali assai volte, la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano persino sorti pensieri di suicidio” come testimoniano le sue memorie. La sua vita a Roma trascorre appartata, tiepida, senza frequentare la gioventù romana e i divertimenti mondani; studia all’università giurisprudenza, ma senza reale interessamento e senza nemmeno presentarsi agli esami. Più volentieri si rinchiude nelle biblioteche, dove fa ricerche attingendo da vecchi libri, su temi da lui scelti.
Nel secondo anno a Roma, segue i corsi di filosofia morale di Antonio Labriola (filosofo con particolari interessi nel campo del marxismo), il quale già gli era noto come frequentatore assiduo della casa dello Spaventa e che egli ascoltava con ammirazione nelle conversazioni serali. È in questo contesto che prende forma il suo interesse per la filosofia: queste lezioni gli forniscono l’occasione per rielaborare in forma razionale il suo angoscioso bisogno di farsi una “fede sulla vita”.
Nel 1886 Croce torna a Napoli, abbandona la Roma dei politici e vive solo tra bibliotecari. Placate le angosce della giovinezza, la sua vita si fa più ordinata. Il clima politico di quegli anni è piuttosto rovente: la politica di espansione coloniale di Agostino Depretis costa al paese umiliazione, dolore e numerose perdite umane. L’anno dopo diventa Presidente del Consiglio Francesco Crispi, mentre nel paese diviso va sempre più ad acuirsi la questione sociale. Nel frattempo, proprio ad opera di Antonio Labriola e Filippo Turati, nasce a Genova nel 1892 il Partito socialista dei lavoratori italiani. Questi importanti avvenimenti della storia dell’Italia liberale sfiorano appena Croce tutto immerso nei suoi personalissimi studi. Tra l’86 e il ’92, si occupa di ricerche erudite che gli frutteranno in seguito numerosi volumi di elegante e appassionata ricostruzione storica. Tra essi si possono ricordare i saggi sulla rivoluzione napoletana del 1799; la cronistoria dei teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del ‘700; l’edizione de Lo cunto de li cunti del poeta seicentesco Basile; alcune di quelle mirabili storie e leggende napoletane che oggi, a distanza di anni, paiono uscite fuori, invece che dalla penna di un topo da biblioteca, da uno scrittore di immaginazione e fantasia, da uno storico dell’irrilevante e del fantastico, quasi un precursore di Borges.
Queste ultime (edite da Adelphi) sono una straordinaria testimonianza della giovanile operosità di Croce quale studioso, cronista, filologo, storico delle cose di Napoli. Esse verranno, lungo tutta la sua carriera, sempre riviste, reintegrate e rielaborate in parallelo ai suoi lavori filosofici. Il volume comprende una serie di scritti pubblicati dalla fine dell’800 su periodici diversi. Si riferiscono a memorie, fatti e leggende della Napoli dal XV secolo in poi, attraverso i ritratti di protagonisti che ne hanno caratterizzato la vita. Tali scritti vengono più volte ritoccati, nella convinzione espressa dall’autore nell’Avvertenza che “il legame sentimentale col passato prepara e aiuta l’intelligenza storia, condizione di ogni vero avanzamento civile”. Le sue pagine emanano un pathos e colpiscono il lettore per la loro schietta napoletanità, esprimendo un sincero affetto per Napoli e l’intenzione di rappresentarne la cultura e la memoria, fornendo anche materia per uno studio di costume e società. Libro nato da “affetto per le vecchie memorie napoletane”, ci aiuta a capirne le sue disparate vicende; qui conosciamo un Croce più spensierato, non il rigido e composto filosofo che incontriamo altrove nella sua opera.
Questa pittura storica sulla città ci conduce attraverso un itinerario fantastico; dall’inizio di queste meravigliose pagine leggiamo: “quando, levandomi dal tavolino, mi affaccio al balcone della mia stanza da studio, l’occhio scorre sulle vetuste fabbriche che l’una incontro all’altra sorgono all’incrocio della via della Trinità Maggiore con quelle di San Sebastiano e Santa Chiara. Mi grandeggia innanzi a destra, e quasi mi pare di poterlo toccare con la mano, il campanile di Santa Chiara […]”; un affresco di una Napoli che, attraverso i secoli, non pare essere cambiata tanto, nella sua profonda identità, nella sua fisionomia.
Le Storie e leggende napoletane offrono, al di là dell’erudizione, uno spaccato attraverso il quale la cultura del popolo napoletano può essere ammirata da un punto di vista inedito. La penna sicura di uno tra i suoi massimi filosofi ci fa gustare ogni pagina con emozione, incanto, diletto. Ai curiosi del passato e del fantastico, agli amatori di Napoli e della sua storia, non credo possa sfuggire questo imperdibile capolavo.
Gennaro Cardenio
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Immagine: Thomas Jones, Case a Napoli (1782), British Museum, Londra
Dalla copertina di: Benedetto Croce, Storie e legende napoletane, A cura di Giuseppe Galasso, gli Adelphi, 156, 1999
Il paesaggio altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della Patria, (….) con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli