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Virgilio, Leopardi e Simulo

23 Dicembre 2020
Virgilio, Leopardi e Simulo
Virgilio e Leopardi descrivono la stessa scena presa da Simulo ma la musicalità del testo nelle due interpretazioni è diversa. L’atteggiamento verso la natura sembra opposto nei due poeti. Di Alberto de Marsanich

 “... eruit interea Scybale quoque sedula panem, quem laetus recipit manibus, pulsoque timore iam famis inque diem securus Simulus illam ambit crura ocreis paribus tectusque galero sub iuga parentis cogit lorata iuvencos atque agit in segetes et terrae condit aratrum.” (da: Moretum, Appendix Vergiliana) Ed anche: “… Il pane appunto allor Cibale attenta Tolto dal foco al contadin presenta: Che satisfatte omai viste sue brame, E per quel dì dopo le rustich'opre Sicuro già di non morir di fame, Calza i stivali e col cappel si copre, Indi fuor esce, ed aggiogati i buoi, Gli spinge il solco a far pe' campi suoi.” (da: La Torta, Giacomo Leopardi).  Cosi due giovani che, traducendo dai loro rispettivi classici e lavorando sulle parole per affinare la propria arte poetica, concludono la loro interpretazione della stessa scena rurale. Virgilio (forse) dal greco di Partenio e Leopardi dal latino (forse) di Virgilio

Più in là si farà cenno alle problematiche filologiche e di attribuzione (del Moretum) ma è più stimolante un ragionamento velocissimo sul diverso rapporto tra questi due poeti agli esordi ed il mondo agreste. Virgilio, già a Napoli e influenzato dai poetae novi, possiamo immaginarlo già sulla via del successo mondano oltre che artistico. Si rivolge alla campagna con un sentimento di nostalgia e le difficoltà appaiono colorate della semplicità positiva di un mondo che aveva già abbandonato (per quanto presto avrebbe ricevuto la donazione di Mecenate). 
Leopardi invece è ancora rinchiuso a Recanati (a Napoli sarebbe giunto più tardi), ma già sogna una notorietà che spera gli consenta di fuggire da quel mondo rurale. Il poemetto riflette nelle sonorità una prima forma di pessimismo, romantico. 
E ambedue i poeti poi saranno uniti per essere sepolti vicini nel parco Vergiliano (almeno formalmente) e comunque a Napoli. 

In 124 esametri (162 versi Leopardi), Simulo si sveglia alle quattro del mattino preoccupato dalla prospettiva del digiuno. Ha solo un piccolo orto e vende verdure al mercato. Abituato a vedere la propria dispensa vuota di prosciutti e pancetta potrà contare su un pezzo di formaggio, erbe dell’orto e un po’ di grano con cui fare una pagnotta. Canta e macina, impasta e mette al forno sotto il testum. 
Scynbale (Cimbale per Leopardi) lo aiuta ravvivando il fuoco. Poi Simulo con il mortaio prepara il moretum che servirà da companatico. E quando è tutto pronto, sollevato per aver risolto il pranzo va a lavorare nei campi. 

 La scena è la stessa ma la musicalità del testo nelle due interpretazioni è diversa. L’atteggiamento verso la natura (per ambedue una delle chiavi di lettura della vita) sembra opposto nei due poeti. Volendo, o piuttosto dovendo menzionare le problematiche filologiche che accompagnano la storia del Moretum occorre ricordare che l’attribuzione a Virgilio del gruppo di opere giovanili riunite nell’Appendix Vergiliana è considerata dubbia. Tuttavia, un codice della Biblioteca Ambrosiana presenta in incipit al Moretum la dicitura: «Parthenius Moretum scripsit in graeco, quem Virgilius imitatus est», e lo stesso Leopardi per questo forse garantì il beneficio del dubbio (pur attribuendolo a A. Settimio Sereno).

Partenio di Nicea, che fu istruttore di greco di Virgilio, scrisse un poemetto su questo soggetto. Lo stesso fece Svevio ed alcuni versi sono quotati da Macrobio. Diversi grammatici di epoca più tarda (ad esempio Mico Levita per il verso 48), citano versi (41 e 42) come di Virgilio. 

 Il Moretum e la diatriba in merito all’attribuzione attrasse grande interesse durante il Rinascimento. Due esempi, peraltro notissimi a Leopardi. Giuseppe Scaligero (1540-1609), grande umanista e figlio d’arte (il padre, grande umanista era nato a Rocca di Riva sul lago di Garda, scienziato e precursore dell’uso dell’induzione nel metodo scientifico moderno), lo tradusse in greco e fu il primo a usare il termine Appendix Vergiliana. Bernardino Baldi (il geniale matematico, poeta, filosofo, storico, geografo antiquario, teologo…, ) tra le sue numerosissime opere scrisse alcune delle ecloghe più belle del ‘500. Una delle quali è “Celèo e l'orto” che riprende il Moretum. 

Per Leopardi il 1816, l’anno della composizione de “La Torta”, è molto importante. A giugno compie diciotto anni. Conclude il periodo di “studio matto e disperatissimo” che lo aveva già iniziato a colpire nel fisico e psicologicamente. Ma è anche l’anno dell’articolo di  Madame de Staël su “La Biblioteca italiana”, dal titolo "Sulla maniera ed utilità delle traduzioni", con il quale accusa i letterati italiani di provincialismo perché legati alla tradizione classica. “Un italiano” è la risposta di Pietro Giordani (tra l’altro primo estimatore di Leopardi) con cui ribadisce la perfezione estetica classica e rivendica l’individualità della cultura italiana come “erede del gusto greco–romano”, Leopardi, giovanissimo, invia “La Torta” per la pubblicazione, inserendosi in modo acutissimo nella dialettica classico-romantica. 

Da un lato il Moretum, soggetto apparentemente scherzoso che in realtà è stato oggetto nei secoli di studi filologici sofisticati, viene tradotto mantenendo modelli classici che “sgorgavano direttamente dalla natura” perché “il più grande di tutti i poeti è il più antico, il quale non ha avuto modelli”; dall’altro “La Torta” usa la “parola” con sonorità e ”indeterminatezza” romantiche per iniziare a tratteggiare, in modo ancora molto lieve, il rapporto col la natura (direi “naturans”) matrigna che sarà al centro della poetica leopardiana. E non è finita. Se effettivamente opera di Virgilio, da Partenio, il poemetto dovrebbe essere stato scritto dopo il 42 aC ma prima delle Bucoliche (42-39 aC) dal poeta circa 30nne. 

Cesare era stato ucciso nel 44 aC e la battaglia di Filippi (che per Virgilio aveva significato anche la perdita delle terre Mantovane ed il trasferimento a Napoli) è proprio del 42 aC. E questo fa fare un altra considerazione divertente. Nel Moretum il nome dell’aiutante, forse schiava, è Scybale (la Cimbale leopariana) ha una forte assonanza con Cybele. Mentre viene usato il nome proto-italico della dea dell’agricoltura Cerere diverse volte con riferimento al grano. Cybele è l’anatolica dea madre, il cui culto probabilmente risale al periodo neolitico, in Çatalhöyük. Il culto di Cybele sarebbe stato portato a Roma da Claudia Quinta, castissima femina,  nel 204 ac, traslato in Magna Mather e fondamentalmente assimilato a quello di Cerere, l’equivalente divinità proto-italica. Augusto riaffermerà la propria discendenza dai difensori di Troia per essere stato adottato da Giulio Cesare (da cui la discendenza da Venere, Enea, Romolo). Livia nell’iconografia sarebbe diventata Magna Mater. 

Virgilio, infatti, quando sarà ormai divenuto poeta imperiale (e obbligatorio a scuola dal 26 aC), nell’Eneide (scritta tra il 29 ed il 19 aC) fa riferimento a Cybele, madre di Giove e protettrice di Enea. Ed a Cybele, dunque, avrebbe fatto riferimento qualunque poeta desideroso di ingraziarsi Augusto. 

 “…'non pudet herbosum' dixi 'posuisse moretum      
in dominae mensis: an sua causa subest?' 'lacte mero veteres usi narrantur et herbis,      
sponte sua siquas terra ferebat' ait;               
370 'candidus elisae miscetur caseus herbae,      
cognoscat priscos ut dea prisca cibos. …” 
(Ovidio Fasti, Libro iv , 367) 

 Ovidio, nel libro VI dei Fasti (incompiuti nel 8 dC, lo stesso anno dell’esilio nel Ponto, l’adulazione ad Augusto non funzionò ) dedicato ad aprile, raccontando la storia dell’arrivo della venerazione di Cybele a Roma indica come offerta agli dei una specie di moretum, ricetta di formaggio ed erbe. Anche Columella (4 BC-70 dC.), nel “De re rustica”, indicherà come prepararlo. E dunque, per chi fosse arrivato fino qui ed avesse ancora appetito, ecco il moretum: 4 spicchi d’aglio olio extravergine di oliva aceto di vino pecorino stagionato o fresco (dipende dai gusti) erbe aromatiche fresche (ruta, cime tenere di sedano, coriandolo o “…apii graciles rutamque rigentem/vellit et exiguo coriandra trementia filo…”) sale (poco, che c’è il pecorino) 
 Amalgamare il tutto con un mortaio e mangiare con il pane appena fatto. È buonissimo. Dimenticavo, da μορέω (lavorare con fatica), μορητόν, usando mortaio e pestello, moretum dovrebbe essere tradotto come: “pesto”.

Immagine di copertina di Andreas Franzkowiak via Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0

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...propter aquam, tardis ingens ubi flexibus errat Mincius et tenera praetexit harundine ripas. (Georg. III, 10-15)

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