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Carlo Levi, il “Cristo” e la Lucania

16 Dicembre 2020
Carlo Levi, il “Cristo” e la Lucania
Il mondo contadino lucano all'occhio curioso e penetrante di Carlo Levi possiede una intrigante complessità e una forte identità. Di Angelo Colangelo

Carlo Levi fu mandato al confino in Lucania 85 anni fa per la sua avversione al regime fascista. Dieci anni dopo ne raccontò l’esperienza in “Cristo si è fermato a Eboli”, un libro che scosse il mondo letterario nazionale e fece presto il giro del mondo.
Ma quali furono le ragioni di quel successo immediato e clamoroso, destinato a durare nel tempo e a diventare planetario?
Émile Poulat
(Lione, 1920 - Parigi, 2014) pensò di attribuirne la fortuna all’originalità del titolo e spiegò che "ce titre est une trouvaille. Il frappe l'immagination: impossible de l'oublier". Si può, certo, convenire con lo storico e sociologo francese che il titolo fu una trovata, capace di colpire l'immaginazione al punto che è impossibile dimenticarsene. Ma è evidente che le ragioni del successo del libro siano ben più consistenti e dipendano dal valore letterario, dalla forza poetica, dall'energia della denuncia politica di quello che Rocco Scotellaro definì “il più appassionato e crudele memoriale dei nostri paesi”.

Nell'originale opera di Carlo Levi felicemente convivono la narrazione degli eventi, l'analisi socio-antropologica, la rappresentazione estetica del paesaggio e, a tratti, una trepida evocazione lirica. Il libro così rivela le molte sfaccettature della realtà lucana, che in apparenza è segnata da una spoglia semplicità, ma in effetti possiede una intrigante complessità e una forte identità. Tale, almeno, si manifesta il mondo contadino lucano all'occhio curioso e penetrante dell'artista piemontese, che vi è stato improvvisamente catapultato dalla remota città industriale di Torino. Carlo Levi con rara sensibilità umana ed artistica coglie che nella vita dei contadini coesistono, e talora si fondono in un magma indistinto, storia e magia, scetticismo e superstizione, religione e incredulità, evidenza e mistero. È, quella contadina, un'esistenza tormentata dalla malaria perniciosa e dalla miseria secolare, accettate con la stessa pazienza e rassegnazione con cui sono tollerate le angherie della gretta borghesia locale e l'autorità dello Stato. Ma è anche animata da sentimenti e valori profondi ed autentici. Quel mondo, chiuso in un’eterna immobilità e in un immedicabile dolore, appare oscuro e sfuggente. Eppure Levi ne è attratto e da esso è indotto non solo a essergli solidale, ma anche a riflettere sull’eterna questione del Mezzogiorno, di cui si era occupato già alcuni anni prima, sollecitato da Piero Gobetti.

Non sorprende, perciò, che il “Cristo” sia stato accolto fin dal primo momento come un libro straordinario e che la sua fama abbia attirato sulla Lucania l'attenzione di studiosi, economisti, etnologi, antropologi italiani e stranieri. Si può dire che il capolavoro di Levi fece da apripista alle iniziative di Adriano Olivetti e alle indagini di vario genere condotte sul campo da Edward C. Banfield, George Terhune Peck, Ernesto de Martino, Tullio Tentori, Ludovico Quaroni, Henri Cartier-Bresson, Friedrich George Friedmann.

È doverosa, infine, un'ultima annotazione. Carlo Levi ebbe un ruolo importante nel promuovere una politica di risanamento e di recupero dei Sassi, della cui vita degradata aveva dato nel “Cristo” una cruda rappresentazione. Anzi, si deve riconoscere che, se i Sassi diventarono patrimonio dell'UNESCO nel 1993 e Matera capitale europea della Cultura nel 2019, merito grande va allo scrittore torinese, che fin dagli anni Cinquanta aveva calamitato l'attenzione del mondo sulla città da lui definita «capitale dei contadini».

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Carlo Levi
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