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Eugenio Montale e le contemplazioni dalla luna

09 Dicembre 2020
Eugenio Montale e le contemplazioni dalla luna
Cosa si vede a diciassette o diciotto anni dalla luna? Ne parliamo con gli allievi delle classi quarta e quinta del Liceo Scientifico Sacro Cuore di Siena. Di Massimiliano Bellavista

Nel numero precedente avevamo lasciato la luna a Pico, a casa di Landolfi. E proprio di casa Landolfi era un grande frequentatore Eugenio Montale. In un dattiloscritto del 5 Marzo 1938 inviato a Roberto Bazlen, Montale lo apostrofa ‘Thomas di Pico’, e nell’ Elegia di Pico Farnese, scrive proprio a proposito di Pico “Strade e scale che salgono a piramide, fitte /d ‘intagli, ragnateli di sasso (…)/si svolge a stento il canto dalle ombrelle dei pini,/e indugia affievolito nell’indaco che stilla/su anfratti, tagli, spicchi di muraglie”.

Sono luoghi della luna le strade, di certo anche quelle strette e ripide di Pico, come diceva Giovan Paolo Lomazzo nel suo Trattato dell’Arte della Pittura. Nel sesto libro di questo trattato cinquecentesco si legge che le strade pubbliche sono riputati luochi della Luna. Luoghi franchi insomma, luoghi dove si è liberi di esprimere l’estro e il capriccio. Dice Montale nell’incipit dell’Elegia“Le pellegrine in sosta che hanno durato/tutta la notte la loro litania/s’aggiustano gli zendadi sulla testa,/spengono i fuochi, risalgono sui carri”. Le Occasioni, raccolta di cui questa poesia fa parte, son del 1939. 

Molto tempo dopo, sono passati trent’anni, Montale è poeta acclamato e apprezzatissimo elzevirista del Corriere. Ma è anche un uomo diverso, disilluso, dubbioso, malinconico. E proprio in calce ad un elzeviro del 12 gennaio 1969, intitolato Variazioni, compare questa stranissima poesia, intitolata Fine del ‘68

“Ho contemplato dalla luna, o quasi,
il modesto pianeta che contiene
filosofia, teologia, politica,
pornografia, letteratura, scienze
palesi o arcane. Dentro c’è anche l’uomo,
ed io tra questi. E tutto è molto strano.
Tra poche ore sarà notte e l’anno
finirà tra esplosioni di spumanti
e di petardi. Forse di bombe o peggio,
ma non qui dove sto. Se uno muore
non importa a nessuno purché sia
sconosciuto e lontano”.

Dalla luna o quasi, tutto cambia. Nell’ambito del mio lavoro con le scuole e del progetto Recensio, questo ottobre ho dato un compito assai difficile agli allievi delle classi quarta e quinta del Liceo Scientifico Sacro Cuore di Siena. Ne sono venute fuori recensioni fantastiche e sorprendenti, per cui li ringrazio, unitamente ai loro bravissimi docenti. 

Cosa si vede a diciassette o diciotto anni dalla luna? 

Virginia dice che non si tratta di un inganno e che “Dalla poesia si riesce ad intuire che Montale si trova esattamente sulla luna e che sta osservando dall’alto ciò che succede sulla terra. Sta per giungere il nuovo anno e la gente come sempre festeggerà tra brindisi ed esplosioni, ma Montale no, lui non è più sulla terra, o meglio, non si sente più parte di quel mondo. Dove è lui tutto ciò non succede, è circondato soltanto dal silenzio e a nessuno importa di quello che succede tanto in alto, così lontano. “Se uno muore non importa a nessuno”. È una frase dura ma piena di significato. All’umanità del singolo non importa, o almeno, gli importa finché resta “sconosciuto e lontano”. Basti pensare ai nostri tempi, grazie ad internet e ai social conosciamo moltissime persone, ma quanto in realtà ci importa di loro?”.

Tutto molto attuale e per niente banale come si vede. La poesia in qualche modo li ha toccati tutti in modo diverso e ne hanno percepito tutta l’autenticità: “se l’intento del poeta era quello di far percepire e comprendere i propri sentimenti, con me ci è riuscito” scrive Elena.

E anche quando si prova ad accostare la poesia ad autori del passato, se ne nota per antitesi la differenza ‘moderna’ nell’approccio. Scrive Giulio “ci rimanda al passato ma in modo opposto; sto parlando di Giacomo Leopardi nella sua poesia “Alla Luna”. Entrambi i poeti parlano del satellite, ma Leopardi lo descrive, racconta alla luna i suoi problemi, la tratta come se fosse la sua amata; Montale, invece, la utilizza come mezzo per descrivere la terra e tutto il male che c’è in essa“

E c’è chi la sente addirittura risuonare rabbiosamente dentro sé stesso, come Lorenzo, che commenta così “se non avessi avuto neanche la minima idea di chi potesse essere quest’uomo, avrei definito Eugenio Montale un adolescente dei tempi moderni, con cui poter trattare riguardo allo stereotipo dei “giovani fannulloni” in cui ognuno di noi viene catalogato. Trattando il suo sentimento di distanza dagli uomini, egli tende a far riaffiorare nelle nostre giovani menti l’idea di sentirsi quasi esclusi completamente dalla società, perché ritenuti, dalla maggior parte del popolo, completi scansafatiche e classificabili come “generazione Z”.

E ora che anche noi ci avviciniamo a grandi passi alla fine del 2020, non mancano i richiami alla nostra più dolorosa attualità da cui i ragazzi sono tutt’altro che estranei, anzi ne sono i veri protagonisti. Come Gianmaria che scrive “La prima volta che ho letto questa poesia ho subito pensato a questa annata disastrosa che stiamo passando noi tutti. Mi viene da pensare come siano successe le cose più disperate e come la popolazione intera sia malinconica e triste del periodo che stiamo passando. Non posso negare che io stesso ho passato un anno che mi ha suscitato grande rabbia e tristezza, però se dovessi identificarmi in un personaggio non sarebbe la massa pronta a festeggiare il nuovo anno, mi vedo di più come l'uomo sulla luna, perché anche se questo anno è stato fonte di grande rabbia e tristezza è anche stato uno dei più belli che io abbia mai passato, tutto quel tempo da solo mi ha fatto riflettere e mi ha fatto vedere le cose da un'altra prospettiva”.

Ma seguire la nostra luna è anche speranza, non deve mancare mai, e la letteratura è una via del sogno, proprio un luogo della luna che deve comunicare a tutti noi estro, speranza e stupore e i ragazzi, molti di loro, che ne sono naturali portatori, non mancano di sottolinearlo, citando l’Apollo 8. E questo devo ammettere sulle prime mi ha spiazzato, perché hanno proprio ragione.

Bill Anders in effetti era proprio lì, mentre Montale scriveva quella poesia, letteralmente a un passo dalla Luna, quando scattò una famosa fotografia, famosa tanto quanto quella del fungo atomico di Nagasaki o del ribelle che ferma i carrarmati in Piazza Tienamen. Ci sarebbe ancora voluto quasi un anno per metterci piede sulla luna, ma il 24 Dicembre 1968, pochi minuti dopo le 10:30 del mattino, ora di Houston, l'Apollo 8 stava riemergendo dal lato nascosto della Luna per la quarta volta. E tutto l’equipaggio, inclusi Lovell e Borman, si distrasse per un meraviglioso attimo, tornando ragazzo e addirittura bambino, dimenticando i rischi, i tempi strettissimi e iperprogrammati, le attrezzature maneggiate che valevano milioni di dollari. Dalla Luna o quasi, si vedeva la Terra. Le loro voci eccitate del loro dialogo sono registrate in un video pubblico della NASA, di cui quel che segue è un frammento. Il Video è visibile qui di seguito.

Anders: Mio Dio, guarda laggiù! C'è la Terra che sorge. Oh, quanto è bella!

Borman: Ehi, non riprenderla, non è nel nostro programma.

[si sente il clic dell'otturatore]

Anders: Hai della pellicola a colori, Jim? Dammi un rullino a colori, veloce, ti dispiace?

Lovell: Oh, gente, è magnifica. Dov’è?

Anders: Sbrigati, svelto!

Lovell: Dov'è?

Anders: Svelto.

Lovell: Qui in basso?

Anders: Prendimene uno a colori e basta. A colori per esterno. Qualunque cosa. Spicciati.

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Montale e Le Cinque Terre
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Montale e Le Cinque Terre

Cinque Terre (La Spezia)

(..) per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni. (..)

Eugenio Montale (I Limoni, Ossi di seppia)

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